Diocesi Messina e il modello di Comunità pastorale

Monsignor Giovanni Accolla, arcivescovo di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, recentemente ha introdotto nella arcidiocesi, partendo da una parrocchia fuori città, il modello di Comunità pastorale.

 

di ANDREA FILLORAMO

Mi è giunta notizia, assieme agli immancabili allarmismi di qualche prete, che comunica e “predica” soltanto attraverso Facebook, che Monsignor Giovanni Accolla, arcivescovo di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, recentemente ha introdotto nella arcidiocesi, partendo da una parrocchia fuori città, il modello di Comunità pastorale. Giacché vivo nella grande arcidiocesi di Milano dove, da molto tempo, si sperimenta questa forma di pastorale d’assieme alla quale si interessano 470 parrocchie ambrosiane e che ha avuto la sua genesi durante l’episcopato del cardinale Tettamanzi, che ne ebbe l’intuizione e ne parlò per la prima volta durante la Messa crismale del 2006, mi permetto evidenziare alcuni aspetti, osservati “de visu” nella Parrocchia in cui risiedo, di questa esperienza, anche per tranquillizzare quanti sono allergici a tutte le novità e ai cambiamenti in campo ecclesiastico, incluso quel prete che scrive continui spot in Facebook.

C’è subito da dire che le Comunità pastorali, sicuramente come qualche prete teme che avvenga, non aboliscono le parrocchie. Accanto alle Comunità pastorali, infatti, si avranno sempre le singole parrocchie. Le Comunità pastorali sono, un modello flessibile, dinamico, che può essere applicato in forme diverse a seconda delle situazioni, fatta sempre salva la parrocchia.

La scelta e la verifica sulla forma più idonea compete agli organismi centrali e periferici della Diocesi e deve essere certamente frutto di una responsabilità collegiale e sinodale, secondo procedure che devono essere precisate, ma che vedono coinvolte sicuramente le comunità parrocchiali potenzialmente interessate.

Questa modalità assicura un servizio oggettivo al bene pastorale della gente e mette fuori gioco soggettivismi individuali e interpretazioni che sfigurano il vero volto di una Comunità pastorale. Da chiarire ancora che la Comunità pastorale non è una macro-parrocchia: è necessario che ciascuna parrocchia conservi la propria identità e le tradizioni valide in ordine alla comunione e alla missione.

In questo senso è importante che il parroco, responsabile della comunità, riconosca e promuova l’identità presbiterale dei confratelli vicari residenti nelle singole parrocchie cosicché questi possano serenamente fare un’esperienza di paternità nei rapporti con una comunità o ambito concretamente identificabili.

Spero che questa interessante esperienza trovi piena accoglienza anche nella arcidiocesi di Messina, dove non manca, come altrove il “campanilismo pastorale”, il “settarismo clericale” e “l’autoreferenzialità pastorale” dei presbiteri, malesseri che devono essere combattuti con ogni mezzo.