IL BEATO CARLO, MODELLO PER UNA POLITICA A MISURA DI VANGELO

Guardando su youtube le immagini di vecchie fotografie, filmati, dove si può vedere il giovane imperatore Carlo insieme alla giovane sposa Zita, intento a svolgere le sue attività di governante nei territori dell’impero, sul fronte di guerra. Dinanzi a queste tessere sapientemente raccolte, per un istante è facile cedere alla nostalgia di un mondo perduto. Ma soprattutto viene spontanea una amara riflessione: un uomo così tutto d’un pezzo, non poteva che essere condannato alla morte spirituale, ma anche fisica dai potentati massonici che hanno imposto i trattati di Versailles per la pace dopo quattro anni di guerra.

Il saggio di Ivo Musajo Somma che si può leggere nel testo, Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo”, pubblicato da D’Ettoris editore (pag.223, e.18, 2004) L’altro saggio che ho già presentato è di Oscar Sanguinetti.

La situazione della Monarchia austro-ungarica alla vigilia del 1914.

Il testo di Musajo Somma si occupa della figura di Carlo d’Asburgo nel contesto socio- politico dell’Europa e dellAustria-Ungheria dell’inizio del Novecento. Esiste una vulgata per la quale, “l’impero asburgico fosse destinato a un inarrestabile declino, anche indipendentemente dalla sconfitta nel conflitto degli anni 1914-1918 […]”. Insomma, c’erano troppe contraddizioni e debolezze interne della monarchia, una realtà ‘medievale’, incapace di trovare un posto nell’Europa moderna. C’erano le insurrezioni del panslavismo e si prospettavano anche quelle socialiste. Lo stesso conte von Polzer-Hoditz und Wolframitz, che era amico di Carlo, ha parlato di una “malattia mortale”, che affliggeva da tempo l’Austria-Ungheria.

Ma davvero la duplice monarchia si avviava ineluttabilmente verso la catastrofe? A questa domanda ha risposto il professore piacentino nella relazione svolta al convegno di Torino. Somma ha sostenuto che l’Austria-Ungheria non era un corpo morto in attesa della fine, né dal punto di vista economico, politico, sociale. E categoricamente si può affermare che l’impero asburgico non era in crisi. L’impero nel 1914 non era un organismo senza vita in attesa della fine.

Il vecchio impero nel complesso garantiva autonomia alle nazioni dell’Impero, che furono ampiamente rispettate e si sono conservate fino agli ultimissimi momenti della Monarchia. Certo erano necessarie delle riforme, lo aveva capito l’arciduca Francesco Ferdinando, e poi Carlo che per certi versi ne è stato influenzato. Infatti Carlo auspicava una monarchia federalista, che non ha avuto il tempo per attuarla.

Nonostante le due importanti sconfitte militari subite nell’Ottocento, “l’impero asburgico era stato protagonista di un tale sviluppo economico, sociale e culturale, che descriverlo come una realtà sclerotizzata e agonizzante pare veramente insensato”. Secondo gli storici poteva avere un brillante futuro.

Joseph Roth, ne La Cripta dei Cappuccini, osservava che la situazione dell’Austria può apparire anomala solo in un mondo in preda al delirio nazionalista, ed era sicuro che tutti i popoli uniti nell’impero, cantano convintamente “il Dio conservi”, il nostro Imperatore.

La guerra ideologica contro l’impero asburgico.

Allora per quale motivo l’Austria-Ungheria è stata smembrata ed è uscita vinta? A questa domanda ha risposto Francois Fejto nel suo celebre libro, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico”, Mondadori (1990) In questo testo Fejto sostiene che “la fine dell’impero fu stabilita fuori di esso e la sua causa scatenante va cercata nella trasformazione del primo conflitto mondiale, iniziato come una guerra ‘classica’ – per quanto atroce a causa degli armamenti moderni sperimentati per la prima volta -, in una guerra con caratteristiche di tipo ‘ideologico’: da un certo momento in avanti, infatti, le forze alleate – in particolare Francia, Gran Bretagna e, dal 1915, Italia, alle quali si aggiunsero gli Stati Uniti d’America, mentre la Russia uscì di scena in seguito alla rivoluzione comunista del 1917 – non perseguirono più soltanto la vittoria, ma puntarono alla vittoria totale, per arrecare un colpo mortale all’avversario, peraltro opportunamente ‘demonizzato’ in precedenza.

Praticamente la Prima Guerra mondiale è diventata “una sorta di missione destinata a proseguire, su scala europea, quella lotta contro la monarchia e il clericalismo avviata dalla Francia nel 1789, naque negli ambienti della sinistra francese”.

