IL CORONAVIRUS, NON DA’ TREGUA. E ADESSO COSA ACCADRA’?

di ANDREA FILLORAMO

“Niente sarà come prima” e “torniamo alla normalità”: sono queste due espressioni che sentiamo frequentemente dopo l’assalto inatteso e drammatico di quel virus maledetto, il Covid 19, che ancora imperversa in tutto il mondo che ha fatto tante vittime e ha condizionato e condiziona ancora la nostra vita e ci ha obbligato a un lungo e indimenticabile lockdown che speriamo non si ripeta più, trasmettendo in tutti un’angoscia inenarrabile, e seminando panico e terrore.

Ci troviamo, quindi, ancora in bilico fra la constatazione che, a causa dell’espandersi dell’infezione causata da questo virus, la nostra storia, quella individuale e quella sociale, in pochissimo tempo, è mutata totalmente e senza scampo, cancellando d’un colpo molte cose che c’erano prima e il desiderio incontrollabile ma consapevole di volere tornare ad essere come eravamo precedentemente, pur sapendo che probabilmente o con certezza non sarà mai più possibile. Cominciamo solo ora a capire che l’innesto del Covid 19 nella nostra vita, al di là di tutte le tesi complottistiche, è dovuto, forse, a un caso fortuito.

Il Covid 19 è, infatti, uno dei 10 nonilioni (10 alla 31a potenza) di singoli virus che sono sul nostro pianeta, che appartengono a ogni aspetto del mondo naturale, che brulicano nell’acqua del mare, che vengono trasportati nell’atmosfera e che si annidano in minuscoli granelli di terra, che inaspettatamente, per legge di natura, così come tanti altri virus nel passato, si è fatto compagno sgradito del nostro percorso vitale. La domanda che ovviamente però ci poniamo ancora è quanto abbia pesato l’incuria umana, gli eventuali vincoli diagnostici, le carenze terapeutiche e farmacologiche, nonché le strutture sanitarie mancanti per fermare il contagio e per curare i contagiati e, quindi per fermare l’avanzata di questo virus, che fortunatamente non è sempre letale, come è stato presentato nei primi momenti, ma sempre pericoloso e non solo per quelli che hanno una certa età.

È bene rammentare che fino a oggi molte risorse, in Italia, sono state tolte alla sanità e alla scuola, settori deboli ma indispensabili del nostro sistema, e impiegate per l’acquisto di armi. L’Italia, infatti – è bene evidenziarlo – rimane ancora nella “top 5” europea per spesa militare, dietro Russia, Francia, Germania e Regno Unito, mantenendo la dodicesima posizione globale con una spesa per il 2019 che il Sipri stima in 26,8 miliardi di dollari (+ 0,8% dal 2018). Complessivamente la spesa militare europea è aumentata del 5% dal 2018: sia l’Europa centrale che quella occidentale hanno aumentato le loro spese militari influenzate da continue percezioni di minaccia da parte della Russia. Ma, pur con le ristrettezze delle risorse impiegate, dobbiamo riconoscere che il sistema Italia, almeno fino ad oggi, ha retto bene ai contagi, certamente più della vicina Francia o della ricca Inghilterra o della stessa Germania.

Certamente tutte le istituzioni civili e politiche ed economiche italiane, a causa di questo virus, sono entrate in tilt e le varie crisi che ne sono seguite sono sotto gli occhi di tutti. Anche la Chiesa, come tutte le altre istituzioni, ha sentito e ancora sente i limiti imposti dal virus. Essa è obbligata a prendere atto, però, che il  Covid 19, Il lockdown che ne è seguito, e quanto stiamo ancora vivendo, hanno accelerato il suo processo di cambiamento che già era in atto e riconoscere, quindi, al di là del carico di dolore imposto, che la pandemia può diventare per la Chiesa un’occasione provvidenziale di un cambiamento più rapido e più significativo, rispondendo alle attese di quanti, per il clericalismo che ancora domina gli stessi fedeli, intendevano, prima del Covid, di abbandonare la fede cattolica e rivolgersi ad altre chiese ritenute più evangeliche.

La pandemia, infatti, con le sue violente interruzioni dei riti inutili, delle messe – spettacolo, delle processioni folcloristiche, dei pellegrinaggi in luoghi di apparizioni inesistenti, del devozionismo fine a se stesso, del sentimentalismo religioso, da ritenere la più grave patologia religiosa dei cattolici,  dei precetti  imposti, delle attese miracolistiche andate deluse, delle Madonne, che piangono lacrime o sangue,  ha reso più evidente questo processo all’interno della Chiesa, che speriamo continui.  Ciò obbligherà i nostri preti ad abbandonare tutto ciò che non fa parte del loro ministero presbiterale, ad essere “ uomini fra uomini”, a strapparsi d’addosso ogni insegna che li rende diversi o superiori, a rinunciare spontaneamente ad ogni privilegio, ad ogni beneficio e a rendersi conto che la gente sente, particolarmente in questo momento, un forte bisogno di recuperare il senso della comunità come popolo di Dio e vuole vedere in loro non la sacralità della loro persona, ma l’amico, il fratello, che prima di celebrare l’Eucarestia cerca di conciliarsi con la loro umanità.