CARLO D’ASBURGO, L’IMPERATORE SANTO

L’interessante convegno di Torino su “Carlo d’Austria uomo di fede e di pace”, organizzato da Alleanza Cattolica e dal Centro Culturale Pier Giorgio Frassati, mi ha spinto a rileggere il documentato volume “Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo”, pubblicato da D’Ettoris Editori (pag 222, e. 18; 2004), scritto da Oscar Sanguinetti e Ivo Musajo Somma, quest’ultimo era presente al convegno, insieme all’arciduca d’Austria-Este Martino, e il giornalista Roberto Coaloa.

L’evento è stato presentato dal professore Mauro Ronco e l’avvocato Marco Giorgio entrambi responsabili delle associazioni che hanno promosso l’evento.

Il 1 aprile 1922 moriva in esilio nell’isola di Madera, Carlo I d’Austria  lasciava questo mondo all’età di 35 anni. Per onorare i 100 anni dalla morte presento il volume pubblicato dalla casa editrice crotonese, che si apre con un invito alla lettura del compianto don Luigi Negri, dove sottolinea la fedeltà del giovane imperatore alla Chiesa cattolica e in particolare al magistero di Benedetto XV, una preoccupazione costante. Una figura quella di Carlo osteggiata perché andava controcorrente nei confronti della politica europea e quindi mondiale.

Per monsignor Negri, “Carlo fu innanzitutto un testimone,[…] di quella fede, che se è tale, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, non può non diventare fonte di cultura e, quindi, di impegno sociale”.

Il libro è prefato da Marco Invernizzi, che ricorda il profondo interesse di Alleanza Cattolica per la figura di Carlo d’Asburgo e le persistenti preghiere per la sua canonizzazione. Carlo d’Asburgo espressione di un mondo storico, la cristianità occidentale, che ormai è scomparsa da tempo. Il suo nome richiama altri due Carli: Carlo Magno (742-814) e Carlo V (1500-1558). Tutti e tre ricordano l’Europa, che purtroppo non c’è più. Ora la nostra Europa ha bisogno di una nuova evangelizzazione, che sarà un altro mondo storico rispetto a quello che ha lasciato Carlo d’Asburgo. “Per questo bisogna evitare di confondere l’ammirazione per Carlo e per il mondo con lui scomparso, con l’opera culturale e missionaria richiesta ai cattolici di oggi”.  Tuttavia Invernizzi ricorda che Carlo I d’Asburgo, “ci invita all’unica nostalgia che ha sempre una ragion d’essere, la nostalgia della santità”.

 

Il testo si divide in tre parti: la prima parte scritta da Sanguinetti (Immagini e momenti della vita del beato Carlo d’Asburgo). La seconda, scritta da Musajo Somma (Il beato Carlo d’Asburgo nella “finis Austriae”), la terza di Andrea Ambrosi, il postulatore della causa di beatificazione spiega l’iter verso la beatificazione e i suoi “nodi”.

La sua famiglia. Carlo nasce il 17 agosto 1887 a Persenbeug sul Danubio, figlio dell’arciduca d’Austria Otto Franz Josef, la madre è l’arciduchessa Maria Josefa Luisa di Sassonia-Wettin. Naturalmente un ambiente religioso. Maria Josefa, racconta la contessa Korff: “era una donna profondamente pia, rigorosamente cattolica, coscienziosa, retta, attaccata con tutto l’amore ai suoi figli e nipoti […] pregava molto, faceva quotidianamente la sua meditazione […] aprì nel suo palazzo Augarten di Vienna un ospedale, dove curava lei stessa con abnegazione i soldati feriti”. Infatti il libro pubblica un’immagine della madre di Carlo, con il camice bianco da infermiera.

Carlo, come tanti suoi antenati della casa asburgica, viene instradato alla carriera militare. La vita militare per il nostro, non rappresenta una contraddizione e neppure tensione con la vocazione cristiana, che in lui cresce sempre più nitida. Carlo è cosciente che il mestiere delle armi può essere vissuto in vari modi, Carlo sceglie lo spirito della cavalleria, che “non significa infatti semplicemente portare le armi – scrive Sanguinetti – e usare, con perizia, la forza, ma, se vissuta cristianamente o anche solo virilmente, richiede di porre tutto ciò al servizio del bene e della difesa di chi è più debole”.

