Il ricordo don Giuseppe Romano

La Comunità Ecclesiale di Messina- Lipari- S. Lucia del Mela, il 14 ottobre u.s.  ha dato l’estremo saluto cristiano, in Cattedrale, a don Giuseppe Romano (1936-2019), presbitero stimatissimo dai confratelli e dal mondo laicale, zelante promotore della diffusione di “Avvenire”, fin dagli anni ’80 del secolo scorso.

 

Grazie alla testata dei vescovi italiani p. Giuseppe ha vissuto anche da morto la “perfetta letizia” perché il giornale per il quale si è speso non ha trovato un “buco” (dopo oltre 70 giorni) per pubblicare il testo che state leggendo. In qualsiasi momento sono pronto a provare nei particolari questa affermazione che in me ha provocato rabbia, non perché ci tenessi a vedere il mio nome (ho scritto al dottor Ognibene che potevano pubblicarlo anche senza la mia firma), ma perché mi sembrava la “giusta ricompensa” verso un uomo buono.

  1. Romano è stato un prete “tutto di un pezzo”, innamorato del Signore della cui presenza riusciva a contagiare tutti coloro che incontrava e del cui amore ne parlava sempre con le lacrime agli occhi.

Il suo ministero presbiterale si è sostanzialmente svolto dando il primato alla dimensione vocazionale con un risvolto sempre missionario: insegnante di matematica e animatore dei seminaristi più piccoli e responsabile dell’animazione vocazionale diocesana. Sempre cercato e richiesto come padre spirituale da molti seminaristi e preti, senza contare i laici.

Anche l’esperienza di parroco nel popoloso quartiere di Ritiro se da una parte lo ha visto formatore attento ed esigente di parecchi operatori pastorali, dall’altra lo ha coinvolto soprattutto nello spalancare il cuore e i locali della parrocchia (a metà degli anni ’70) ad accogliere la prima comunità di diaconi per l’anno di esperienza pastorale in preparazione all’ordinazione presbiterale.

Un’esperienza che lo ha portato ad animare anche la comunità di giovani preti sorta a metà degli anni ’90 nell’Isola di Salina con base a Valdichiesa, all’ombra della protezione della Madonna del Terzito.

L’ultima parte del suo ministero l’ha vissuta come Cappellano della casa di Ospitalità per anziani “Collereale”, all’interno della quale era ubicato il padiglione “Casa del Clero”. La delicata attenzione con la quale ha seguito, accompagnato e sostenuto gli ospiti e soprattutto i confratelli, fino a quando la salute lo ha permesso, è stata il suo distintivo costante.

Anche per questo l’Arcivescovo Accolla, durante il rito funebre, ha scelto la pagina di Mt 25, 31-46 per rileggere la vita di questo prete “benedetto del Padre… per il quale è preparato un posto fin dalle origini del mondo”, avendo sempre intravisto la persona del Cristo in coloro che avevano bisogno di una presenza discreta e amorosa.

Fra costoro bisogna annoverare sicuramente i confratelli ai quali non faceva mai mancare, indistintamente, almeno due volte l’anno (per l’onomastico e per l’anniversario dell’ordinazione) una fraterna telefonata. E quando i parenti del prete perdevano il congiunto, lui continuava a mantenere il rapporto di amicizia.

Vi sarebbero mille altre cose da dire e centinaia di ricordi personali da riportare…

Scelgo di chiudere queste poche note descrivendo un particolare, accaduto nella piazza antistante la Cattedrale poco prima che iniziasse il rito funebre. La salma di don Giuseppe era ancora sul carro funebre, quando una signora di mezza età si è avvicinata e toccando l’esterno della vettura è scoppiata in un pianto a dirotto…era la nipote di un confratello di p. Romano, suo vicino di stanza nella “Casa del Clero”, che l’anno scorso aveva perduto lo zio. Fra singhiozzi e abbondanti lacrime che rigavano il suo viso, nella calda mattina di ottobre, disse: “Quest’uomo era un santo. Tutti i giorni andava a trovare e a visitare mio zio. Gli voleva veramente bene. La sua delicatezza del tratto e le attenzioni verso i confratelli dovrebbero contraddistinguere la vita di ogni prete”.

 

Ettore Sentimentale