Sostanzialmente l’Europa di allora doveva essere repubblicanizzata dalle forze repubblicane, anticlericali, progressiste e quindi dalla massoneria. In particolare il nemico da abbattere era non tanto la Germania, ma proprio l’Austria-Ungheria, costretta a un trattato umiliante. Gli Asburgo, bene o male ancora rappresentavano il Sacro Romano Impero, nella loro lunga storia avevano difeso la cristianità dai suoi nemici esterni e interni. Come ha ben evidenziato lo storico, Erik Maria von Kuhnelt-Leddihn, “il principale nemico non era la Germania, ma l’Austria: quest’ultima, infatti, con la sua stessa esistenza contraddiceva il principio mazziniano dello Stato nazionale; gli Asburgo, poi, avevano regnato un tempo anche sulla Spagna – considerata un’altra bestia nera da queste posizioni ideologiche – avevano guidato la Controriforma, combattuto contro il Risorgimento italiano, represso l’insurrezione ungherese del 1848 e sostenuto l’esperimento monarchico in Messico. Per tutti questi motivi, e altri ancora, la vecchia Austria doveva scomparire.

Inoltre sempre secondo von Kuhnelt-Leddihin, il primo conflitto mondiale è stato trasformato in una sorta di crociata ideologica per l’imposizione della democrazia […]”. In pratica, smembrando l’Austria, hanno creato le premesse per la tragedia che si è abbattuta su tutti i popoli europei, soprattutto quelli dell’Europa centrale, che sarebbero caduti sotto il totalitarismo sovietico e di quello nazionalsocialista, infine con lo scoppio del secondo conflitto mondiale. Popoli furono uniti forzatamente, senza essere interpellati. Infatti Fejto, può scrivere: “Si sa che numerosi deputati serbi, croati e sloveni del Reichstag (il parlamento) si sollevarono contro l’unione delle loro regioni alla Serbia, desiderosi di rimanere in seno all’Austria-Ungheria”. La stessa cosa per la Boemia, la Moravia, mentre l’Ungheria fino all’ultimo intendeva rimanere con la monarchia. Nessuno venne consultato.

Il pittoresco miscuglio dell’esercito multinazionale dell’Impero asburgico.

Del resto viene evidenziato come “l’esercito multinazionale si battè fino all’ultimo per l’impero come patria e non come prigione dei suoi popoli”. Musajo Somma cita la giornalista viennese Alice Schalek, inviata di guerra sul fronte dell’Isonzo nel 1916, ha raccolto diverse testimonianze, dei soldati dell’esercito imperial-regio. “[…] fianco a fianco, austriaci, croati, ungheresi, polacchi, romeni, dalmati, bosniaci, a volte anche italiani compirono il proprio dovere pur faticando spesso a intendersi tra loro, senza l’ombra di rancori etnici e nazionalistici […]”. La Schalek, insiste:  questo pittoresco miscuglio, di tutte le età, ma anche di tutte le nazionalità dell’Austria-Ungheria, “dovrebbe essere esemplare per la futura riconciliazione dei popoli”. Pertanto se c’erano delle nazioni asservite e oppresse non andavano senz’altro cercate in Austria, “paese che, in fatto di libertà, di civiltà ed umanità è bene al di sopra delle menzogne e delle calunnie di libellisti politici malevoli”. In nessun Paese al mondo come l’Austria-Ungheria, ad eccezione della Svizzera, le nazionalità mai hanno goduto di altrettanta protezione e considerazione dei loro interessi. Mentre la Gran Bretagna, nello stesso tempo in cui sosteneva i “popoli oppressi” dell’impero austro-ungarico, reprime nel sangue le rivendicazioni nazionali in Irlanda. Interessante la situazione evidenziata da Somma in merito all’esercito imperial-regio. Tutte le nazionalità avevano diritto di accedere alle cariche di comando, il tedesco, l’unica lingua parlata, rafforzava la coesione. “Si trattava in pratica di un vero e proprio crogiulo in cui vivevano, fianco a fianco, nella vita di ogni giorno popolazioni venute da tutte le regioni dell’impero […]”. In poche parole, in un tempo in cui i nazionalismi si presentavano violenti, “la monarchia austro-ungarica era riuscita a far coesistere nazionalità diverse, perchè la sua organizzazione era sufficientemente elastica da permettere a tutte di avere un loro posto al sole […] tutte le nazionalità hanno goduto della protezione della legge e avevano totale libertà di coscienza e di culto”.

