EDMUND BURKE IL CAPOSTIPITE DEL CONSERVATORISMO

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Per conoscere e studiare Edmund Burke partiamo dall’attualità politica di questi mesi. Per la prima volta in Italia un esponente politico di primo piano dichiara apertamente di voler costituire un Partito Conservatore, sto parlando di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia e del Governo italiano. “In Italia non era mai accaduto. Non solo, ma in Italia, con pochissime eccezioni, non vi è mai stato un movimento culturale organizzato di qualche rilievo che si richiamasse esplicitamente al pensiero conservatore”. (Marco Invernizzi, Conservatori senza partito. Il caso italiano, novembre-dicembre 2023, Cristianità)

Sostanzialmente il conservatorismo nasce nella storia, attorno a figure ben precise e soprattutto a un evento storico, che ha segnato un’epoca nella storia: la Rivoluzione francese del 1789. Il primo a rendersi conto della portata epocale della Rivoluzione francese fu un irlandese di Dublino, vissuto in Inghilterra, Edmund Burke. E’ considerato il “padre” del conservatorismo che poi in realtà era un liberale, deputato del partito whig.

Burke ha scritto un testo nel 1790, “Le Riflessioni sulla Rivoluzione francese”, definito “il manifesto di una controrivoluzione”. In Italia, la bibliografia su Burke non è eccessivamente nutrita e quello che esiste è abbastanza datato, come il testo di Riccardo Pedrizzi, “Edmund Burke. Le radici del conservatorismo”, Editoriale Pantheon (2000) Un libro ben documentato che ancora oggi può essere utilizzato per chi è interessato ad approfondire l’argomento.

Burke (1729-1797) è il primo ad aver compreso la portata storica della Rivoluzione francese ed averne individuato le conseguenze su tutto il mondo, tanto che alcuni l’avevano ingenuamente equiparata alla rivoluzione inglese del 1688. Pertanto per Pedrizzi al politico irlandese va riconosciuto “l’analisi comparata dei due fenomeni e, quindi, d’aver messo in evidenza le differenti motivazioni e filosofie”.

L’agile testo di Pedrizzi è prefato da Gennaro Malgieri, che pone il pensatore del conservatorismo inglese come un apologeta dei diritti concreti. Infatti nelle sue quattro battaglie parlamentari più importanti emerge proprio questo: 1 la tutela dei diritti acquisiti dei coloni britannici in America; 2 la difesa dei sudditi irlandesi; 3 la richiesta di messa in stato d’accusa di Warren Hastings, governatore generale dell’India; 4 l’avversione alla Rivoluzione francese.

Burke è stato riconosciuto come “difensore della prudenza”, secondo la felice definizione di Russel Kirk. Malgieri cita una definizione che caratterizza tutto il pensiero di Burke: “I popoli che non si volgono indietro ai loro antenati non sapranno neanche guardare al futuro”. Proprio in questa frase è contenuto il rifiuto culturale prima che politico nei confronti della Rivoluzione francese. Già una decina di anni prima dello scoppio della rivoluzione, aveva capito che la Francia stava per esplodere una catastrofe sociale e politica. Nelle sue “Reflections on the revolution in France”, dichiarava che “non si può distruggere tutto un passato e ritenere possibile costruire ex novo secondo uno schema ideologico”.

Il conservatorismo di Edmund Burke, secondo l’ex parlamentare ed ex direttore de Il Secolo d’Italia, “più che una dottrina, è un atteggiamento culturale immediatamente teso a dare concretezza politica ad un sentimento della vita e del mondo”. Il conservatore è “pronto a conservare fedelmente ciò che la storia ha tramandato e a tener testa senza panico alle novità, egli può essere visto come il vero rivoluzionario d’oggi, a differenza dei sedicenti tali”.

Prima delle pagine dell’Antologia, su Burke, Riccardo Pedrizzi offre un profilo dell‘uomo, del politico, dell’oratore e del pensatore. Fu il primo a lanciarsi nelle polemiche accese contro la Francia rivoluzionaria, che poi saranno prese in considerazione da tutti quelli che faranno parte della cosiddetta “controrivoluzione autoritaria cattolica”, ricordo De Maistre, De Bonald, von Haller, Donoso Cortes, i principali debitori di Burke.

Il pensatore irlandese aborriva le dottrine di Rousseau e di tutti gli altri filosofi illuministi. Egli fu “un psicologo sociale, sostenendo che il primo dovere di ogni uomo di stato deve essere lo studio del carattere del popolo che egli amministra”. Un valore fondamentale a cui Burke fa spesso riferimento è quello della continuità. Nei suoi scritti divenne quasi una religione. “Egli amava le libertà civili (per questo era stato dalla parte dei coloni americani, per questo aveva cercato di tutelare il diritto del popolo indiano ad una corretta e sana amministrazione e per questo si era battuto per un trattamento più umano degli schiavi negri) e constatava che la rivoluzione francese non aveva fatto altro che sostituire la tirannia capricciosa di una folla rivoltosa ad un governo assoluto che avrebbe dovuto, senza dubbio, essere corretto, liberalizzato ma non distrutto ed eliminato del tutto. Burke come il conte savoiardo Joseph De Maistre ha compreso che la rivoluzione dell’89 avrebbe avuto come logica conseguenza, più o meno a breve termine, la decadenza dell’Europa.

Seguono le analisi di Pedrizzi che mette a confronto le“Due società, due rivoluzioni, due costituzioni: Inghilterra e Francia”. L’ex senatore si domanda come sono potuti accadere tutti questi rivolgimenti rivoluzionari del 1789. Innanzi tutto occorre respingere la presunta somiglianza tra le due rivoluzioni, quella inglese del 1688 e quella francese del 1789. Nella prima il popolo inglese è insorto perchè “la monarchia pretendeva di governare contro le tradizioni, le consuetudini ed i privilegi acquisiti da generazioni e generazioni”. In Inghilterra, hanno fatto una rivoluzione conservatrice, per rivendicare le dignità e le libertà ereditate dagli antenati. In Francia invece, la borghesia, tentava di costruire una “nuova libertà”, distruggendo le libertà feudali e le tradizioni che ancora esistevano. Burke ha previsto che il movimento rivoluzionario francese, avrebbe infallibilmente condotto ad una dittatura militare, cosa che si avverò con Napoleone Bonaparte. Infine ha demolito tanti luoghi comuni, come quello che lo Stato francese prima della rivoluzione era in default economico. Tutto falso.

I brani antologici, curati da Daniele Civisca, si compongono del “discorso sulla conciliazione”. La “mozione di conciliazione con le Colonie”. Quindi la pubblicazione de “Le Riflessioni sulla Rivoluzione Francese” (la parte più corposa dell’antologia).In conclusione, c’è la presentazione del “Ricorso dai nuovi agli antichi Whigs”.

Nella Posfazione, Pedrizzi dà conto dei “disastri economici della Rivoluzione Francese”, un argomento poco studiato. Qui Pedrizzi avvalendosi di documenti contabili inoppugnabili sulla contabilità dello Stato, smaschera il racconto oleografico giacobino. Gli immortali principi , “libertà, fraternità e uguaglianza” non hanno impedito l’inflazione galoppante, i salari falcidiati, la disoccupazione, le frequenti carestie che affamarono i francesi durante il periodo rivoluzionario. “L’economia francese alla fine del processo rivoluzionario era ormai allo sfascio – conclude Pedrizzi – e il divario con l’Inghilterra, invece di diminuire, come era nelle speranze dei rivoluzionari, era aumentato considerevolmente”.

DOMENICO BONVEGNA

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