Come sarà la Chiesa dopo Papa Francesco?

di ANDREA FILLORAMO

Come sarà la Chiesa Cattolica dopo Papa Francesco? Nessuno lo sa e ogni risposta a questa domanda si traduce in un’idea che scaturisce da  ipotesi soggettive, che perché tali, sono totalmente slegate da quel che avverrà sicuramente in un’istituzione che ormai sembra divenuta anacronistica, gravata da retaggi patriarcali e imprigionata in un mondo in progressivo dissolvimento, che Papa Bergoglio, a causa delle lotte intestine che ci sono nella Chiesa, ha soltanto fortemente scosso dal torpore, indicando una strada impervia da percorrere e ha  rotto così dei tabù che sembravano intangibili.

A parere di tanti osservatori delle mosse di coloro che inevitabilmente saranno i futuri protagonisti della Sede Vacante che sono entrati già in un pre-conclave, la partita per la successione di Francesco è stata avviata e la corsa per preparare il terreno al nuovo pontefice è già tracciata e non c’è nulla di cui meravigliarsi visto che per il dopo Wojtyla iniziò grosso modo nella seconda metà degli anni Novanta, un decennio prima della sua morte. 

C’è anche chi, in questi ultimi tempi frastornato di quel che avviene nella Chiesa, si chiede anche se sia ancora necessario il Papa come guida di un miliardo e 200 milioni di cattolici in tutto il globo,

A questi ultimi rispondiamo che attualmente il Papa è la figura religiosa più importante del cristianesimo, leader spirituale ammirato dai credenti delle altre confessioni e di capi di Stato. Ma – la domanda è d’obbligo – il suo soft power resterà inalterato nel tempo? 

È certo che il pontificato di Bergoglio, con tutti i limiti e le problematiche che si trascina, è la dimostrazione che il papato gode di “ottima salute perché è una istituzione che in duemila anni di vita ha saputo riadattarsi ai profondi e radicali mutamenti del tempo”. 

Ciò, però, non toglie che in un futuro un nuovo pontefice possa ripensare questa antica e insuperata istituzione.

Non mancano i retroscena in vista del prossimo conclave, nel quale, se fosse oggi siederebbero 75 cardinali nominati da Francesco, 40 da Benedetto XVI e 16 da Giovanni Paolo II. Per essere eletto Papa, nelle prime votazioni, sarebbe necessario ottenere almeno i due terzi dei voti, pari a 86. A livello di Continenti, la geografia del Collegio cardinalizio votante sarebbe: Africa, 17; Asia, 16; America latina, 24; America del Nord 13; Oceania, 4; Europa, 54.

“È evidente che le fazioni, quella progressista delusa per le mancate aperture del pontificato di Francesco, quella conservatrice che vuole un ritorno al regno ratzingeriano e quella bergogliana che, invece, vuole proseguire l’opera riformatrice del Papa latinoamericano, si stanno già organizzando per non farsi trovare impreparate nel momento in cui inizierà la Sede Vacante”.

È chiaro ovviamente che sarà determinante a quali protagonisti dei rispettivi schieramenti ecclesiali saranno aperte le porte della Cappella Sistina, a motivo ovviamente dell’età che dev’essere, come stabilito, inferiore agli 80 anni”.

Il successore di Papa Bergoglio, chiunque egli sarà, non potrà non tenere conto che, come ha efficacemente sintetizzato papa Francesco: “non ci troviamo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca. Un intero scenario di paradigmi e valori, nel quale la cultura cristiana ha potuto radicare le proprie forme pastorali, sembra di colpo svanito. Lo stato d’animo di molti credenti è esposto ai rischi dello smarrimento, dell’accidia o dell’attaccamento risentito al passato”.

Al prossimo pontefice la scelta:  egli, o si barricherà, come vorrebbero i tradizionalisti,  dentro il Vaticano con la sua millenaria ortodossia, con le sue scomuniche e i suoi indulti, nel disprezzo della scienza, della tecnologia, della sessualità definita da Papa Francesco un “ dono di Dio”, delle donne, degli omosessuali o si assumerà il coraggio di gettare via la cultura conservatrice, salvando quello che c’è di buono, prefiggendosi innanzitutto di alleviare le sofferenze umane, rinunciare ai privilegi, agli affari, denunciare le ingiustizie, le atrocità che gli uomini compiono a qualsiasi latitudine, collaborare attivamente a sconfiggere le povertà umane che  sono il vero male che c’è nel mondo. Non potrà non far tuonare la sua voce di fronte alle brutalità compiute sui bambini, senza agire prevenendo gli abusi sui minori da parte dei suoi stessi ministri. Egli non potrà infine non realizzare totalmente quelle se sono fra le più grandi novità che papa Francesco ha introdotto nel linguaggio ecclesiale, che necessita di una franca autocritica magisteriale. Negli ultimi tempi, infatti, una serie di suoi documenti – due lettere “motu proprio” e un discorso – hanno potentemente rilanciato le esigenze di riforma attraverso un’analisi spregiudicata della tradizione recente, senza nascondere i necessari compiti di autocritica. È questo un elemento di grande e preziosa originalità del magistero di Francesco, quello di unire al compito critico il compito autocritico, che deve essere portato avanti dal suo successore, che deve tenere conto del fatto che, se la Chiesa si era specializzata da due secoli nella critica del mondo, molto più timido e a volte quasi assente era stato l’esercizio della autocritica, spesso confuso con il cedimento al nemico.

Il prossimo Pontefice, quindi, porterà a compimento il piano di Papa Francesco, che era stato anche quello del Cardinale Carlo Maria Martini, anche lui gesuita, arcivescovo di Milano, il più autorevole e osannato antagonista dei pontificati di Wojtyla e Ratzinger, i cui seguaci hanno visto in Francesco colui che ne ha raccolto l’eredità, che in una intervista, aveva detto:

La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque, la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?”

Il 18 giugno 2009, in un’intervista su “La Repubblica” con Eugenio Scalfari, il Cardinale aveva affermato: “La struttura diplomatica è fin troppo ridondante e impegna fin troppo le energie della Chiesa. Non è stato sempre così. Nella storia della Chiesa per molti e molti secoli questa struttura non è neppure esistita e potrebbe in futuro essere fortemente ridotta se non addirittura smantellata. Il compito della Chiesa è di testimoniare la parola di Dio”.

Martini aveva anche scritto: “Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo … Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa”.

Da alcuni anni il Cardinale Martini è con Dio e il suo sogno, che è quello di Papa Francesco continua a concretizzarsi nella Chiesa, i cui cambiamenti hanno bisogno di un processo di   “longue durée”, come vengono chiamati i tempi storici dalla  scuola francese degli Annales, che dà la priorità alle strutture di lunga durata piuttosto che agli eventi. Tale approccio introduce il metodo sociale scientifico nella storia.

 Anche, quindi, i cambiamenti, quelli veri e importanti, nella Chiesa non avvengono durante un singolo pontificato che dura pochi anni ma probabilmente durante più pontificati, quindi, in tempo più lungo, governato non dagli uomini ma dalla provvidenza, che non ha mai fretta per intervenire.