LA LEZIONE DI DON BOSCO PER PREVENIRE LA VIOLENZA GIOVANILE

La festa di San Giovanni Bosco, il santo dell’educazione per eccellenza, voglio ricordarla a modo mio, presentando un libro tutto salesiano, l’ho “catturato” nel solito outlet librario della città. Mi riferisco a “Memorie di una casa di rieducazione” del sacerdote Luigi Melesi, Don Bosco Edizioni (2016). Il testo è prefato niente di meno che dal Papa Paolo VI, che quando era arcivescovo di Milano, ha accompagnato e sostenuto il Centro Salesiano di Arese, vicino Milano.
In questo libro il sacerdote salesiano ha voluto raccontare la sua esperienza di sette anni di catechista, insegnante ed educatore, nella casa di rieducazione di Arese. E’ necessario che quelle esperienze non vadano perdute.“Bisogna tramandarle, forse altri potranno ispirarsi leggendole, e ripetere questa esperienza educativa, eccezionale e meravigliosa, che ha del sorprendente e, vorrei dire, del miracoloso che fa supporre un intervento diretto di don Bosco, il santo patrono di tanti ragazzi di strada”.
Il Centro Salesiano “S. Domenico Savio” di Arese è una continuazione del lavoro missionario di don Bosco, compiuto cento anni prima. I salesiani sono riusciti a trasformare questo centro, gestito prima dall’Associazione Nazionale Cesare Beccaria, da una realtà vecchia sudicia e squallida dove languivano 300 ragazzi “traviati”, colpevoli di essere poveri, ignoranti e meridionali, in in centro gioioso ed efficiente.
Il sacerdote racconta i vari passaggi di riabilitazione di quel luogo che era diventato molto simile ad un carcere. Siamo nel 1955, per volontà dell’allora cardinale Giovanni Battista Montini la struttura passa nelle mani dei salesiani.
Don Melesi descrive le condizioni misere di questi ragazzi disagiati, ci sono anche le foto,“i loro corpi sembravano in agguato, quelle teste erano stanche; era rimasta nei corpi una vitalità animale[…]”. La signora Devoto Falk, commissaria del Beccaria, racconta:“Siamo rimasti colpiti dall’immagine angosciante di 350 bambini, ragazzi e giovani, passivi, annoiati, di un ozio forzato, tristi e nauseati […] appoggiati ai muri, seduti o sdraiati per terra”. Era un sistema infernale, tutto incentrato sulla reclusione e sulla repressione. E’ uno dei fallimenti dello Stato, le autorità laiche capiscono il grave problema e cercano una soluzione intelligente e umana.
Il 29 settembre del 1955 diciannove salesiani giungono ad Arese con la benedizione dell’Arcivescovo di Milano, per incontrare i 300 ragazzi dell’Istituto, non per stare un giorno, una settimana, un mese, ma anni per accompagnarli giorno e notte, nel loro cammino formativo per diventare onesti cittadini e buoni cristiani.“Abbiamo accettato questa nuova opera educativa, tanto impegnativa e onerosa, solo con la tessera di operai salesiani, senza soldi, ma con tanta fiducia nella Provvidenza di Dio, che aiuta sempre chi lavora per il suo regno”.
Don Melesi racconta i primi momenti con questi ragazzi:“Cari ragazzi, vi incontriamo volentieri dopo avervi tanto sognato”. Il nuovo direttore don Della, “siamo come una squadra di calcio[…] con titolari e riserve, io sarò il vostro allenatore, il C.T., ma giocherò anch’io con voi nel ruolo di attaccante centrale. Non vogliamo sfidarvi, ma giocare con voi e per voi”. Don Della presenta, uno a uno, tutti i suoi collaboratori. Il primo passo è stato fatto, “finalmente in quei ragazzi è rinata l’allegria, la voglia di correre e di giocare. L’allegria sarà la nota dominante del Centro […] Vogliamo che i ragazzi abbiano sempre la libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento, come voleva don Bosco, e il cortile sarà una palestra di vera vita”.
Successivamente al centro arrivano le suore salesiane, vestite di bianco,“le figure femminili al Centro erano importanti per creare un ambiente naturale, come Dio l’ha creato”. Probabilmente questi ragazzi non hanno mai conosciuto un clima così familiare,“forse non hanno mai conosciuto né madri, né sorelle, né donne che ripetevano loro parole d’amore, ed esprimevano gesti di bontà”.
Poi il libro descrive l’operatività dei tre laboratori, dove lavorano i ragazzi. Quelli del Beccaria erano fatiscenti. Si apre un grande cantiere, si demolisce tutto quello che era vecchio, che non serve, finestre, muri, le celle.“La demolizione di quei segni repressivi era seguita con gioia e allegria”. Bisognava costruire uomini nuovi, del resto i Salesiani hanno da sempre cercato di “costruire uomini veri”. Ci sono le tante foto a dimostrarlo.
Nel libro di don Melese si parla del sistema preventivo di don Bosco, che si basa su tre elementi fondamentali: ragione, religione e amorevolezza. Ma tutto il principio è fondato sulla fede religiosa e cristiana e si sviluppa dalla stessa, con l’intenzione dominante di salvare le anime, coltivando la grazia di Dio nella vita del ragazzo.
Il Centro salesiano pone al centro dell’attenzione, la questione della rieducazione a scoprire tutte le dimensioni della vita umana. Qualcuno sostiene che bisogna mettere nel loro cuore la speranza e portarli all’amore di Dio e del prossimo.
Il Centro ora in mano ai salesiani,“non doveva più essere un concentramento di ‘delitti e pene’ in onore di Cesare Beccaria, ma un cantiere di riqualificazione, per creare onesti cittadini e buoni cristiani, nello stile allegro di Domenico Savio”.
