GIORNATA ONU PER LE VITTIME DI ATTI DI VIOLENZA BASATI SUL CREDO RELIGIOSO

Comunità e minoranze religiose continuano a soffrire a causa di violenze basate sul loro credo. Atti violenti non accennano a diminuire, al contrario, la pandemia di COVID-19 e le sue conseguenze hanno solo inasprito le vulnerabilità di cui già precedentemente soffrivano comunità e minoranze religiose.

Sono troppi i paesi in cui individui sono regolarmente soggetti ad attacchi violenti a causa del loro credo religioso. La ricerca di Porte Aperte/Open Doors sulla persecuzione globale dei cristiani, la World Watch List pubblicata il 15 gennaio 2020 (una classifica annuale di
50 paesi in cui è più difficile essere cristiani), rivela una cupa realtà: appartenere a un credo religioso può rendere estremamente vulnerabili a discriminazione, violenza e persecuzione.
La Giornata internazionale per le vittime di atti di violenza basati sul credo religioso è stata istituita da una risoluzione dell’Assemblea Generale ONU che afferma: “Gli stati hanno la responsabilità primaria di promuovere e proteggere i diritti umani, compresi i diritti di persone appartenenti a minoranze religiose, tra cui vi è quello di esercitare la loro religione o credo liberamente.”
Nel nord della Nigeria, dove la legge Islamica è in vigore e applicata sia su casi civili che penali, i cristiani (che rappresentano una minoranza nel nord) sono regolarmente soggetti ad atti di discriminazione e intolleranza religiosa. A causa del coronavirus queste discriminazioni sono aumentate ancora di più. La Onlus Porte Aperte riporta casi di discriminazione nella distribuzione di aiuti umanitari ai cristiani: ci sono casi nello stato di Kaduna che confermano che famiglie cristiane hanno ricevuto razioni di cibo sei volte più piccole rispetto alle famiglie musulmane.
Nella cintura centrale della Nigeria, dove violenza e aggressioni contro comunità di contadini prevalentemente cristiani sono all’ordine del giorno, gli attacchi sono continuati tra l’impunità generale anche nei periodi di lockdown, durante i quali il governo nigeriano ha imposto restrizioni alla libertà di movimento dei suoi cittadini. Attacchi violenti si sono verificati soprattutto negli stati di Kaduna e Plateau, dove l’esercito di solito interviene solo ore dopo che gli attacchi sono avvenuti. Il 24 luglio, allevatori Fulani hanno attaccato il villaggio di Zikpak (Kaduna del sud) e ucciso 10 persone, ferite circa 11 e bruciato 5 case.

Le restrizioni governative hanno imposto ai nigeriani di restare a casa, ma in queste aree del paese stare a casa vuol dire essere nel posto in cui si è più vulnerabili ad attacchi, e le restrizioni, che non hanno di certo fermato gli aggressori, hanno impedito a cittadini innocenti di trovare rifugio altrove per salvare la loro vita.
Partner locali hanno comunicato a Porte Aperte che cristiani sono stati accusati di aver causato o diffuso la pandemia in Burkina Faso, Niger e Somalia. In India i cristiani sono perseguitati per la loro fede: spesso accusati di aver “forzato” qualcuno a convertirsi, vengono picchiati e i loro servizi religiosi interrotti da estremisti Indù. L’intolleranza religiosa è cresciuta a dismisura negli ultimi anni e il numero di casi di violenza contro i cristiani continua a essere alto. Aggravando la loro situazione già critica, alcuni cristiani sono stati esclusi da aiuti umanitari durante la crisi del coronavirus.
Un sondaggio redatto da un gruppo di ricercatori nel paese ha confermato l’alta intensità di attacchi a causa del coronavirus contro cristiani e musulmani. L’Institute of Development Studies ha riportato che il lockdown in India ha imposto un caro prezzo per i Dalit cristiani (i senza casta o appartenenti alla casta più bassa e svantaggiata in India), specialmente per coloro che lavorano come operatori sanitari, forzati a lavorare senza alcuna protezione come mascherine e tute protettive.

La disinformazione sul coronavirus in India ha avuto un forte impatto sulle minoranze religiose e le loro pratiche. La stessa fonte ha riportato un caso dove una folla di Indù ha interrotto il funerale di un dottore cristiano in un cimitero, protestando perché la sepoltura del corpo avrebbe “infettato tutto il vicinato”. A causa della folla inferocita, la famiglia del defunto ha dovuto seppellire il corpo in un cimitero Indù in una località più remota. Anche i musulmani sono stati accusati di essere untori della pandemia. Il quotidiano britannico Guardian ha
riportato un episodio di violenza accaduto nella zona nord-ovest di Nuova Deli contro un musulmano, Mehboob Ali: una folla Indù lo ha trascinato in un campo e violentemente picchiato con bastoni. Ali stava tornando a casa da una giornata di ritiro religioso e la folla lo ha accusato di essere parte di una cospirazione islamica per diffondere il virus tra gli Indù.

Gli aggressori lo hanno poi portato di forza in un tempio Indù nelle vicinanze e gli hanno intimato di rinunciare alla sua religione. Questi sono solo alcuni esempi che rappresentano la punta dell’iceberg di come il coronavirus ha avuto un impatto tremendo su comunità e minoranze religiose nel mondo. La violenza basata sul credo religioso non può essere più ignorata, e il prezzo pagato da uomini, donne e bambini la cui dignità umana viene calpestata a causa della loro fede è troppo alto.

Il coronavirus ha solo intensificato la pressione esercitata su comunità e minoranze religiose. È ora che gli stati si assumano pienamente quella responsabilità primaria di proteggere i diritti dell’individuo e assicurarsi che la loro fede non li renda vulnerabili ad attacchi violenti.