Pertanto la cosiddetta liberazione dei popoli voluta a Versailles, con la creazione a tavolino di nuovi Stati, secondo lo storico John W: Mason, è stato un fallimento. Ben presto il nuovo ordine instaurato ha fatto rimpiangere quello precedente. Aveva ragione Francesco Giuseppe quando nel 1904 considerava il suo impero “come una casa e un rifugio per i popoli che lo abitavano […]”. Addirittura anche Winston Spencer Churchill osservò a sua volta con le stesse parole dell’imperatore come gli Asburgo erano riusciti a conservare uniti questi popoli, che non sarebbero stati in grado da soli, di resistere alle pressioni russe e tedesche. Il politico britannico era consapevole che i vincitori della prima guerra mondiale, cacciando gli Asburgo e gli Hohenzollern dai rispettivi troni, avevano inequivocabilmente favorito l’ascesa al potere di Adolf Hitler, con tutto ciò che ne era conseguito.

Il beato Carlo nella “finis Austriae”.

A questo punto il saggio di Somma si occupa della figura di Carlo d’Asburgo. Cercherò di presentare alcuni passaggi che magari Sanguinetti non ha affrontato. Per quanto riguarda l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, per lo storico, il panslavismo, “oltre a scatenare una tragedia senza precedenti, uccise il migliore amico che gli slavi potessero avere all’interno dell’impero”. Ferdinando era un uomo serio, capace, aveva capito che l’impero andava riformato, mutato istituzionalmente, non amava la divisione dell’impero in Austria-Ungheria. Tuttavia Ferdinando secondo von Polzer-Hoditz, avrebbe portato degnamente anche la Corona di Santo Stefano, che amava più degli stessi dirigenti politici magiari. Certo non amava la massoneria e la sua influenza nefasta, bastava solo questo per essere assassinato.

Nella Grande Guerra, Somma evidenzia il rapporto del nuovo imperatore Carlo con il capo di stato maggiore austro-ungarico, il generale conte Franz Conrad von Hotzendorf, che era da sempre favorevole ad una politica estera aggressiva e pretendeva troppo dai soldati. Invece Carlo era seriamente

preoccupato delle conseguenze che avrebbe avuto la guerra sull’impero e sui suoi popoli. Eco perché Carlo, visitò tutti i fronti di guerra. Sono molte le fotografie dell’epoca, quando Carlo anche prima di diventare imperatore, passa in rassegna le truppe, conferisce medaglie e si ferma a parlare con i soldati. I suoi viaggi nei “teatri delle operazioni belliche divennero per il sovrano anche un modo per incontrare i popoli dell’impero: non solo i suoi soldati, ma anche i civili, così duramente provati dalla guerra”.

Il presunto irredentismo italiano nel Trentino e nel Sud Tirolo.

A proposito di soldati, Somma ricorda, che i soldati reclutati in Trentino e nell’attuale Alto Adige italiano, erano composti da soldati di lingua italiana, oltre che di lingua tedesca. Nel Tirolo italiano furono mobilitate tredici compagnie di Standschutzen, i quali, scrive lo storico trentino monsignor Lorenzo Dalponte, respinsero le prime avanguardie italiane e, “nonostante il clima di diffidenza, che si era creato a causa della propaganda irredentistica, difesero ‘con coraggio e spirito di patria il confine con l’Italia’”. Se ci sono stati episodi di repressione dell’irredentismo italiano in questi territori, per Musajo Somma, occorre osservare che tali provvedimenti furono presi in tempo di guerra e con la monarchia danubiana sotto assedio, in una situazione drammatica, provvedimenti presi su iniziativa del comando militare locale. “Ben più gravi e profonde furono, purtroppo, le ferite lasciate nel Sud Tirolo dai tentativi di italianizzazione forzata – che videro anche una parte della popolazione emigrare in Germania – messi in atto a partire dalla fine del 1918 e proseguiti per lunghi anni”. Comunque sia secondo il Dalponte, la maggioranza delle popolazioni trentine era sostanzialmente estranea al nazionalismo italiano promosso da una parte della borghesia liberale delle città. Tuttavia Carlo conosce bene il territorio tirolese, perché nella primavera del 1916, da arciduca gli fu affidato il comando dell’offensiva austro-ungarica sul fronte tirolese, che guidò brillantemente. Preoccupandosi sempre delle condizioni spirituali dei soldati, fece tutto il possibile per non sacrificare vite umane in modo superficiale. Si può leggere in un ordine al suo corpo d’armata: “Pongo quale sacrosanto dovere di offrire il meglio, affinchè i feriti vengano presto curati e le truppe in ogni modo possibile ben trattate[…] Proibisco nel modo più severo il rubare ed il saccheggiare […] Ogni soldato del XX Corpo d’armata dev’essere compenetrato dalla convinzione che noi siamo i portatori della Kultur, anche nel paese del traditore”. Su questo fronte tirolese c’era pure l’arciduca Eugenio d’Asburgo, uno dei militari austriaci più brillanti e popolari di quegli anni, che sarà anche fra i testimoni del processo di beatificazione.

