
Quello delle competenze è un tema sempre più importante per i ragazzi e le ragazze che si affacciano su un mercato del lavoro ultra-competitivo, in particolare quelli della Gen Z, cioè i nati tra il 1997 e il 2012. Giovani che, secondo un recente studio britannico pubblicato dal magazine di settore HrNews dimostrano maggiore preparazione dal punto di vista tecnico e delle hard skills ma meno rispetto a quelle che sono le cosiddette soft skills.
L’indagine, svolta su oltre 2mila persone, tra le quali 590 datori di lavoro, ha infatti evidenziato come studenti e lavoratori nella fascia di età tra i 18 e i 25 anni registrino le maggiori difficoltà in quest’area. In particolare, secondo la ricerca, quasi 4 su 10 (il 37%) hanno difficoltà nella comunicazione interpersonale, quasi 3 su 10 (il 28%) nella resilienza e nel problem solving (il 27%). Le difficoltà comunicative possono avere un impatto diretto sulle competenze chiave richieste in ogni ufficio, dato che quasi un quarto (24%) dei Gen Z non ama le conversazioni telefoniche e a volte addirittura le evita del tutto. Anche i millennial, tuttavia, sono restii a rispondere al telefono, con il 21% che ne fa volentieri a meno, quando possibile.
Tuttavia, a fronte di questi dati, quello che, secondo gli esperti, va assolutamente evitato è il cosiddetto “Gen Z bashing” e, in generale, il bashing generazionale, ovvero la tendenza a colpevolizzare i ragazzi e le ragazze. “Non possiamo permetterci di leggere questi dati come una colpa da imputare alla Gen Z. È una narrazione non utile e fuorviante”, afferma Francesca Verderio, Training & Development Practice Leader di Zeta Service, realtà italiana leader nella consulenza e servizi HR e payroll. “Queste fragilità – aggiunge – non sono un tratto anagrafico, ma il risultato di un sistema educativo e formativo che ha fatto il possibile ma non abbastanza e non aveva gli strumenti per evolvere con la stessa velocità del mercato del lavoro. Il Covid-19, con le sue lezioni a distanza e l’isolamento sociale, ha rallentato momenti di contatto fisico proprio in una delle fasi in cui si impara, a stare in relazione”.
Parole che trovano riscontro in ulteriori dati dell’indagine inglese: quasi metà (il 43%) delle persone intervistate ha infatti dichiarato di non aver ricevuto insegnamenti sulle competenze trasversali durante la più giovane età. Una tendenza che, però, proseguirebbe anche nel mondo del lavoro, con oltre un quarto (27%) dei partecipanti al sondaggio che ha riferito di non ricevere alcun supporto nello sviluppo delle competenze trasversali e il 43% che non partecipa ad alcuna formazione esterna o attività di team building. Eppure le soft skills nel lavoro sono fondamentali: anche in era di intelligenza artificiale i datori di lavoro, nello studio, hanno attribuito un’importanza maggiore alla capacità di svolgere un lavoro in squadra (55%) piuttosto che alle competenze informatiche, fondamentali solo per il 26%. Ma non tutto è perduto, le competenze relazionali si formano e si fondano fin dai primi anni di vita e possono essere certamente “risvegliate e riallenate”. Inoltre non possiamo dimenticare che, questa fase di fatica che queste generazioni hanno attraversato, ha certamente sviluppato capacità e punti di vista differenti dei quali le aziende e il contesto sociale devono fare tesoro.
“Oggi il contesto competitivo ci impone una riflessione strutturale: servono piani formativi che affianchino lo sviluppo tecnico a quello umano. – continua Francesca Verderio di Zeta Service — In un’epoca di AI, sono proprio le competenze che le macchine non replicano – ascolto, empatia, visione sistemica – a generare valore. Non solo, anche l’utilizzo efficace dell’AI è necessariamente connesso alla capacità umana di discernere, avere spirito critico e saperla usare come strumento ponendosi al di sopra e non lasciandosi influenzare o guidare da essa. Come professionisti e professioniste lo vediamo ogni giorno, sia internamente sia nelle consulenze che offriamo alle aziende per un più efficace e sostenibile sviluppo organizzativo: dai percorsi di coaching che aiutano le figure manager a integrare KPI e intelligenza emotiva, ai training blended per ruoli tecnici dove il problem solving convive con il pensiero empatico, fino ai progetti di team coaching che risolvono conflitti strutturali facilitando la collaborazione tra funzioni diverse. Anche per questo abbiamo deciso di formare le nostre persone, a partire dalle figure più junior, su soft skill come l’ascolto, la comunicazione per cooperare, lo spirito critico, il pensiero divergente, la propensione all’autosviluppo”.
Ecco allora quali sono, secondo le figure esperte di Zeta Service, le 10 caratteristiche comportamentali che chi oggi entra nel mondo del lavoro dovrebbe allenare maggiormente, accompagnato anche dall’azienda nella formazione:
- Focus su obiettivi singoli, costanza e coerenza: la capacità di concentrazione prolungata su un task va allenata accanto ad un multitasking che non va dimenticato.
- Comunicazione verbale e la capacità di integrare la relazione in modo multicanale: saper parlare con efficacia, integrando i contributi e conoscendo e governando le caratteristiche dei canali di comunicazione.
- La chiarezza espositiva e la capacità di trasmettere concetti in modo razionale e razionale: e-mail chiare, dirette e pertinenti sono fondamentali per una performance che mira a fare squadra e a risolvere problemi complessi.
- Accountability e Decision making: esercitare il potere e la competenza ad attivarsi rispetto al proprio livello di padronanza e sfidarsi ad andare oltre.
- Spirito critico: capacità di governare e farsi un’opinione propria e se serve divergente rispetto alla realtà che si affronta è la via per l’innovazione e la crescita, oltre che per un utilizzo davvero efficace dell’AI.
- Resilienza e locus of control bilanciato: avere la capacità di pesare i propri contributi e contestualizzarli, analizzando tutte le variabili in gioco, riconoscendosi azioni positive e mettendosi in discussione in ottica di miglioramento continuo.
- Negoziazione sostenibile, in logica sempre di reciproco vantaggio: una competenza chiave in ogni relazione professionale, interna o esterna.
- Ascolto attivo, empatia e cura autentica della relazione: comprendere, non solo sentire, è il prerequisito di ogni relazione sana. E comprendere i bisogni dell’altro è ciò che conferisce leadership e fiducia.
- Propensione all’autosviluppo: accogliere il feedback come leva di apprendimento, non come attacco personale.
- Pensiero positivo: non “pensare positivo” a tutti i costi, ma coltivare la capacità di leggere le opportunità anche nelle criticità.