IL MURO E’ CADUTO MA IL COMUNISMO C’E’ ANCORA

Qualcuno sui social ha scritto provocatoriamente:“il Muro di Berlino è caduto, ma il comunismo resta” e penso che non si riferisse al Partito comunista di Marco Rizzo, ma a una mentalità a una metodologia di fare politica di certi ambienti, culturali mediatici e intellettuali.

A questa mentalità appartiene il “partito” del “politicamente corretto” che imperversa ovunque, sui social, sui media, nella scuola, nell’editoria. Pertanto visto che esiste quest’area politica che si comporta da “comunista”, è forse utile conoscere e studiare che cosa è stato veramente il Comunismo nella Storia.

In occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre due anni fa è stato ripubblicato da D’Ettoris Editori di Crotone, «Il costo umano del comunismo. Russia, Cina e Vietnam», una nuova edizione italiana dopo quella del 1973. Si tratta di tre documenti, tre rapporti, che nel 1970 aveva commissionato il Senato americano, sulle vittime dei crimini dei regimi comunisti. Il primo rapporto è “The Human Cost of Soviet Communism” di Robert Conquest. Il secondo è “The Human Cost of Communism in China” di Richard Louis Walker. Il terzo, infine, è “The Human Cost of Communism in Vietnam”, coordinato da James Oliver Eastland, senatore democratico del Mississipi nel 1972.

Nel testo ripubblicato dalla casa editrice di Crotone, si trova un saggio introduttivo di Oscar Sanguinetti, che è anche il curatore dell’opera.

Il curatore precisa subito che il numero delle vittime calcolate negli anni ’70 era diverso, ora dopo la consultazione di archivi, la caduta del Muro e soprattutto dopo la pubblicazione de Il Libro nero del comunismo si parla almeno di 100 milioni di morti.

A differenza del nazionalsocialismo e del militarismo nipponico, le vittime del comunismo marxista-leninista sono almeno una decina di volte maggiori. Pertanto dopo la caduta del Muro, Sanguinetti evidenzia che «non vi è stata alcuna messa sotto accusa delle classi dirigenti comuniste dell’Urss e dei Paesi ex satelliti, nonché dei partiti comunisti del mondo libero, sezioni dell’internazionale rossa». Infatti nonostante la natura criminogena, nessuna istanza internazionale ha indagato, né ha pronunciato qualsiasi forma di condanna dei regimi comunisti, come invece è stato fatto con il processo di Norimberga e di Tokio col nazionalsocialismo e l’imperialismo giapponese. Non è avvenuto nei Paesi europei schiavi del comunismo fra il 1948 e il 1989, dopo la riconquistata libertà. Perfino nella “martire” Ungheria, non c’è stato un computo del danno materiale e morale, figuriamoci in Cina, dove i “nipotini di Lenin”, dopo il 1989 sono rimasti saldamente in sella al potere.

Eppure la storia del Novecento è segnata drammaticamente dal movimento comunista, che dove è andato al potere, dalla Spagna al Nepal, ha causato devastanti conflitti civili con un numero di indescrivibili di lutti e di danni. Tutto questo è avvenuto in due momenti: «quando cerca di conquistare il potere in uno Stato – con il terrorismo, l’insurrezione, la guerra civile e convenzionale – ma, soprattutto, quando lo ha conquistato».

Nei tre documenti proposti dalla D’Ettoris Editori, viene minuziosamente descritto il percorso criminale e omicida del movimento comunista nei tre Paesi presi in considerazione. «[…] A partire dal momento in cui la minoranza rivoluzionaria comunista inizia a tradurre in realtà il suo progetto utopistico e anti-naturale di società aggredendo in maniera terroristica il corpo sociale e invadendo in maniera capillare ogni articolazione di esso per ‘ripulirla’ da ogni ‘parassita’ e da ogni nemico».

Il sistema comunista si basava sul terrore, che non è come si intende oggi, il “terrorismo” dello stato totalitario, come osserva e mette in luce Conquest, l’artefice è lo Stato. «E’ l’intero apparato statale,  controllato  totalitariamente da una minoranza politica ideologizzata, che usa degli enormi mezzi di cui dispone: polizia, esercito, magistratura, stampa – lo stato moderno è una macchina pressochè onnipotente – contro la propria popolazione per ‘potarne’ i rami individuali e corporati che ritiene ostacolino l’avvento del disegno che anima il gruppo al potere».