Il 2 dicembre, nel giorno della proclamazione del nuovo imperatore, Carlo fa il suo discorso ai popoli dell’impero, dove traspare il suo programma di governo: raggiungimento della pace il prima possibile e ristrutturazione dell’Austria-Ungheria su basi federalistiche. Somma cita le sue parole, sottolineando che non si tratta di espressioni vuote o di circostanza. Il saggio di Somma riporta alcuni particolari dell’incoronazione di Budapest del 30 dicembre 1916, Re Apostolico d’Ungheria mediante l’imposizione della sacra corona di Santo Stefano.

Iniziative di pace di Carlo, respinte dalle potenze dell’Intesa.

Una volta divenuto sovrano Carlo, indipendentemente dalla situazione sui campi di battaglia, che peraltro era a favore della duplice monarchia, avviò subito le trattative per arrivare alla firma dell’armistizio con la Francia e l’Inghilterra. Iniziative di pace, caldeggiate da Benedetto XV. Trattative che non ebbero esito positivo per diversi motivi. Diffidenza delle potenze alleate, atteggiamento ambiguo del ministro degli Esteri austriaco conte Ottokar Czernin von und zu Chaudenitz e poi per colpa dei vertici militari tedeschi, che peraltro tenevano in scacco l’imperatore Guglielmo, favorevole al piano di pace di Carlo. Anche i vertici italiani si distinsero a fare ostruzionismo contro qualsiasi trattativa di pace, a cominciare da Giorgio Sidney Sonnino.

Praticamente tra quelli dell’Intesa che erano più ostili all’impero (i repubblicani radicali di Parigi, Londra, Roma) e quindi caldeggiavano la guerra a oltranza, le iniziative di pace di Carlo costituivano una grave minaccia.

Carlo non era un sovrano debole e poco consigliato, come lo hanno fatto apparire. Secondo la storica Tamara Griesser-Pecar, emerge piuttosto un politico accorto e capace di precorrere i tempi, nonostante gli errori che potè compiere. E per lo scrittore francese, Anatole France, Carlo era “l’unico uomo onesto a occupare una posizione importante nel corso della guerra”. Per il suo sincero desiderio di pace, si era reso odioso e malvisto. Un dato è certo se nella primavera del 1917, la pace offerta da Carlo, “fosse stata accettata, centinaia di migliaia di vite umane sarebbero state risparmiate, l’Europa avrebbe evitato il collasso economico e morale […] si sarebbe potuto costituire un fronte comune contro il bolscevismo, il nazionalsocialismo avrebbe difficilmente potuto attecchire in Germania, l’Austria-Ungheria sarebbe sopravvissuta, […] la storia d’Europa avrebbe seguito un altro corso”.

Oltre a spendersi per la pace, Carlo da sempre convinto sostenitore del principio federalista, attraverso il celebre “Manifesto dei popoli”, cercò di promuovere una nuova struttura autonomistica dell’impero asburgico. Il nuovo impero doveva essere costruito sul diritto all’autodeterminazione, si doveva partecipare attraverso i consigli nazionali formati dai deputati al parlamento di ciascuna nazione. Ma ormai era tardi, crollando l’impero, l’11 novembre 1918, Carlo si ritira dagli affari di Stato, senza abdicare. Questa ferma posizione alla fine gli costerà l’esilio. Il 23 marzo 1919, la famiglia reale lascia l’Austria alla volta della Svizzera. Poi ci sono i due sfortunati tentativi di restaurazione, entrambi falliti. Somma racconta e commenta i due viaggi di Carlo d’Asburgo in Ungheria. Ci sono particolari interessanti da riportare, a cominciare dal comportamento ambiguo dell’ammiraglio Horty, che poi porterà l’Ungheria nell’orbita nazionalsocialista.

Falliti i tentativi di restaurazione, Carlo e Zita sono condannati all’esilio nell’isola di Madera, dove in poco tempo il nostro imperatore trova la morte il 1 aprile 1922. L’imperatrice Zita rimane sola con i suoi bambini.

L’ultima parte del saggio, lo storico piacentino la dedica alla beatificazione di Carlo d’Asburgo, vengono prese in esame le virtù cristiane dell’imperatore, la sua vita spirituale, i doveri di Stato. Infine è pubblicata l’intervista al postulatore, l’avvocato Andrea Ambrosi. Un ultimo particolare significativo è bene riportare. Alla domanda chi fra le personalità più note abbia avversato l’imperatore Carlo d’Asburgo. Ambrosi afferma che un “suo acerrimo

 avversario, soprattutto ex post, fu Adolf Hitler, che, pur austriaco, servì nell’esercito tedesco e disprezzò sempre quel suo connazionale, perché cristiano e perché imperatore”. Gli altri nemici sono stati il leader della massoneria austriaca, Sieghart-Singer e i due padri dell’infelice creatura politica che fu la Cecoslovacchia, Benes e Masaryk.

DOMENICO BONVEGNA

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