Caro direttore,
scrivendo questa storia – prendendo in prestito le parole di Pirandello – ho potuto sperimentare che l’uomo, quando soffre, si fa una particolare idea del bene e del male, e cioè del bene che gli altri dovrebbero fargli e a cui egli pretende, come se dalle proprie sofferenze gli derivasse un diritto al compenso, e del male che egli può fare a gli altri, come se parimenti dalle proprie sofferenze vi fosse abilitato.
Direttore carissimo, questa storia Inizia e finisce con una foto in bianco e nero. La foto ritrae quattro persone felici, se ne riconoscono facilmente due: il primo a sinistra è il giudice Giovanni Falcone. L’ultimo a destra è il collega Paolo Borsellino. Poi ci sono due carabinieri in divisa: io con il colonnello Giuseppe Parmitano, il mio maestro.
Ogni volta che osservo questa foto penso che con quel sorriso timido, più che un maresciallo del reparto investigativo dell’Arma, sembro un tifoso di calcio che ha chiesto di poter fare una foto con i suoi eroi. Ed è singolare che la fotografia sia in bianco e nero perché è stata scattata alla fine degli anni Ottanta. Una cosa so per certo, la foto consegna alla storia un momento perfetto, irripetibile perché diverso da tutti quelli che l’hanno preceduto e da quelli che seguiranno. Borsellino, Falcone e Parmitano hanno segnato il percorso della mia vita. Ci sono momenti di cui capisci il senso solo anni dopo, e solo quando ne parli a qualcuno. Ecco questa foto documenta uno di questi.
A soli ventisette anni volevo essere risarcito per i fallimenti, per i giudizi sprezzanti, per il mio cuore infranto, per quelle occhiate rivolte al cielo da mia moglie. E forse è per questo che ho pagato. Ma il conto è stato troppo salato: tre di quelle persone ritratte con me non ci so o più e io sono accusato di vedere fantasmi ovunque. Ma oggi non mi sento orgoglioso e credo che si debba tutti insieme fare un grande esame di coscienza, perché se il malaffare ormai ci ha così avvinghiato, c’è probabilmente una responsabilità diffusa. Ciò che manca è l’idea che l’onestà sia una cosa buona, accanto alla giustizia, all’amore e alla solidarietà. Dobbiamo chiederci dove abbiamo sbagliato.
Giacomo Sereni, l’ultimo di trentamila fantasmi
P.S.
Grazie per avermi dato spazio e dignità.