Al capitolo 10 del testo, l’autore ricorda come hanno attuato “lo studio e il lavoro” nel nuovo Centro. Certamente un’impresa difficile anche perché i “ragazzi erano abituati all’ozio, esperti nei guadagni facili e illegali, condizionati da esempi negativi e dannosi di adulti, con l’intelligenza intorpidita e la volontà debole e dominata dagli istinti irrazionali, non fu facile accettare la scuola e una precisa professione per le quali impegnarsi con costanza e passione”. E’ importante descrivere gli inconvenienti, per evitare facili edulcorazioni. Il sacerdote è convinto che ogni casa salesiana dovrebbe prendere appunti e segnare gli avvenimenti più significativi, le emozioni rilevanti e la prassi pedagogica vissuta dalla comunità. Infatti nel capitolo 15, si entra nel merito del sistema preventivo educativo salesiano, in particolare come correggere i ragazzi, senza fredde punizioni particolari, entrare in amicizia con loro e fargli capire che sono amati.
Don Melesi leggendo le memorie di don Bosco, si è reso conto che i problemi che ha incontrato il santo, sono gli stessi della casa di rieducazione di Arese.
Riporta una descrizione abbastanza significativa di San Giovanni Bosco:“Don Cafasso mi condusse nelle carceri dove imparai a conoscere la malizia e la miseria degli uomini. Vidi turbe di giovani sull’età dai 12 ai 18 anni: tutti sani, robusti e d’ingegno svegliato, ma inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentar di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire, il discredito della patria, il disonore della famiglia e l’infamia di se stesso erano personificati in quegli infelici”.
Don Melesi entra nel particolare delle varie discipline proposte ai ragazzi difficili, ma soprattutto sottolinea che la principale educazione è il lavoro e con il lavoro. Da sempre il lavoro è considerato dai salesiani, fonte essenziale della formazione integrale di noi stessi e dei ragazzi.
Era evidente che i 300 ragazzi preferivano il lavoro materiale e manuale a quello scolastico e astratto: cinque ore al giorno erano da loro vissute nei laboratori.
All’inizio questi laboratori operativi erano ridotti alla meccanica, la grafica e la falegnameria. C’erano i maestri che facevano eseguire alla perfezione il lavoro. Negli anni successivi i laboratori si arricchirono di nuove sezioni: saldatura, motoristica, elettronica. Il testo naturalmente è corredato da numerose fotografie che evidenziano il grande impegno dei religiosi per il riscatto di questi giovani, spesso rifiutati e non compresi dalla società. Peraltro non sono mancate le dicerie e le invettive contro questi ragazzi da parte dei cosiddetti perbenisti, ma i salesiani li hanno sempre difesi: “i nostri ragazzi sono persone a pieno diritto, anche se disturbati dai vari condizionamenti della loro personalità[…]”. Tuttavia,“Molti di loro si sentono rifiutati dalla famiglia, dalla scuola, dall’ambiente sociale. L’oppressione dell’anima in loro produce spesso un’ostilità e un’aggressività istintiva nei confronti di chi sentono avversari e nemici”.
Inoltre,“molti di questi nostri ragazzi hanno vissuto esperienze sconvolgenti, in famiglie dissociate, dominati da un ambiente culturalmente violento e vendicativo, circondati da modelli negativi e anaffettivi, inseriti in gruppi delinquenziali o in famiglie rivali, costretti a vivere sulla strada, disertori scolastici e senza prospettive lavorative, guidati da una coscienza indurita e torbida, inclini a soddisfare i propri desideri istintivi, privi di razionalità e di riflessione”. Nulla di nuovo sotto il sole, sembra di descrivere certe situazioni di depressione sociale giovanile odierna, presente in molte periferie delle nostre città.
Don Melese insiste sul lavoro di trasformazione del Centro, operato dai religiosi tutti. Nei primi quattro anni di lavoro,“abbiamo arredato le aule scolastiche, le camerate e le sale da pranzo; ampliato i laboratori, attrezzandoli secondo le più moderne esigenze del mondo del lavoro; il tempo libero è stato animato e organizzato con attività culturali, sportive e ludiche[…]”. La Madonna con il braccio il bambino è stata collocata al posto del busto di Cesare Beccaria che per i ragazzi rappresentava una realtà da rimuovere, perché ricordava a loro i tempi dell’umiliazione e della pena.
Don Melese racconta tanti particolari e curiosità su questi ragazzi, sulle loro gite, al mare, in montagna, sulle loro attività culturali e sportive nel Centro e fuori. Il libro di don Melesi documenta tutto.
Alla fine in un solo capitolo, il 32°, don Melese fa tutti i nomi di quelli che hanno contribuito fattivamente a rifondare il Centro salesiano. “Tra tutti primeggia al signora Giulia Devoto Falck, che guidò con materna cura le prime innovazioni[…]”.
Concludo con le belle parole del pontefice Paolo VI rilasciate nell’udienza privata ai Salesiani di Arese, il 28 agosto 1969. Il Papa si sentiva coinvolto personalmente alla sorte del Centro.“Fu un atto di sfida alle diffidenze e di fiducia nelle risorse della vostra pedagogia, atte a voltare il cervello a questi ragazzi e a guarirne il cuore. E la cosa riuscì…Avete dato testimonianza di essere fedeli al vostro Padre, buttarsi in mezzo ai ragazzi, essere pii, buoni, pazienti e intelligenti…Siamo riusciti, siete riusciti”. Ha detto il Papa.“Voi avete rimesso nel loro animo la speranza, nel nome di Cristo e di don Bosco. Avete detto al ragazzo: ‘Tu puoi diventare uomo, tu puoi diventare buono, tu puoi diventare professionista'[…]”.

Domenico Bonvegna
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