Sanguinetti è convinto che Carlo abbia sofferto il clima di rudezza e spesso di volgarità che da sempre è presente negli ambienti militari. Una testimone al processo di beatificazione ha testimoniato che Carlo durante il servizio militare ha continuato a coltivare la sua vita di pietà senza nessun minimo rispetto umano.

Il fidanzamento e le nozze. Il giovane arciduca conosce fin dall’infanzia, la diciottenne principessa italo-francese Zita Maria delle Grazie di Borbone-Parma. Si sposano il 21 ottobre 1911; a Zita Carlo prometterà e manterrà fedeltà assoluta, sia prima, sia durante gli anni della loro breve e travagliato matrimonio. I testimoni raccontano che il pontefice Pio X apprezzava molto il giovane arciduca austriaco e ne preconizzava l’ascesa al trono. Il libro pubblica una lettera di auguri scritta di suo pugno da Papa Sarto.

I due sposi affidano se stessi alla Vergine. “Pochi giorni dopo le nozze Carlo e Zita si recheranno al santuario di Mariazell, cuore religioso dell’impero – dedicato contemporaneamente alla Magna Mater Austriae, alla Magna Hungarorum Domina e alla Regina Croatiae – per consacrarsi entrambi a Maria”. Peraltro, per rafforzare la loro vicinanza a Maria, i due sposi, faranno incidere all’interno dei rispettivi anelli di nozze l’incipit della preghiera mariana “Sub tuum praesidium”. L’intesa fra i due giovani è piena e la loro breve vita in comune manterrà sempre questa caratteristica.

Il matrimonio sarà allietato da ben otto figli nell’arco di undici anni. Il primo Franz Joseph Otto, nasce nel 1912, l’ultima Elisabetta Carlotta, due mesi dopo la scomparsa di Carlo, in Spagna. Fra i due vedono la luce, Adelaide, Roberto, Felice, Carlo Lodovico, Rodolfo, Carlotta Edvige. Sanguinetti, fa notare che ad ogni nome di questi figli, tranne al primo, viene apposto quello di Marco d’Aviano, il cappuccino friulano, che salvò la monarchia asburgica e l’Europa dall’ennesima offensiva turca nel 1683.

L’assassinio dello zio Francesco Ferdinando a Sarajevo nel luglio 1914, modifica la linea di successione al trono e Carlo diviene l’erede designato, il Thronfolger. L’autore del saggio suppone che cosa sarebbe stata la vita di Carlo e Zita, se la pallottola del giovane anarco-nazionalista serbo Gavrilo Princip avesse mancato il bersaglio? Ma la storia, come ben sappiamo, non si fa con i “se” e con i “ma”. Poi il 21 novembre del 1916 l’anziano imperatore di casa Asburgo, Francesco Giuseppe, che ha governato l’impero per quasi settant’anni, lascia questa terra. Così Carlo diviene, per la legge successoria della dinastia asburgica, il nuovo imperatore.

