DALLA RECONQUISTA DELLA SPAGNA ALLA CONQUISTA DELL’AMERICA

Un tema storico che desta ancora molti contrasti e polemiche è quello della conquista dell’America da parte dei Conquistadores spagnoli, che dopo la scoperta di quei territori da parte di Cristoforo Colombo, si riversarono su quelle terre per conquistarle.

L’argomento viene sviluppato da un giovane scrittore, storico piemontese, Giorgio Enrico Cavallo, “1492, la Crociata che cambiò il mondo”, sottotitolo: “Dalla Spagna della Reconquista alla conquista dell’America”, pubblicato da D’Ettoris Editori (2023; pag.273; e 21,90). Il nuovo libro di Cavallo è la logica continuazione del volume “Cristoforo Colombo il Nobile”, pubblicato qualche anno prima sempre da D’Ettoris Editori. Dopo aver rivisitato la storia di Cristoforo Colombo, Cavallo riesamina le imprese dei successivi esploratori del continente americano. Il nuovo testo è composto da tre Parti (La Scoperta; La Crociata; L’Iberoamerica).

Il documentato testo viene presentato dall’Arciduca Carlo Filippo Maria Ottone Luca Marco d’Aviano Melchiorre d’Asburgo Lorena e da Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro. Nella Prefazione l’Arciduca descrive come meglio non si potrebbe i conquistadores avventurieri del XVI secolo: “combatterono battaglie sanguinose, contro la natura impervia, contro l’ignoto, contro le malattie, avendo la patria lontana e con la quale non avevano contatti diretti, se non mediante la ricezione e l’invio di notizie che spesso tardavano ad arrivare. Erano uomini valorosi, coraggiosi, che affrontavano davvero l’ignoto assoluto”. L’Arciduca segnala che ancora oggi ci sono personaggi, che sostengono che gli spagnoli giunsero nel nuovo mondo per occupare e distruggere una civiltà superiore e moderna rispetto a quella spagnola.

Ma non è questa la realtà, fu una civiltà che prevedeva i sacrifici umani, circa 20 mila o 25.000 l’anno. Tribù perennemente in guerra tra di loro, che cercavano di catturare il maggior numero possibile di prigionieri per poi offrirli ai propri dei. Dopo i sacrifici umani, gli arti venivano divisi e mangiati, il resto veniva dato ai giaguari. Per quanto riguarda l’aspetto della conversione degli indiani, che per qualcuno è stata forzata, fu relativamente facile, scrive l’Arciduca. “Gli indiani preferirono passare da una religione del terrore a una religione dell’amore. Una religione di un solo Dio piuttosto che una religione di decine o centinaia di dei. La religione cattolica portò loro molti vantaggi sulla dignità delle persone e come società”. Certo ci sono state anche delle eccezioni, molte conversioni forzate e talora cruente. Nessuno intende negare eventuali atrocità commesse dagli spagnoli.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II riferendosi alla scoperta, alla conquista e all’evangelizzazione dell’America ha dichiarato che ci sono state luci ed ombre. Nell’introduzione l’autore rende onore a Cristoforo Colombo, all’uomo che scoprì l’America e la consegnò al cattolicesimo romano, “l’uomo che ha portato l’Europa oltre l’Europa”. La Spagna dei quattro regni medievali (Castiglia, Aragona, Navarra e Leon) rendono omaggio all’uomo che più di tutti ha reso grande la Spagna. Cavallo fa riferimento ad Arturo Melida, un artista spagnolo che ha rappresentato plasticamente tutto questo nella Tomba di Colombo nella cattedrale di Siviglia evidenziando, giustamente, il carattere politico della Scoperta, reso possibile grazie all’appoggio delle corone di Castiglia e Aragona, allora unite sotto Isabella e Ferdinando II. L’artista della meravigliosa opera ha definito il navigatore un missionario, un crociato. Cavallo ci tiene a sottolineare la continuità tra la Reconquista che ha spezzato il gioco musulmano e la crociata di Colombo, terziario francescano e fervente cattolico, che ha esportato la Croce nel Nuovo Mondo. E’ una tesi straordinaria quella della crociata in America e nel libro viene consolidata in ogni capitolo. Tra l’altro tra le varie crociate medievali, quella iberica fu l’unica che funzionò davvero.