Il terrore è legato alla rivoluzione comunista e fa riferimento a quel Terrore scatenato durante la Rivoluzione Francese. Soltanto che in Francia è durato un anno, nei regimi comunisti molto di più.

Nel capitolo III, dedicato al costo umano del comunismo in Vietnam, Eastland descrive ampiamente, la necessità del terrore, utilizzato dai vietcong comunisti di Ho Chi Min, sia nella conquista che nel mantenere il potere.

Il terrore è una politica deliberata, ideata al più alto livello dai gerarchi comunisti di Hanoi. Lo scopo del terrore, che i comunisti vietcong chiamano “repressione”: è «lo sgretolamento e la demoralizzazione  dell’apparato governativo, civile e militare, della Repubblica del Sud[…]». Come si realizza? Con «assassinio, esecuzione dopo la cattura o imprigionamento – di un buon numero di funzionari civili e militari, di quadri e di personale dei servizi segreti che svolgono compiti importanti per conto del governo[…]». Gli autori del Rapporto, hanno utilizzato diversi documenti catturati ai vietcong, che hanno trovato in un centro vicino Saigon (CDEC). Qui hanno trovato «direttive politiche, risoluzioni, piani di azione, ordini di attacco, materiale di indottrinamento e di addestramento, corrispondenza, appunti e diari, elenchi di persone giustiziate o detenuti in campi di ‘rieducazione mentale’».

Nel saggio introduttivo Sanguinetti punta il dito sulle colpe dell’Occidente, i circoli mondialisti e finanziari di Wall Street che hanno finanziato sia la rivoluzione leniniana, che quella hitleriana. Prima che dopo la seconda guerra mondiale, le simpatie per l’Unione Sovietica erano abbastanza trasparenti da parte degli Usa. Poi dopo la guerra continua questo “clima “ favorevole da parte di certo culturame liberal. Per arrivare ai tre rapporti del ’70, che rappresentano secondo Sanguinetti, «uno strumento al servizio della guerra psicologica anti-comunista, che allora gli Stati Uniti d’America si trovavano in prima linea a combattere».

Ma in che senso si deve intendere “il costo umano”, per il curatore dell’opera occorre guardare «nel loro complesso un numero astronomico di vittime». Quando si parla di vittime non si intende solo quelle militari e civili caduti in guerra o in rivoluzioni. «I rapporti considerano invece, correttamente, i morti – cui andrebbero aggiunti i feriti, nel corpo e nello spirito, e i danni morali e materiali subiti dalle comunità aggredite – frutto dell’aggressione diretta o indiretta che le classi dirigenti comuniste scatenano nei confronti delle rispettive società per attuare i propri disegni d’ingegneria sociale e per ‘ripulirle’ dai nemici e dagli oppositori […]». Pertanto il “costo umano” del comunismo comprende, «tutti coloro che i comunisti uccidono, direttamente o privandoli della libertà e ponendoli in contesti di impossibile sopravvivenza, in quanto li considerano nemici politici, ossia nemici di classe[…] fucilati con o senza processo; torturati a morte nelle celle della polizia segreta; condannati alla deportazione nell’”Arcipelago Gulag”, a costruire a mani nude canali a cinquanta gradi sotto zero o imprigionati nelle centinaia di micidiali Laogai cinesi, molti dei quali ancora attivi; privati del senno nelle cliniche psichiatriche; massacrati e sepolti nelle foibe e nelle fosse comuni come quelle di Katyn; imprigionati fino a morire di stenti; fatti perire di fame attraverso carestie create artificialmente, come i kulaki, i contadini benestanti ucraini – nella strage, per alcuni genocidio, nota come ‘Holodomor’».

Il comunismo è una gigantesca macchina di morte senza uguali nella storia, allestita dai regimi marxisti-leninisti, dove hanno conquistato il potere, hanno subito macinato vite umane. Il comunismo «è criminogeno per natura, ha come esito strutturale e fatale il ‘classicidio’ e come cause primarie l’ateismo militante e il totalitarismo politico-sociale».