L’imperatrice Zita racconterà gli ultimi istanti dell’anziano sovrano sul letto di morte, quando Carlo assunse la sovranità, col rosario in mano. Anche se Sanguinetti sottolinea il particolare che Carlo non sarà mai incoronato imperatore d’Austria, non ci sarà il tempo, solenne, invece, sarà l’incoronazione a re apostolico d’Ungheria, che egli riceve per rafforzare il legame con l’irrequieta Ungheria, durante lo stato di guerra. Di questa incoronazione a Budapest, rimangono alcune istantanee, che documentano lo splendore e la grandiosità della cerimonia di consacrazione, nonché la vasta partecipazione popolare. Interessanti le parole del vescovo nella preghiera dell’incoronazione, ne prendo alcune: “[…] così tu,quale vero Servo di Dio all’esterno e quale forte difensore della Chiesa, devi prestarci aiuto contro ogni male ed ergerti come buon amministratore e fruttosa guida del regno che ti è donato da Dio e che, in rappresentanza degli Apostoli e di tutti i santi, viene affidato alla tua direzione dalla nostra autorità benedicente”. Naturalmente sottolinea Sanguinetti, queste parole per Carlo, non sono vuote formule o convenzionali, ma divengono un’autentica missione e ragione di vita. A questo punto l’autore si interroga se Carlo ha opinioni politiche, o meglio se si riconosce in qualcuna delle culture politiche del Novecento. Sicuramente quello che gli sta a cuore , “sarà il progetto cattolico di società, indipendentemente dalle sue diverse declinazioni politico-partitiche: si adopererà soprattutto per far approvare leggi che potremmo definire ‘di base’[…]”. Riuscirà a far proibire il duello, anche quello fra i militari.

Il testo fa emergere alcune caratteristiche del nuovo imperatore, a cominciare dallo stile di comando: un misto di abnegazione, mitezza, ardimento, sollecitudine per le proprie truppe fin nei minimi dettagli. Si preoccupa anche delle loro famiglie rimaste a casa.

La guerra “limitata”. Tuttavia, scrive Sanguinetti, la direzione delle operazioni di guerra conosce un nuovo impulso. “Come sempre, egli è attento a non praticare due morali, ma intenzionato ad agire interamente da cristiano, anche come sovrano e in veste di comandante supremo. Carlo si sforzerà, quindi, ogni giorno, di leggere gli avvenimenti e gli sviluppi del conflitto alla luce della fede, di temperare lo spirito di rivalsa e di vendetta, di addolcire le crudezze dello scontro, di evitare le slealtà e le ingiustizie […]”. Spesso le sue scelte gli costeranno non pochi scontri con i propri generali e soprattutto con i comandi germanici. Per esempio, Carlo, per principio è contrario alla guerra sottomarina praticata su larga scala dai tedeschi. Egli si opporrà quando si penserà di bombardare di sorpresa le città delle coste italiane, in primo luogo Venezia. Per gli stessi motivi porrà limitazioni alla guerra aerea, soprattutto all’uso delle bombe incendiarie e farà di tutto per bandire su tutti i fronti l’uso dei gas asfissianti nella guerra di trincea. “Questa idea – un po’ medievale e molto cattolica – della guerra limitata, portata avanti con forte determinazione, gli alienerà a lungo andare le simpatie dei comandi alleati, ampiamente influenzati dai circoli militaristici e nazionalistici”. Naturalmente per la prima volta nella storia delle guerre, la propaganda ha avuto un ruolo importante, si cerca di montare leggende contro il sovrano pio come quella di  farsi guidare dalla consorte Zita, “l’italiana”.

La pace frutto della giustizia. Il testo si sofferma sui tentativi di pace da parte dell’imperatore austriaco. “Carlo non è un pacifista”, inteso nel senso del cosiddetto pacifismo come oggi si manifesta nelle piazze. Il sovrano, “osserva con scrupolo di coscienza la sua fede e ascolta la voce del magistero, interprete autentico e custode di essa. Egli ha notato con quanta accuratezza e dolore Papa Pio X – che si dice sia morto di dolore proprio per questo – ha accolto la notizia della conflagrazione europea e con quale pena e trepidazione il suo successore assista ai tragici sviluppi degli eventi bellici”.

Carlo dichiarerà sempre che la ricerca della pace e la fine del conflitto sono per lui la priorità “prima” da perseguire. Anche se non si tratta di una volontà cieca. Addirittura sembra che ci siano stati da parte sua una ventina di tentativi di pace. Nella deposizione al processo della figlia più piccola di Carlo, dirà che suo padre tentò di concludere una pace in comune col Papa, si possono consultare gli archivi della Casa, della Corte e gli atti dello Stato. Naturalmente tentativi di pace malvisti dai tedeschi. Carlo sa che la guerra è una minaccia che aggraverà i vari popoli, alimentando i nazionalismi, istigati dalle élite ideologizzate e dalla propaganda avversaria. A questo proposito il giovane imperatore tenta di trasformare la monarchia in uno Stato federale, con larghe autonomie per i diversi paesi e culture. L’altra minaccia è quella della rivoluzione socialista che incombe su tutta l’Europa.

