Chiesa & fedeli: Ogni parroco è al servizio della comunità

Cosa pensi del mio parroco da moltissimi anni, che, pur essendo molto anziano non vuole dimettersi dalla parrocchia?

 

di ANDREA FILLORAMO

Rispondo al quesito postomi telefonicamente da un amico messinese di Facebook: “Cosa pensi del mio parroco da moltissimi anni, che, pur essendo molto anziano non vuole dimettersi dalla parrocchia? È questa una domanda che ci poniamo in tanti (…) A tuo parere, come può affrontare questo problema l’arcivescovo Accolla? Questa domanda l’ho posta a due preti, che non si sono sentiti di rispondermi…………”
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Premetto che non è mio compito, né intendo esprimere giudizi sul caso posto alla mia attenzione. Le mie saranno considerazioni piuttosto generali suggerite o imposte dalla normativa ecclesiastica e dal buon senso, al di là del fatto, che nel caso specifico potrebbe anche trattarsi, non di mancata dimissione ma di non attuale accettazione delle dimissioni da parte dell’arcivescovo, che, in quanto tale, gode della massima discrezionalità nell’accettare o respingere le dimissioni stesse.
Osservo, innanzitutto, però, che non sono pochi i parroci in ogni diocesi, che pur essendo in età da pensione, o avendola anche da tempo superata, non sembrano intenzionati a dare le dimissioni (i motivi sono sempre soggettivi e possono essere tanti), così come prevede il codice di diritto canonico, che, nel Can. 538 – §3 dice: “Compiuti i settantacinque anni, il parroco è invitato a presentare la rinuncia all’ufficio al Vescovo diocesano, il quale, considerata ogni circostanza di persona e di luogo, decida se accettarla o differirla; il Vescovo diocesano deve provvedere in modo adeguato al sostentamento e all’abitazione del rinunciante, attese le norme emanate dalla Conferenza Episcopale”.
E’ certo che, se il parroco molto anziano, invitato ma non obbligato a dimettersi, non si dimette, non tiene conto, che così facendo – è bene dirlo – blocca il ricambio, fa diventare la pastorale gradualmente più lenta, meno pronta e vivace e meno in grado di sintonizzarsi con i cambiamenti che la chiesa vuole.
Fu il Concilio, all’ inizio degli anni Sessanta, a scrivere la regola: “L’idea era quella di svecchiare il clero ma nella Chiesa di oggi è finita come nella società: chi ricopre incarichi non si dimette, e tutti si autoassolvono”.
Ogni incarico nella Chiesa non è un privilegio per accentrare potere, ma un servizio, Non prevede alcuna forma esasperata di comportamento autoritario, rifugge dalle ambiguità, non ambisce a raggiungere a ogni costo posizioni di successo.
L’idea che i parroci si debbano dimettere è segno di grande libertà e democrazia.
Anche nella Chiesa c’è il rischio di valutare le persone per l’incarico che hanno. Ma queste sono le logiche del mondo. Un sacerdote non smette mai di essere tale.
Arriva un tempo in cui non sarà più parroco, ma non per questo non potrà svolgere altre funzioni: celebrare la messa, confessare, etc. in chiese e in qualche parrocchia che non sia possibilmente quella in cui è stato parroco, se ciò condiziona il suo successore, Ogni parroco è al servizio della comunità diocesana. Potrà continuare a lavorare finché può, anche se non più parroco.
Solo una effettiva docilità/obbedienza, insieme ad uno sguardo autenticamente pastorale e ad un buon rapporto con il suo Vescovo, consente di vivere il momento di lasciare la parrocchia con una certa serenità.
Il parroco, divenuto emerito, ha la possibilità, non avendo più impegni e responsabilità di affrontare l’età che avanza, di avere un più sano approccio alla vita per rendere più lieve il peso degli anni, senza di colpo pensare solo al senso di perdita per ciò che non è più.