A proposito di preti, sesso e omosessualità

Se in Seminario si fa ancora il lavaggio di cervello ai futuri preti circa la pericolosità della donna, dalla quale bisogna stare alla larga per essere fedeli alla vocazione sacerdotale, non trova normale che tanti sacerdoti si rifugino nell’omosessualità?

 

di ANDREA FILLORAMO
Rispondo in parte, alle richieste dell’email pervenutami, che qui allego, che concerne il problema della misoginia nella Chiesa e quindi nell’educazione impartita nei seminari attraverso un copia-incolla di alcune pagine del mio libro: A. Filloramo OBLIO E RICORDI, in cui il tema propostomi viene ampiamente trattato. Mi riservo di trattare in seguito il nesso esistente fra vocazione sacerdotale e omosessualità (tutto da dimostrare, come anche il fatto che il sacerdozio diventi un rifugio degli omosessuali – stando a quel che si chiede il mittente dell’email).

Esimio professore
seguo da alcuni anni le sue riflessioni tramite IMG PRESS. Le trovo sempre interessanti e per buona parte anche provocatorie. Se ho ben capito lei conosce dal di dentro la Chiesa in tutte le pieghe, altrimenti non si spiegherebbero le precise puntualizzazioni su tanti aspetti e problemi ad essa collegati. Mi sono alquanto incuriosito e soffermato sull’ultima intervista nella quale ha messo a fuoco le problematiche inerenti gli abusi e l’omosessualità del clero. Lei ha aspramente criticato l’ambiente ad “un unico sesso” del Seminario, che secondo lei e don Mazzi sarebbe la causa di molte devianze. Vengo a chiederle: non pensa che il dramma più grande sia dato dal clima misogino che pervade questo istituto di formazione? Se in Seminario si fa ancora il lavaggio di cervello ai futuri preti circa la pericolosità della donna, dalla quale bisogna stare alla larga per essere fedeli alla vocazione sacerdotale, non trova normale che tanti sacerdoti si rifugino nell’omosessualità? Conosco diversi preti che hanno saltato l’esperienza del Seminario, ma penso che non siano esenti da problematiche di maturità affettiva… Premetto che non ho nulla contro gli omosessuali, preti e laici che siano, desidero tuttavia porre ancora una domanda: è vero che il celibato non è direttamente collegato alle problematiche dell’omosessualità e degli abusi su donne e minori, ma non pensa però che questo stato particolare sia il “paradiso” di tanti omosessuali, il rifugio “naturale” in cui potersi installare per vivere senza problemi?
Cordialmente
M.O.
—————————————
da: OBLIO E RICORDI – Casa Ed. Booksprint 20016 (da pag. 261 a pag. 269)