Comunque sia il piano di pace del 1 agosto 1917 proposto dalla Santa Sede in sette punti, di fronte all’interminabile strage,  viene preso in considerazione solo dall’Austria-Ungheria, pur se in quel momento stava mietendo successi. Il saggio di Sanguinetti fa risaltare la grande partecipazione spirituale ed emotiva di Carlo alle varie fasi dei negoziati. La testimonianza di Zita è eloquente, quando deve prendere una decisione importante: “egli si recava in cappella […] per inginocchiarsi davanti al Santissimo e ponderare così la sua decisione e ‘pregarvi sopra’, come si esprimeva. Spesse volte rimandava la risposta […] per esporla l’indomani istantemente al redentore nella Santa Messa e Comunione”.

Il nemico massonico. Tuttavia i progetti di Carlo, sia del rinnovamento federalista che quello della pace, si oppongono diverse realtà a cominciare dai circoli pangermanistici tedeschi, le cui mire saranno coronate dall’annessione hitleriana poi nel 1938, si aggiungono i movimenti panslavisti, inoltre prende piede il nascente socialismo rivoluzionario, che aveva conquistato il potere in Russia. Ma a Carlo e quindi alla dinastia asburgica come all’Austria, si oppone un nemico più sottile, una “inimica vis”, per usare il termine di papa Leone XIII, nell’omonima enciclica sulla massoneria del 1892. E’ proprio la massoneria a convincere l’Italia al repentino voltafaccia e tradimento degli accordi nei confronti dell’Austria. E poi il lavoro di convincimento nei confronti del presidente americano Wilson per farlo scendere in campo a fianco dell’Intesa. “Il disegno generale di queste logge è di portare alle ultime conseguenze la traduzione in politica dell’ideologia libertaria, ugualitaria e fraternalistica, iniziata con la Rivoluzione del 1789”. Praticamente non si poteva secondo i massoni lasciare in vita una duplice monarchia, che “per la sua efficienza e la relativa pacificità con cui si regge, costituisce in sostanza un modello di evoluzione sociale alternativo a quello che scatuirisce dall’ideologia del democratismo universale, nel quale modello coesistono le autonomie e la centralizzazione, il principio di autorità e il principio di sussidiarietà, la predilezione per una libertà concreta e graduale, piuttosto che per la Libertà astratta”.

Alla filosofia massonica e alla mentalità moderna, “ripugna l’idea stessa di un potere personale e familiare, di origine ereditaria e non auto-referenzaile dal punto di vista dei valori, in quanto, almeno in tesi, volontariamente sottomesso in ultima istanza alla legge di Dio”.

Carlo è pericoloso e va fermato in tutti i modi dalla massoneria, “non solo perché è un cattolico “tutto d’un pezzo”, ma anche perché egli a differenza di Francesco Giuseppe, anziano e quasi conferma vivente dell’asserita “decrepitezza della monarchia, è un giovane re, pieno di idee e di energie, un padre di famiglia esemplare, che per di più dimostra di non essere schiavo di stereotipi tradizionalistici”.

Pertanto nella prospettiva massonica, in particolare quella diplomatica e politica della Francia, “la duplice monarchia deve uscire sconfitta dalla guerra senza poter porre condizioni – scrive Sanguinetti – Per questo ogni offerta di trattativa verrà frustrata e si spingeranno i parlamenti nazionali alla scissione e alla repubblicanizzazione dei rispettivi paesi”. Pertanto per l’autore a Versailles trapela nitidamente una regia massonica di fondo nei trattati di pace e soprattutto nella punizione inflitta ai vinti, che rivela un ideologismo rigido e miope.

