A proposito del caso del Seminario di Messina: Rifare i preti. Come ripensare i Seminari

Andrea Filloramo, facciamo chiarezza del fatto relativo a quel seminarista di Messina che sostiene di essere stato “buttato fuori” dal seminario a causa delle accuse da lui stesso fatte di abusi sessuali, operati da alcuni preti.

Innanzitutto, ti ringrazio perché questa intervista mi offre la possibilità di chiarire il mio pensiero e anche cercare di dare ulteriori chiarimenti alle decine di e-mail che mi giungono chiedendo informazioni sui presunti fatti accaduti.

Ho già scritto due articoli in questo giornale su fatti avvenuti secondo l’accusa, nel periodo del Seminario, che avrebbero avuto come protagonisti dei preti, fatti, però, non accertati, quindi ancora “sub iudice”, attribuiti a loro da un seminarista che ha chiamato in causa persino l’arcivescovo e i superiori responsabili, a suo giudizio, di vietargli, per tali accuse, di accedere al sacerdozio.

Credi che quanto scritto dai giornali, perciò, sia falso?

Non parlo di falsità, ben sapendo che i mezzi di comunicazione hanno il compito d’informare correttamente e talvolta ciò non avviene. So oltretutto con certezza – come del resto ho scritto più volte – che durante la formazione dei futuri preti gli abusi sessuali possono avvenire e avvengono realmente, dentro e fuori il Seminario. Mi sembra, però, assurdo e paradossale che trovi spazio nei seminari – come si legge in qualche giornale e nella Rete – l’idea stessa del complotto al quale avrebbero partecipato i superiori e addirittura lo stesso arcivescovo in quanto responsabile della diocesi, con il fine incredibile, di tacitare un giovane seminarista, che accusa alcuni preti di abusi sessuali facendolo così diventare vittima.

In realtà egli vittima, in ogni caso e in una certa misura lo è.

Sì! egli sarebbe diventato vittima ma di se stesso. Trovandoci davanti a un racconto che mette in crisi una Chiesa locale come è quella di Messina, vorremmo avere, infatti, maggiori ragguagli sulla personalità di questo ex seminarista e una conoscenza approfondita del suo cammino e della sua esperienza vocazionali. Ciò ci consentirebbe di superare i dubbi che, leggendo i giornali, legittimamente ci poniamo.

Tali dubbi sicuramente non sono dell’Arcivescovo Accolla che conosce da tempo perfettamente il caso e, in quanto responsabile della diocesi, avrebbe avallato l’espulsione dal seminario e si sarebbe, inoltre, per tal motivo rifiutato di concedere il nulla osta per il trasferimento in altri seminari.

Tali dubbi, quindi – ne sono sicuro – non sono dell’arcivescovo che, dopo aver analizzato il caso, ha seguito le nuove procedure contenute nel “Motu Proprio” “Vos estis lux mundi”, che è stato pensato per far sì che tutte le molestie e le violenze del clero siano segnalate internamente e, insieme, assicurare che vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato. Egli, tuttavia, è stato chiamato da quel seminarista a rispondere in un’aula di un tribunale civile del comportamento suo e dei superiori, che avrebbe arrecato danni non facilmente riparabili, conseguenti alla cacciata dal Seminario.

Non è, però, certamente facile dimostrare tale responsabilità e tali danni.

Non sono un tecnico della materia ma ritengo che autori della decisione di espulsione dal seminario e dei supposti e non facilmente dimostrabili danni da essa derivati, sarebbero i preti accusati e non il vescovo che, previo attento esame e dopo aver ricevuto sufficienti controdeduzioni, l’ha avallato. E, poi, ricordiamo che siamo in Italia, con una legislazione diversa dagli USA, quindi molto lontani dall’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis, dove si sono dovuti sborsare 210 milioni di dollari per 450 vittime di abusi sessuali del clero: è il secondo più grande risarcimento nello scandalo che ha scosso quella Chiesa cattolica. E qui non si tratta di pedofilia.

Alla magistratura, quindi, il compito dell’accertamento ma i fatti denunziati, veri o falsi che siano, che si aggiungono a molti episodi di abusi e di pedofilia che sono avvenuti o avvengono nella Chiesa, fanno pensare che i Seminari e, quindi, anche il Seminario di Messina, non stanno vivendo una bella stagione.

È proprio così, i seminari, senza nessuna eccezione, quindi anche quello di Messina come la stessa Chiesa, stanno vivendo un tempo difficile, anche se riferendoci semplicemente ai singoli contenuti della formazione essi recepiscono e rilanciano quasi dovunque le prospettive e le istanze del Vaticano II. In essi, però, permangono, come risulta da alcune ricerche, sacche enormi di tradizionalismo nel riproporre da parte dei superiori, spesso educati e formati in modo preconciliare, oltre i modelli del “sacerdos alter Christus” e del sacerdote come “mediator Dei et hominum” ,mai entrati nei testi conciliari, un modello antropologico di prete  eticamente ricattabile, perché non capace di sublimare, cioè di spostare e di incanalare le pulsioni sessuali nell’ambito della vita religiosa, come vorrebbe la Chiesa che per antica tradizione li obbliga i sacerdoti all’assoluta castità.

Ma, al di là dei contenuti, a tuo parere, quale è la problematica concernente la struttura complessiva della formazione seminaristica?

La struttura dei seminari, pur avendo subìto molti e adeguati aggiornamenti negli ultimi decenni, è rimasta però, stando alle mie conoscenze, nelle sue linee fondamentali quella impostata dal Concilio di Trento e dai collegi gesuitici cinquecenteschi.  In molte diocesi non si tiene conto che in poco tempo, nella Chiesa è crollato tutto, trascinando con sé anche i seminari. In pochissimo tempo è caduta, infatti, l’impalcatura che sorreggeva un modo di essere chiesa, di fare il prete, e le crepe sono molto vistose.

Data questa situazione quale vie di uscita può intraprendere un vescovo nella sua diocesi per quanto riguarda i Seminari?

Nessuno può dare suggerimenti, avere la preparazione e l’esperienza e, quindi, per darli. Ogni vescovo vive questo momento con perplessità, contraddizioni, talvolta con frustrazioni. Proprio per questo non dovrebbe essere più per lui un tabù l’ipotesi di un cambiamento strutturale del Seminario, almeno in via sperimentale, in attesa che la Chiesa formi i suoi preti al di fuori delle sacre mura del Seminario, come da più parte si chiede, puntando non più non sul presidio del territorio ma sulla prossimità alla gente e che, finalmente apra, anzi spalanchi le porte del ministero presbiterale agli uomini sposati. Forse vale la pena almeno cominciare a parlarne, iniziando dal prossimo Sinodo. Sono necessarie da parte delle diocesi e dei loro pastori scelte coraggiose e impopolari – scrive il vicepresidente della CEI mons. Erio Castellucci nella prefazione al libro di Enrico Brancozzi: “Rifare i preti. Come ripensare i Seminari”.