Collegabile all’argomento “sessualità” è il tema “donna” ovverossia la visione della donna nella Chiesa, inquinata dalla misoginia, cioè quella cultura che induce a odiare le donne per il solo fatto di essere tali…
La misoginia si presenta spesso in maniera subdola: alcuni misogini hanno semplicemente dei pregiudizi contro tutte le donne, o ne odiano alcune che non rientrano in categorie “accettabili” o trattano le donne in modo discriminante.
Pregiudizi e discriminazione nei confronti delle donne, erano ben presenti nella Chiesa e, quindi, anche nella formazione del seminario: servivano, indubbiamente a garantire l’impegno al celibato da fare un anno prima dell’ordinazione sacerdotale.
Nessuno allora faceva riferimento al fatto che questa chiara tendenza ha causato l’oppressione, la discriminazione e l’umiliazione per almeno diciannove dei venti secoli di storia cristiana della donna, fatta, quindi, di angherie, violenze e soprattutto attentati alla sua dignità e al suo onore. Tali violenze, sulle quali vale la pena prolungarci, solo recentemente, del resto, hanno avuto un interessante riconoscimento di colpa del Vaticano. Tuttavia esse continuano fino ai giorni nostri e, guarda caso! esse hanno come protagonisti anche i preti! proprio quei preti che hanno avuto quella particolare formazione misogina quando erano nel seminario.
Basta consultare i giornali, infatti, e si legge di “preti che molestano suore, preti che abusano di suore, preti che costringono ad abortire le monache con cui hanno avuto rapporti sessuali”. Dagli archivi della Chiesa emergono le denunce su un fenomeno che abbraccia i cinque continenti e che sino ad ora è stato soffocato sotto la coltre del silenzio. Le denunce sono precise e firmate con nome e cognome. La Santa Sede conferma l’esistenza di casi di abusi sessuali subiti da religiose da parte di sacerdoti o missionari.
Al congresso dei Padri Superiori tenutosi a Roma nel settembre del 2000, l’abatessa Ester Faugman, dopo aver deplorato la situazione sessuale nel mondo ecclesiastico “continua la sua denuncia spiegando come nei paesi meno sviluppati, cioè in quelli nei quali la sfrontatezza è incoraggiata dall’inefficienza delle autorità civili, i preti possano arrivare ad abusare delle suore con tanta disinvoltura da usare i conventi come se fossero dei bordelli: “È una prassi naturale vedere un prete presentarsi a un convento per chiedere che gli venga concessa una religiosa per sfogare le sue voglie sessuali”. Un vero scandalo che il Papa ha cercato ancora una volta di riparare inviando alle conferenze episcopali d’Australia, di Tahiti, Samoa e Tonga un E – mail carico di scuse per gli abusi sessuali commessi dai sacerdoti nei confronti delle popolazioni locali.”
Da che cosa nasce la “patologia sessuale” di molti preti, che diventa anche violenza nei confronti delle donne? Di chi è la colpa di questo fenomeno?
Questi sono i quesiti che, a questo punto, con onestà intellettuale, ci poniamo. Una causa da non tralasciare di questo “marciume” è sicuramente la nozione della donna, trasmessa dai Padri della Chiesa e dai principali scrittori cristiani, il cui insegnamento e la cui dottrina sono ritenuti fondamentali, anzi i capisaldi della fede cristiana.
Facciamo alcuni esempi:
Tertulliano indicava nella donna la “breccia del demonio” e, inoltre, scriveva: “La donna è un tempio costruito su una cloaca (…). Tu, o donna, sei la porta del diavolo, tu hai circuito quello stesso che il diavolo non osava attaccare di fronte. È a causa tua che il figlio di Dio è dovuto morire; tu dovrai fuggire per sempre in gramaglie e coperta di cenci”. “La donna ha il diritto di vestirsi solo a lutto. Non appena ha raggiunto l’età adulta, dovrà coprire il suo viso che è fonte di tanti pericoli, altrimenti rischia di perdere la beatitudine eterna.”
S. Agostino negava che la donna fosse stata creata come l’uomo a immagine e somiglianza di Dio e definiva giusto che le donne fossero serve degli uomini e, pertanto: “Le donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo. In realtà, dovrebbero essere segregate, poiché sono loro la causa di orrende e involontarie erezioni di uomini santi”.
S. Giovanni Crisostomo e S. Girolamo definivano la donna: “porta del diavolo”, “demonio dipinto”, “vaso di corruzione”.
S. Ambrogio scriveva: “Adamo è stato condotto al peccato da Eva, non Eva da Adamo. È giusto, quindi, che la donna accolga come padrone chi ha indotto a peccare”.
L’abate Odon de Cluny (879 – 942) tentò di screditare agli occhi dei peccatori il corpo della donna e scriveva: “La bellezza si limita alla pelle. Se gli uomini vedessero quel che è sotto la pelle, così come si dice che possa vedere la lince di Beozia, rabbrividirebbero alla vista delle donne. Tutta questa grazia consiste di mucosità e di sangue, di umore e di bile. Se si pensa a ciò che si nasconde nelle narici, nella gola e nel ventre, non si troverà che lordume. E se ci ripugna di toccare il muco o lo sterco con la punta del dito, come potremmo desiderare di abbracciare il sacco stesso che contiene lo sterco?”.
Tommaso d’Aquino sosteneva che la donna fosse un errore di natura, una sorta di maschio malriuscito e deforme (femina est mas occasionatus)”.
Si potrebbero riferire, inoltre, altre citazioni desunte dal Nuovo Testamento. Accenniamo, però, soltanto al “corifeo” della misoginia del Nuovo Testamento, cioè a Paolo. La misoginia di Paolo viene sottolineata in più occasioni: “Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la Legge” (1 Cor 14,34). “Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (1 Tm 2,12).