Le conseguenze della scomparsa dell’impero asburgico, sono tragiche per il Vecchio Continente. Il vuoto di autorità, voluto a Versailles, si è creato con la caduta degli Asburgo ha alimentato i nazionalismi ideologici. “[···] se l’Austria-Ungheria non fosse scomparsa probabilmente Adolf Hitler (1889-1945) sarebbe rimasto un sottoufficiale della Reichswehr in pensione, e nemmeno vi sarebbe stato un secondo conflitto mondiale”. Non si ricorda che venuto meno l’impero, i nazionalismi slavi si scateneranno l’uno contro l’altro, solo la cappa totalitaria del potere comunista riuscirà per un pò a soffocarli, fino alla caduta del Muro di Berlino. Bastavano “alcune riforme di carattere federalista realizzate in tempo di pace […]”, per rendere un servizio immenso all’Europa tutta.

Aveva ragione il vecchio Francesco Giuseppe quando confiderà che “l’impero è un corpo organico […] un luogo di rifugio, un asilo per tutte le nazionalità divise, disperse nell’Europa centrale, che se dovessero contare sulle proprie risorse condurrebbero una misera esistenza, diventando trastulli per i loro vicini più potenti”.

L’epilogo. Le ultime battaglie si concluderanno con altrettante sconfitte e la monarchia danubiana, sarà costretta a firmare armistizi ovunque. Sostanzialmente, scrive Sanguinetti, “il crollo dell’apparato politico e militare austro-ungarico è talmente repentino e totale, che la famiglia imperiale, nel caos dei mesi d’interregno alla fine del 1918, finisce per ritrovarsi abbandonata da tutti […]”. Praticamente Schonbrunn non è più difesa nemmeno da un corpo regolare. Soltanto un reparto di giovanissimi allievi della scuola militare di Wiener-Neustadt, accorrerà per proteggere l’imperatore.

Intanto Carlo si rifiuta di abdicare, tutti premono perchè Carlo abdichi spontaneamente. In questo drammatico frangente dirà: “Un sovrano non può mai abdicare”. Intanto deve abbandonare Vienna e così inizia il suo triste pellegrinaggio, un cammino da esule di Carlo, di Zita e la loro numerosa famiglia. Su un “treno piombato” la famiglia reale raggiungerà la Svizzera a Wartegg, nel cantone di San Gallo, sul lago di Costanza. Paradossalmente due anni prima era toccato al rivoluzionario Vladimir Ilic Lenin.

Ultima illusione di restaurare l’Impero. Seguono due tentativi di riprendere la corona ungherese. Il 24 marzo 1921, in tutta segretezza Carlo parte dalla Svizzera per Budapest, qui si incontra con il reggente, ammiraglio Miklos Horty, che doveva sottomettersi al sovrano, all’ultimo momento questo si rifiuta di cedergli il potere, adducendo pretesti ingigantiti. Non intendo dilungarmi. C’è un secondo tentativo, Carlo insieme a Zita, raggiunge il suolo ungherese su un aeroplano, il pomeriggio del 20 ottobre, lo stesso giorno incontra il cardinale Czernoch. In breve i reparti lealisti insieme alla coppia reale si muovono verso Budapest, il tragitto è un trionfo: a ogni stazione gli rendono gli onori da parte delle autorità locali, con manifestazioni di giubilo da parte del popolo. Questa volta sembrava fatta per il giovane imperatore. Ma ci sono i soliti traditori che abbandonano il campo e l’ammiraglio Horty ha la meglio nuovamente. Con la scusa della sicurezza dei sovrani vengono posti sotto sorveglianza in una località del lago Balaton.

Successivamente le potenze europee prendono sempre più le distanze da Carlo e decidono di mandarlo in esilio a Madera. Qui dopo una malattia fatale muore il 1 aprile del 1922. Prometto di fare un bilancio più dettagliato della straordinaria figura di carlo D’Asburgo in un successivo intervento, quando prenderò in esame l’ottimo saggio di Ivo Musajo Somma.

 

DOMENICO BONVEGNA