Nonostante la cupidigia e la pochezza morale di molti uomini che utilizzarono la fede come instrumentum regni. Tuttavia, occorre dare atto che “la fede militaresca di Cortes gli consentì di superare l’orrore dei sanguinari cannibali aztechi, sconfiggendo con un manipolo di uomini un impero potente e terribile […]”. Ma anche “la fede opportunista di Pizarro gli consentì di tenere uniti i suoi soldati facendo di un esercito raccogliticcio un implacabile nemico per i superbi signori delle Ande[…]”. Comunque sia, per Cavallo, “non si può negare che a spingere questi uomini verso l’impossibile fu la loro comune visione del mondo. Furono a loro modo, dei crociati”. Inoltre, Cavallo chiarisce che nel caso della conquista spagnola non può essere definita colonizzazione come quelle inglesi nel Nord America. I territori spagnoli, organizzati in vicereami, furono direttamente collegati alla madrepatria europea. “Nessun paese ‘coloniale’, d’altronde emanò nel corso dell’Era Moderna leggi così articolate e attente ai bisogni e alle libertà degli indigeni come la Spagna che varò le Leyes Nuevas sotto Carlo V”. Ecco perché Cavallo insite che si trattò di una crociata: “furono crociate, a modo loro; e lo furono perché condotte da cavalieri imbevuti di spirito crociato, cresciuti in un paese che si era costituito nella lotta contro i mori; lo furono perché portate avanti da re intimamente cattolici come Isabella, Ferdinando II, Carlo V e Filippo II; e lo furono perché, di fronte ad abomini come quelli perpetrati dai selvaggi aztechi, anche i più recalcitranti guerrieri castigliani divennero crociati”. Forse, addirittura, furono costretti a diventare crociati, altrimenti, “l’incubo senza fine dei sacrifici umani li avrebbe travolti: sarebbero diventati prigionieri ai quali sarebbe stato cavato il cuore, oppure sarebbero dovuti tornare indietro, mestamente”.

Certo Cavallo ammette che la guerra nel Nuovo Mondo ha inevitabilmente comportato atrocità e depravazione, che finisce per macchiare i nobili fini iniziali. “In guerra vincono i più ostinati”. E così troviamo da un lato nobili ostinati, dall’altro, personaggi abietti, meschini, squallidi e opportunisti; individui che antepongono la spada al dialogo; uomini che dietro il nobile fine di combattere il male, si fanno loro stessi portatori del diavolo stesso. Di tutto questo è consapevole Cavallo, riconosce che è un rischio occuparsi di questa Storia, una materia così vasta, “nella quale troppe voci hanno urlato e sedotto nel tentativo di mettere a tacere la verità o distogliere il pubblico da essa”. Lo studioso piemontese si è dato un compito forse titanico, quello di bilanciare Leggenda Nera e Leggenda Aurea, addentrandosi, “tra luci ed ombre che sempre, come tutti gli avvenimenti umani, segnano la vita dei popoli”. Lo storico deve sempre raccontare la Verità, del resto diceva Cretineau-Joly: “la Verità è l’unica carità concessa alla Storia”.

Nel I Capitolo della I Parte, Cavallo tratta gli avvenimenti che hanno portato all’anno della Spagna, cioè il 1492. Tutto iniziò il 2 gennaio 1492 con la conquista di Granada, ultima roccaforte islamica in terra iberica. Una storia segnata dalla crociata di riconquista. Qui in Spagna ci sono state tante guerre di riconquista che possono essere definite delle crociate riuscite rispetto a quelle fallimentari della Terrasanta. Per Cavallo le crociate non sono finite con la caduta di san Giovanni d’Acri nel 1291. Bisogna ripartire da qui dove gli storici hanno interrotto la narrazione sulle crociate. Lo studioso riflette sulla Reconquista spagnola intesa come prima crociata, perché è iniziata prima delle crociate vere e proprie. Per comprendere la Reconquista occorre conoscere la religiosità della penisola. Tutta la Spagna era imbevuta di spirito crociato, “tanto da rendere inscindibile l’aspetto militare da quello missionario e della fede più intima e personale”. Lo spagnolo viveva in una terra di frontiera e non poteva agire e pensare diversamente. La sua fonte di ispirazione erano i cavalieri che stavano cacciando i mori dalla penisola. Cavallo fa riferimento alla cattolicità dello spagnolo iniziata con Giacomo il Maggiore, il quale ha avuto il privilegio di essere incoraggiato da Maria Santissima in persona, apparsa nel 40 d. C. sula riva destra del fiume Ebro a Saragozza. Da qui parte la storia della penisola iberica cristiana. “La Madonna del Pilar, proclamata protettrice dei popoli ispanici da papa Giovanni Paolo II, è legata a filo doppio con la storia di questa nazione e del mondo, perché curiosamente Colombo – che alla Vergine era devotissimo – toccò terra proprio all’alba del 12 ottobre, giorno in cui la Chiesa venera la memoria dell’apparizione di Saragozza”.