Probabilmente la misoginia derivava in Paolo dall’antica tradizione ebraica, presso la quale la donna aveva sempre goduto di uno stato d’inferiorità rispetto all’uomo. Non dimentichiamo che ancor oggi gli ebrei ortodossi, di sesso maschile, iniziano la loro liturgia mattutina ringraziando Dio di non essere nati femmine.
La Chiesa, per secoli, si è mantenuta fedele ai dettami patristici e all’ermeneutica cattolica misogina dei testi neotestamentari.
La misoginia è stata per tanto tempo passivamente accettata dalle stesse donne, tant’è che, pur avendo passioni e stimoli come gli uomini, tuttavia erano obbligate a nasconderli.
Secondo i prelati medioevali, infatti, le donne sfuggivano agli ardori del marito e fuggivano invece con l’amante con cui sfogavano tutti i loro istinti carnali, andando a nascondersi persino nelle chiese per consumare gli atti impuri, purché vi fosse il favore delle tenebre; come le streghe infatti, esse amavano il buio.
Quando ciò non era possibile, ricorrevano ad altri espedienti per saziare i loro appetiti, anche se ciò significava avere rapporti con altre donne.
Il piacere era visto come un grave peccato e la regola imponeva di mantenersi fredde e frigide durante i rapporti con il marito, a cui ovviamente non potevano opporsi perché l’uomo doveva dar libero sfogo alle sue pulsioni.
La natura tentatrice e malefica della donna era imputata al peccato originale commesso da Eva, e numerosi studiosi della Bibbia ritenevano addirittura che la colpa dei nostri progenitori fosse in realtà un peccato carnale. Eva, quindi, tradita dalla sua stessa sensualità. Adamo tradito dalla donna debole e tentatrice.
Inoltre si dava fondamento scientifico alle folli tesi sostenute da quegli uomini di Chiesa la cui paura nei confronti della donna era ancor maggiore di quella di altri uomini per ovvi motivi.
Tutt’oggi molto spesso si alza il grido d’allarme contro le donne che attentano alla castità.
Tale grido lo ha lanciato pubblicamente ed esplicitamente un sacerdote di provincia, riproponendo in termini moderni la misoginia della Chiesa. Si tratta di don Fiorenzo Carbonari di Fossombrone, che in una lettera aperta, pubblicata da «L’amico del clero» nel febbraio del 1995, scrive: «Il pansessualismo che trasuda dai mass media e penetra nelle case e negli ambienti più discreti non risparmia nessuno. La procacità della moda femminile è diffusa e dovunque tollerata, persino in chiesa; tanto che vediamo sempre più spesso prosperose ragazze in minigonna proclamare, dall’ambone, la parola di Dio. E che dire dei contatti del sacerdote col mondo femminile, che si moltiplicano in varie occasioni: campeggi, gite, colonie marine? Sono tutti fattori che rendono più labile la difesa del prete da certe tendenze e tentazioni. I Santi Padri e i maestri di spirito parlano della donna come fuoco che brucia, da cui bisogna guardarsi. Se questo oggi non è materialmente possibile, né pastoralmente consigliabile, come andrà a finire?»
Solo a partire dal Vaticano II, grazie anche all’influenza del movimento femminista, cominciò a essere posta in discussione la misoginia cattolica.
Giovanni Paolo II si spinge a contraddire esplicitamente Paolo VI e i suoi predecessori circa il rapporto uomo–donna, scrivendo nella Mulieris dignitatem (1988): «Mentre nella relazione Cristo–Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito–moglie la “sottomissione” non è unilaterale, bensì reciproca!».
Il Catechismo della Chiesa cattolica (1992) afferma la parità dei sessi negando l’idea paolina che solo l’uomo sia “immagine di Dio”: «L’uomo e la donna sono, con una identica dignità, “a immagine di Dio”» (§ 369).
Ma la Chiesa da un lato, non riconosce di aver insegnato il contrario per venti secoli, d’altra parte non trae le conseguenze per quanto riguarda l’autodeterminazione della donna e seguita a escluderla dal sacerdozio.
Wojtyla sostiene che «non è ammissibile ordinare donne al sacerdozio, per l’esempio di Cristo che scelse i suoi Apostoli soltanto tra gli uomini; la pratica costante della Chiesa e il suo vivente magistero» (Ordinatio sacerdotalis, 1994) e blinda questa scelta dichiarandola «appartenente al deposito della fede» (Congregazione della dottrina della fede, 1995), cioè sotto l’ombrello dell’infallibilità.
Ma sappiamo che l’ossessione del sesso ha caratterizzato sempre la vita dei religiosi ed essa si è tradotta sempre in misoginia.
La donna è stata sempre svalutata e nella storia delle società cristiane la femmina dell’uomo lungi dalla condizione di parità ha fatto terribilmente fatica ad essere considerata portatrice di anima.
Diciamolo pure: grande ed estesa è stata sempre l’ipocrisia della Chiesa, che impone lo statuto del celibato e della castità ai preti, mentre, almeno nel lontano passato, si è arresa di fronte alla sessualità sfrenata dei suoi chierici.
Facciamo alcuni riferimenti: A detta del dottore della chiesa Basilio (IV sec. d. C.), molti cristiani arrivarono a pregare da soli con mogli e figli per paura di divenire oggetto, durante i riti liturgici, della lussuria di vescovi e abati.
Nell’888, all’epoca del Sinodo di Magonza, si denunciarono dei sacerdoti che avevano “usato carnalmente con le sorelle, generando dei figli”. Non erano rari neppure gli accoppiamenti dei preti con madri e parenti.
Analoghe denunce appaiono nel Sinodo di Olmütz del 1591, in cui si dà la colpa – con patologica schizofrenia religiosa – al solito demonio.
Il “godimento dei sensi” e la “lussuria sfrenata e in molti episodi di perversioni degli ecclesiastici, compresi i pontefici”, si possono anche vedere esaltati nella letteratura erotica ecclesiastica.