Naturalmente nelle indagini dei tre rapporti del costo umano del comunismo ci sono dei limiti: mancano all’appello diverse vittime della repressione delle rivolte anti-comuniste, a cominciare da quella ungherese del 1956. Mancano vittime che riguarda la Cina e il Vietnam. In conclusione scrive Sanguinetti, abbiamo davanti, dati imprecisi e in buona misura congetturali, ma non per questo da scartare. Arrivare a percentuali di errori minime è davvero impossibile. Tuttavia secondo Sanguinetti le cifre del costo umano del comunismo, secondo l’orientamento degli studiosi, «propende all’unanimità per un approssimazione per difetto, vale a dire che la maggioranza degli studiosi pensano che le cifre reali sono di gran lunga più alte di quelle addotte in maniera puntuale».

A questo punto occorre fare delle precisazioni: i totalitarismi e le dittature, non sono la stessa cosa. Attenzione le cosiddette dittature del Novecento non sono mai arrivati al livello dell’”impero del male” comunista. Il nazionalsocialismo, ha ucciso i suoi “nemici” in misura incomparabilmente minore, anche se ha compiuto crimini particolarmente odiosi, come lo stermino con metodi industriali degli ebrei europei e la decimazione della Polonia cattolica. «E’ lecito pensare – scrive Sanguinetti – che il nazionalsocialismo hitleriano non ha avuto il tempo di eguagliare il regime sovietico, perchè è durato solo quattordici anni[…]».

Sui fascismi Sanguinetti precisa che hanno perseguitato gli oppositori, «ma mai hanno pianificato l’annientamento fisico dell’avversario e raramente, solo in situazioni eccezionali, sono giunti usque ad sanguinem».

L’introduzione del curatore conclude con le obiezioni che si possono fare allo studio pubblicato da D’Ettoris Editori. Si potrebbe obiettare che oggi i regimi comunisti non uccidono più; l’ideologia comunista no è più quella. Allora il pensiero va alla Cina, al Vietnam unificato, a Cuba. Per farla breve invito il lettore a leggere “Il Libro nero del comunismo”, una serie di saggi, redatti nel 1997, da un valido gruppo di autori, nessuno dei quali “di destra”, coordinati da Stephane Courtois. Un libro assai poco “politicamente corretto”, purtroppo si è persa la grande occasione propagandistica e la colpa non è solo dei post-comunisti che hanno fatto di tutto per “insabbiare” il saggio, ma anche dei cosiddetti anti-comunisti.

 

Tuttavia anche i tre rapporti sono finiti nell’oblio, tra l’altro dopo il 1973 non è stato più riedito.“Che senso ha riproporre oggi, a oltre quarant’anni di distanza”, il costo umano del comunismo? Si domanda Sanguinetti. «Serve per prima cosa a ricordare che il comunismo e la morte sono stretti sodali per decenni e non hanno ancora ‘divorziati’ fa sempre bene e, visto che il comunismo ancora domina su quasi un miliardo […]».

Serve ricordare i crimini del comunismo perchè gli anticomunisti ci sono ancora e «non credono affatto che il comunismo ‘sia finito’, ma che continui sotto altre spoglie, E che, anzi, proprio grazie alla metamorfosi che ha attuato, almeno da noi, abbia ripreso quota e sia riuscito ad arrivare dove con il vecchio volto, ancorchè addolcito dal fascino intellettuale del gramscismo e dal pauperismo della ‘austerità’ berlingueriana – autentica parodia evangelica -, non era riuscito ad arrivare, cioè nella ‘stanza dei bottoni’». Certo oggi, «i comunisti occidentali non indossano più i colbacchi rosso-stellati della CEKA, né portano al collo i fazzoletti rossi dei partigiani omicidi del ‘Triangolo Rosso’ […]». Oggi gli eredi del comunismo storico professano «il relativismo morale più radicale e l’umanitarismo naturalistico ultra-ugualitario per tradurre in leggi dello Stato ogni presunto ‘diritto’ o ‘desiderio’ in campo morale[…]».

 

     Domenico Bonvegna

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