Nel II Capitolo l’autore affronta il tema dei viaggi di Colombo. Nonostante la furia iconoclasta dei seguaci dell’ideologia woke, il grande navigatore fu uno dei più importanti uomini della storia, un protagonista indiscusso. A proposito di questi viaggi e poi anche delle varie spedizioni dei Conquistadores, il libro è corredato da pregevoli disegni presumo dell’autore. Il III Capitolo si occupa di Amerigo Vespucci e della “Sua” America. Il IV Capitolo entriamo nel tema più delicato del libro: “L’Identikit del Conquistadores spagnolo”. Per farlo Cavallo si affida a Francesco Guicciardini. Mi piacerebbe raccontarlo, ma devo frenarmi per non far diventare la recensione un saggio. Tuttavia, ci sono delle interessanti domande che l’autore pone al lettore. Per esempio: chi pagava i conquistadores? L’Eldorado tanto decantato esisteva? Come è stato possibile conquistare un così vasto impero? Il VI Capitolo della II Parte tratta della “Crociata messicana”. Qui il protagonista è Hernan Cortes, un vero cavaliere. “Di fronte alle atrocità dei cannibali aztechi, infatti, soltanto un uomo con la tempra di Cortes, spronato da lati ideali, poteva avere la meglio e non desistere, nonostante le molteplici e terribili difficoltà incontrate”. Cavallo nel descrivere la religione e la guerra contro l’impero azteco fa riferimento a diversi storici, ma in particolare a B. de Sahagun. Il VII Capitolo tratta della Crociata Peruviana di Nunez de Balboa, il cavaliere che scoprì il Pacifico. Anche qui Cavallo pone delle domande decisive nelle varie spedizioni, in particolare quella di Francisco Pizarro e di altri meno conosciuti. Forse merita una menzione quella di Orellana nel 1542 nella foresta amazzonica. Nella III Parte (L’Iberoamerica) l’ultima parte del libro tratta della fondazione dell’America. Anche qui sono interessanti le domande poste dall‘autore. I conquistatori furono liberatori? E qui si dà conto della propaganda anti-spagnola e la questione di Las Casas, con le sue tesi che portano alla Leggenda Nera della conquista. Anche Cavallo contrappone un francescano al domenicano Las Casas e cioè Toribio de Benavente (1482-1568) detto Motolinea. Disgustato delle falsità di Las Casas, scrive a Carlo V una Brevissima Relazione. Le critiche del domenicano ci portano a discutere sulla questione della schiavitù degli indios. Cavallo cita un documento della Chiesa del 13 gennaio 1435 di papa Eugenio IV che emanò una bolla contro la schiavitù. Ma anche la regina isabella la Cattolica si impegnò da subito (1501) affinché gli indios non fossero posti in schiavitù. Certò passò molto tempo per attuare le leyes de Burgos e poi quelle Nuevas, spesso venivano disattese. Un altro fattore di accesa discussione è la questione dell’encomienda, che era la proiezione sul suolo americano, del sistema feudale cristiano-cattolico. Dopo la fondazione di diverse città, c’è una forte attenzione alla cultura da parte della Spagna di Carlo V, a Lima il 12 maggio 1551 viene fondata la prima università del continente, la Real y Pontificia Universidad de la Ciudad de los reyes de Lima. Gli spagnoli e gli indigeni americani non si scontrarono solo, ma si incontrarono.

Dopo la conquista, avvenne l’unione dei due popoli, quello che non accadde poi nel nord America. Cavallo rileva nelle popolazioni indigene una forte sete di cristianesimo, per certi versi, sembrava che gli indios non attendessero altro che l’arrivo degli esploratori. L’evangelizzazione dell’America fu una sfida titanica, compiuta con mezzi insufficienti ma con una tenacia senza pari. L’autore del libro ricorda diversi santi missionari. Luigi Bertrando, domenicano che seguiva la mistica santa spagnola Teresa d’Avila. Molti versarono il loro sangue per gli indigeni. Santi vescovi come san Toribio di Mogrovejo. Lo studio di Cavallo si conclude con l’apparizione sul Topeyac della Madonna all’indio Juan Diego. La conquista del Messico era avvenuta nel 1521 e ancora gli abitanti del Nuova Spagna non tutti si erano convertiti, nel 1531 avviene uno dei più celebri eventi della storia della Chiesa moderna, la Vergine di Guadalupe mette il sigillo alla conquista del Nuovo Mondo.

DOMENICO BONVEGNA

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