Il coso nero di Firenze. La banalità del male

A Firenze continua a fare scalpore un “coso nero” (1) costruito in zona Unesco sulle ceneri dell’ex teatro comunale di corso Italia (in linguaggio “moderno” si dice che offenda lo skyline). Un moloch che svetta oltre i palazzi storici che lo circondano. Molti gli indignati, anche tra coloro che al tempo delle autorizzazioni “non ci avevano fatto caso”. Le autorità che hanno concesso le autorizzazioni hanno fatto sapere che sono state rispettate tutte le regole del caso. Punto. Altamente probabile che resterà com’è e dov’è, per la sua funzione principale, affitti brevi turistici.

Due, tra le tante, le nostre riflessioni e stimoli.

Affitti brevi. Firenze, ormai Disneyland, non ne aveva proprio bisogno. Ricordiamo, per capire il fenomeno (2): Barcellona (1,7 milioni di abitanti) ha 10mila alloggi destinati agli affitti brevi e la sua amministrazione ha deciso di vietarli da novembre 2028; Firenze (circa 380 mila abitanti), ha circa 16mila alloggi per affitti brevi: basta registrarsi al Comune e avere il Cin (codice identificativo nazionale). Al momento, per soluzioni diverse, c’è solo tanto bla bla, anche istituzionale.

Autorizzazioni. Al Comune dicono che per il “Coso Nero” che tutto è in regola. Ne siamo certi.

Ci sovvengono le riflessioni della scrittrice Anna Arendt che, dopo aver seguito il processo ad Adolf Eichmann (Gerusalemme 1961), esecutore delle politiche naziste di sterminio di ebrei zingari e omosessuali, scrisse – colpita non dalla sua mostruosità ma dalla sua mediocrità – il libro “La banalità del male”. Eichmann, un burocrate grigio e pedante, che ubbidiva agli ordini, rinunciava a pensare e non assumeva responsabilità morale dei fatti, stava facendo il suo lavoro. Il male – elaborò Arendt nel libro – può nascondersi nella routine quotidiana, nell’esecuzione meccanica di ordini. Per Arendt il crimine di Eichmann non fu l’odio verso gli ebrei, ma la sua incapacità di immedesimarsi, di riflettere, di chiedersi quale peso avessero le sue azioni. La sua colpa non stava solo nei terribili atti che commise, ma nell’aver smesso di pensare, nell’aver abdicato alla propria coscienza. La banalità non sminuisce l’orrore del genocidio, ma sposta lo sguardo dalla mostruosità del singolo alla patologia del sistema che sopprime la moralità in nome dell’efficienza (3).

Da questi scritti di Arendt ci viene di fare un parallelo, tra Eichmann e i burocrati del Comune di Firenze che “hanno fatto il loro dovere”, “hanno applicato le leggi”… coi risultati del “Coso Nero”.

Queste riflessioni e stimoli ci fanno porre due domande: l’amministrazione comunale, che dovrebbe essere un mix di politica e burocrazia, non è che ha visto prevalere la burocrazia? Sono questi gli amministratori che abbiamo scelto per la nostra città?

Già sentiamo alcune eco. “Ma non potevamo violare la legge”. Giusto, alla Eichmann. La politica (la Politica) è anche farsi domande sulla giustezza (“morale” per parafrasare Arendt) del proprio agire. Domande che valgono per gli affitti brevi e il “Coso Nero” che – volontà diabolica? – nel nostro caso si intrecciano. E mettono in gioco non solo i fatti specifici in sé, ma l’assenza di politiche urbanistiche (anche nazionali) e,  la volontà di mettersi in discussione, insieme alla propria amministrazione, financo in giudizio.

 

 

1 – https://www.aduc.it/articolo/coso+nero+firenze_39702.php

2 – https://www.aduc.it/articolo/quale+futuro+overtourism+firenze+non+barcellona_39698.php

3 – https://www.facebook.com/massimo.lensi/posts/pfbid07xbz9BWiPgRD9pT292r6MQXhHZwszNMgSR6tA7pRKBfHC9gNYC8LPnFYeyi4kAeel

 

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc