IL CALVARIO DI MONSIGNOR ALVAREZ

E’ il secondo Natale che monsignor Rolando Josè Alvarez Lagos trascorre nelle carceri del regime di Daniel Ortega e di sua moglie Rosaria Murillo in Nicaragua. Il 4 agosto 2022 veniva posto agli arresti domiciliari, a febbraio 2023 è stato condannato a 26 anni di carcere per  «cospirazione contro la sovranità nazionale e diffusione di notizie false». L’alternativa era l’esilio che il presule ha rifiutato.

Il rifiuto di ogni compromesso con il regime di Ortega è costato al Vescovo la detenzione nel carcere “La Modelo”, «nel modulo 3-1 un edificio ad un piano sotterraneo completamente isolato noto come “Infernetto”, a causa dell’assoluta mancanza di igiene e soprattutto del caldo torrido che ricorda, appunto, le fiamme degli inferi».

A descrivere l’inferno del carcere ci ha pensato tempo fa Gianfranco Amato per Lanuovabq.it. (Gianfranco Amato, Nicaragua, il martirio del vescovo Álvarez nelle carceri di Ortega, 9.6.23) In queste “celle di massima sicurezza, i detenuti si trovano esposti all’umidità, al freddo e ad un caldo che può raggiungere i 45° centigradi, costringendo i malcapitati reclusi, come mons. Álvarez, a restare tutto il giorno in mutande, dato che persino la leggera divisa azzurra d’ordinanza risulta intollerabile. In quel forno l’unica concessione fatta dai carcerieri è quella di poter bere una bottiglietta d’acqua al giorno. Chi è sopravvissuto a quella bolgia dantesca, racconta come indescrivibile la sensazione claustrofobica di ansa, angoscia, e disperato desiderio di scappare”. Le celle hanno una dimensione di due metri per due metri e mezzo e sono di cemento, materiale con cui è realizzato tutto, comprese le brande. In questo poco spazio angusto bisogna fare tutto compresi i propri bisogni. Evito di entrare in ulteriori particolari. Un sistema detentivo così rigido “metterebbe a dura prova il sistema psicologico di qualunque essere umano”. Il Vescovo di Matagalpa è un martire dei nostri giorni. E un grande esempio anche per molti dei suoi confratelli, che, al posto suo, non avrebbero esitato un attimo a prendere l’aereo per Miami e scappare verso il comodo esilio negli Stati Uniti”.

Oggi a Radio Maria, Marco invernizzi, affrontando il tema della persecuzione dei cattolici in Nicaragua, ha detto che è fondamentale mantenere viva l’attenzione su questo vescovo, occorre farlo conoscere il più possibile ai Media di tutto il mondo. Amato invita i cattolici  a fare delle veglie di preghiera per questi pastori martiri sparsi nel mondo, vittime innocenti di regimi totalitari come quello di Ortega in Nicaragua.

L’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha recentemente espresso preoccupazione per il deterioramento della situazione in Nicaragua, dal momento che dei 63 arresti arbitrari del mese di maggio, 55 sono stati eseguiti in una sola notte, ai danni di persone accusate di “cospirazione volta a minare l’integrità nazionale”, un’accusa che il governo frequentemente usa per mettere a tacere i suoi critici.

“Siamo sempre più preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani in Nicaragua, dove le autorità continuano attivamente a mettere a tacere qualsiasi voce critica o dissidente nel Paese, utilizzando a tal fine il sistema giudiziario”, ha dichiarato Martha Hurtado, portavoce dell’Onu, sottolineando che tra i detenuti ci sono difensori dei diritti umani, oppositori politici, giornalisti, lavoratori rurali e personale legate alla Chiesa cattolica. La dittatura ha intensificato il suo attacco alla Chiesa cattolica, come testimoniano gli espropri arbitrari di centri educativi sotto la sua amministrazione, effettuati di notte e con metodi violenti.

È evidente il costante e sistematico attacco del dittatore Daniel Ortega contro la Chiesa cattolica da quando è tornato al potere nel 2007,  il regime ha anche adottato misure restrittive della libertà religiosa, come il divieto di processioni pubbliche durante la Settimana Santa. Successivamente, in un’intervista pubblicata da Infobae, il 10 marzo, papa Francesco ha parlato di uno “squilibrio” in Daniel Ortega, paragonando il suo governo a una “dittatura hitleriana”. Subito dopo il dittatore ha sospeso le relazioni diplomatiche con il Vaticano.

Ortega è una vecchia conoscenza, già icona del movimento comunista internazionale degli anni 1980. Ortega è tornato al potere nel 2007 e da allora ‒ complice una riforma costituzionale da lui stesso imposta del 2013 che ne permette la rielezione a vita ‒ ha (re)instaurato un regime repressivo e persecutorio nei confronti dell’opposizione politica e religiosa.

I media del nostro mainstream continuano a definire Ortega “ex-sandinista”, forse per non “sporcare” con le scelte concrete del despota socialcomunista la rivoluzione che ha rappresentato uno dei miti fondativi del sinistrismo internazionalista professato dall’intelligentia nostrana che oggi guida dell’informazione italiana.

Recentemente anche l’AgenSIR (organo d’informazione della CEI) si è occupato dei cattolici del Nicaragua e l’oppressione del potere. Un intervento di Israel Gonzales Espinoza, giornalista nicaraguense esiliato in Spagna (I cattolici del Nicaragua e l’oppressione del potere, 26.12.23, Sir)

“In Nicaragua, le parole di Papa Francesco, che vede la Chiesa come un ospedale da campo, sono diventate realtà”. Dall’inizio della grave crisi socio-politica che affligge il Paese centroamericano, a partire dall’aprile 2018, i cattolici nicaraguensi hanno dovuto affrontare 667 attacchi perpetrati dallo Stato e da civili simpatizzanti del regime di Daniel Ortega, secondo il rapporto “Nicaragua, una Chiesa perseguitata?” curato dall’attivista e avvocata Martha Patricia Molina. Nello stesso periodo di cinque anni (2018-2023), 151 sacerdoti e 76 suore sono stati espulsi dal Paese dal regime nicaraguense, secondo un rapporto del collettivo per i diritti umani “Nicaragua nunca +” (“Nicaragua mai più”).

Alla luce di questi dati, ci troviamo di fronte a quella che potrebbe essere una delle più dure persecuzioni mai commesse da un Governo latinoamericano contro la fede cattolica. Le ragioni di questo attacco sistematico alla fede sono semplici. La Chiesa si è schierata dalla parte di coloro che chiedevano il ritorno alla democrazia dopo tre decenni di un Governo che non ammette alcun dissenso, che ha chiuso tutti i canali istituzionali per arrivare a un cambiamento e che ha commesso crimini contro l’umanità nei confronti dei suoi cittadini, come certificato dalla Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) e dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr).  Quando civili armati simpatizzanti del regime e la polizia hanno attaccato i manifestanti pro-democrazia, le porte delle parrocchie erano aperte, affinché la popolazione potesse ripararsi dai proiettili ed essere assistita fisicamente e spiritualmente. Il regime di Ortega non lo ha mai perdonato. La Chiesa è stata molto lungimirante, e ha proposto al Paese elezioni anticipate e un avvicendamento delle persone alla guida delle varie Istituzioni statali, per incanalare le richieste della popolazione attraverso metodi civili e costituzionali. Non hanno chiesto nulla per sé o per l’episcopato. In quel processo, hanno lavorato con la migliore disposizione d’animo per dimostrare che noi nicaraguensi potevamo risolvere le nostre dispute politiche senza violenza.

La testimonianza profetica della Chiesa del Nicaragua, incarnata oggi nella figura del vescovo imprigionato di Matagalpa, rappresenta l’amore, la speranza, la dignità e la lotta pacifica di un intero Paese. di fronte a una tirannia crudele e immorale. I cattolici del Nicaragua, come i primi cristiani perseguitati durante l’Impero romano, pregano e resistono in silenzio, di fronte a un autoritarismo che vuole schiacciarli. E come quei primi testimoni di Gesù, sanno che il martirio e la croce sono semi di fede. Il popolo nicaraguense e la sua Chiesa impegnata nella difesa dei diritti umani sono, oggi, crocifissi da un potere temporale oppressivo, ma sono certi che un giorno risorgeranno a nuova vita nella libertà dei figli e delle figlie di Dio.

Intanto monsignor Isidoro Mora, vescovo di Siuna, è stato arrestato dalla polizia dopo aver detto alla sua congregazione che i vescovi del Nicaragua erano “uniti nella preghiera” per il vescovo Rolando Álvarez, detenuto nella prigione “La Modelo”, dove sta scontando 26 anni di carcere.

Il vescovo della diocesi di Siuna, è stato arrestato per la sua predica. Non ha commesso reati, sono bastate le sue parole. «Vorrei portare i saluti della Conferenza episcopale (del Nicaragua, ndr). Siamo sempre uniti nella preghiera per questa amata diocesi di Matagalpa, pregando per monsignor Rolando, pregando per il cammino di ognuno di voi. Siamo uniti nella preghiera, nella comunione, nella fede, nell’amore, nella tenerezza».

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com