IL MALE QUOTIDIANO. I CONFLITTI RAZZIALI!

di ANDREA FILLORAMO

Lo sappiamo: negli USA il tema della violenza razziale torna ciclicamente al centro della scena pubblica e mediatica. Quel che avviene in America non è casuale, ma è l’eredità di un processo storico che, sin dall’inizio della costruzione della nazione statunitense, ha messo al centro del proprio sviluppo la violenza razziale come strumento politico. 

La questione, legata a doppio filo anche al tema della brutalità della polizia – che spesso negli USA è motivata da discriminazioni razziali – va però oltre l’universo della condotta delle forze dell’ordine.

Se è vero, infatti, che le azioni di queste ultime sono determinanti nel mantenere lo status quo anche tramite l’uso di pratiche violente, negli Stati Uniti il problema è molto più pervasivo e investe in realtà qualsiasi ambito sociale.

L’esplosione del conflitto razziale è forse il segnale più evidente della grave crisi complessiva che, assieme alla pandemia, ha colpito il paese nel 2020.

Il tema della violenza razziale, pertanto, è stato necessariamente il tema centrale della campagna elettorale recente e per molto tempo ancora sarà centrale nelle politiche del dopo Trump.

La violenza razziale ha visto muoversi su terreni contrapposti il democratico cattolico Joe Biden e il repubblicano ultraconservatore Donald Trump.

Tutte le chiese cristiane e, quindi tutti i leader religiosi, che in America orientano il consenso politico, si sono mobilitali in appoggio all’uno o all’altro.

Sappiamo come si è conclusa la campagna elettorale, concentrata sostanzialmente fra i due sfidanti: Biden e Trump.

La maggioranza degli elettori cristiani appartenenti alle diverse chiese, ognuna con la sua forte identità razziale, si è pronunciata, a favore di Biden.

Ciò anche se Trump ha cercato, durante la campagna elettorale, di accreditarsi a livello mondiale come il vero difensore della cristianità; anche se strumentalmente egli ha posato davanti ai fotografi di fronte ad una chiesa episcopaliana, sorreggendo fra le mani la Bibbia; anche se ha visitato il santuario di Giovanni Paolo II a Washington per orientare il voto dei cattolici.

Certo che la chiesa cattolica, la chiesa di appartenenza di Biden, che è interrazziale, è stata la più spaccata al suo interno, percorsa da divisioni etniche e culturali.

A tal proposito accenniamo soltanto all’ex Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò, avversario irriducibile di papa Francesco, esponente di punta del fondamentalismo cattolico americano, impegnato a far dimettere l’attuale pontefice o almeno a convincere i cardinali elettori nel prossimo conclave ad eleggere un papa che non seguirà la linea pastorale di Papa Bergoglio, ha scritto una lettera aperta di sostegno al presidente Trump.

In realtà, molti vescovi hanno preferito tacere di fronte al dilagare delle proteste che infiammavano l’America; il papa, da parte sua, ha appoggiato le grandi manifestazioni contro il razzismo, indicando però la strada della non violenza come l’unica perseguibile per cambiare le cose.

In tal senso si è pronunciato anche il presidente della conferenza episcopale statunitense, l’arcivescovo di Los Angeles, Josè Gomez, quando disse: “Il razzismo è stato tollerato per troppo tempo nel nostro stile di vita”.

Nel suo primo discorso alla nazione il presidente eletto, cattolico convinto, Biden, fatto dal palco illuminato di blu con lo sfondo delle bandiere a stelle a strisce del Chase Center di Wilmington, a una folla di sostenitori in festa, nella scenografia simbolica dell’unità e dell’antirazzismo, fra l’altro disse: “Lasciamo che questa cupa era di demonizzazione in America cominci a finire, qui ed ora” e ha concluso: “Ora è il tempo di riconciliarsi e di guarire le ferite del Paese, dal razzismo sistemico alla pandemia”.

Certo che l’invito di Biden agli americani può valere anche per gli italiani che si dicono cattolici, che vivono anche loro in un periodo convulso, fatto da crisi economiche, tensioni sociali e politiche e di pandemia, costretti a subire il peso di un’immigrazione talvolta selvaggia, e che dicono e scrivono di non essere razzisti e di non esserlo mai stati.

Diciamolo con chiarezza: nel nostro paese il razzismo è approvato e perpetuato anche dai “meno sospettabili”. Il nostro è un razzismo “inconsapevole” e “bonario” “strisciante”, diffuso tra le persone comuni e accettato perfino da chi pensa di non avere stereotipi o pregiudizi.

Sebbene sia vero che i partiti, i movimenti e le persone, che si muovono in una certa area, giochino un ruolo cruciale nell’alimentare xenofobia e violenza, il razzismo strutturale non dipende unicamente dalla propaganda demagogica politica, dagli episodi di violenza a sfondo razziale e da qualche partito che urla affinché i porti restino chiusi.

Basti pensare al tacito consenso che i media, che orientano l’opinione pubblica, e che esprimono il sentimento di tanti, danno al “campo di Moria”  in Grecia, altro che Lampedusa, dove si imprigionano migranti di ogni età e origine, e dove i diritti umani vengono totalmente negati; è questo un campo pensato per 3 mila persone, che oggi ne ospita 19 mila, il 40% sono bambini che arrivano anche a tentare il suicidio.

Basti ancora pensare a quanti parlano apertamente di costruzione di sempre più barriere, “abissi di separazione tra coloro che godono dell’esercizio di diritti – proprietà, circolazione, sovranità – e coloro che non hanno diritto di avere diritti”, per usare le parole del filosofo Achille Mbembe (n. 1957) uno fra i massimi teorici del postcolonialismo.

Si osservi con coscienza cristiana, come suggerisce Papa Francesco, allo sfruttamento di uomini e donne migranti che continuano a vivere nel limbo dell’irregolarità perché costretti all’emarginazione sociale delle persone di origine straniera.

Si  pensi, ancora, agli accordi con la Libia, a cui è affidata una parte della gestione dei flussi migratori, nonostante nel paese si consumino quotidianamente gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di chi vuole imbarcarsi per raggiungere l’Europa.

Il razzismo spesso “inconsapevole” e “inconscio” italiano, ma anche europeo, è un razzismo di tipo culturale, psicologico, pericoloso al pari di quello che si esprime nella violenza razziale statunitense; è una patologia “sottile”, che colpisce molte persone, un terribile virus che avvelena, per il quale c’è un unico vaccino per debellarlo: la parola di Cristo che dice: “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Mancando una sua seria messa in discussione e in assenza di un’operazione che lo smonti e lo decostruisca, esso è spesso meno visibile, difficile da cogliere anche da chi pensa di essere “antirazzista”, perché ha comunque assorbito pregiudizi e percezioni distorte nei confronti di altre nazionalità o appartenenze etniche o delle diversità. Valido quanto Papa Francesco ci suggerisce quando dice: “Abbiamo bisogno di una vera rivoluzione culturale”, “una trasformazione della nostra visione collettiva, dei nostri atteggiamenti, dei nostri modi di percepire noi stessi e metterci davanti al mondo”.