In forza della legge degli uomini

di ANDREA FILLORAMO

I cattolici italiani si devono abituare alla scomparsa della tradizionale figura del parroco, guida unica della chiesa che sorge vicino a casa. Ciò vale per la maggior parte delle diocesi italiane ed anche, perciò, per quella di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela. Lo dice il numero dei sacerdoti che diminuisce sempre di più. Non è più pensabile, infatti, mantenere in vita come un tempo tutta la rete capillare di parrocchie e chiese che intessono le strutture delle città e dei paesi. Il disagio che avviene a Messina è già accaduto da tempo nella diocesi di Milano, che è molto più estesa e in cui vi sono 1107 parrocchie dove il cardinale Carlo Maria Martini ha cercato di porre rimedio realizzando le “unità pastorali”, unendo alcune parrocchie a due a due, e ponendole sotto la responsabilità di un unico parroco. Le unità pastorali sono state poi trasformate in “comunità pastorali”: la parrocchia resta, con un prete che vi risiede, ma è inserita in una comunità più grande, che raduna diverse parrocchie sotto un unico responsabile che rimane in carica per 9 anni e un direttivo che vede presenti gli altri preti, ma anche laici. In molti casi c’è un’unica “comunità pastorale che raggruppa tutte le parrocchie del paese e anche di qualche paese vicino. Ciò, per esempio, accade dove abito io. Per questa operazione organizzativa e pastorale si richiede ovviamente che i preti abbiano uno spiccato “sensus ecclesiae”, che i fedeli superino i campanilismi, che scompaiano totalmente gli incarichi parrocchiali a tempo indeterminato affinché i vescovi abbiano “de facto” il potere, che è sempre di servizio, di trasferire i preti che ricorrono allo scudo del Codice Canonico per garantirsi l’amovibilità. Tende, quindi a scomparire la figura di don Camillo del Guareschi che sollevato dall’incarico di parroco del suo paesino per punizione, intraprende il viaggio forzato nella remota parrocchia di Montenara, sperduta tra i monti.
Pochi sanno che nel 1999, i vescovi dell’Emilia-Romagna davano le norme per applicare il direttorio Christi Ecclesia (2 giugno 1988), e, riflettendo sulla presenza della Chiesa nel territorio, invitavano a un «profondo ripensamento», nella consapevolezza «che è finito il tempo della parrocchia autosufficiente» e che doveva nascere «un nuovo modo di fare pastorale». Purtroppo però i tempi della chiesa e anche delle chiese locali, vanno a rilento e non consentono ancora che il vescovo dia l’incarico di parroco o di collaboratore del parroco, a un laico (una sorta di “referente pastorale laico” sul modello diffuso in Germania, si veda per esempio quanto intrapreso dalla diocesi di Osnabrück)), che ovviamente non può celebrare la messa, neppure confessare, ma tutto il resto sì. Dall’amministrazione dei battesimi a quella dei matrimoni (ad eccezione, appunto, del rito eucaristico), alla prima comunione. Avrebbe, di fatto, l’autorizzazione canonica a svolgere qualsiasi attività pastorale, a tenere l’amministrazione della parrocchia, ad organizzare il catechismo, a portare la comunione ai malati, anche ad organizzare le liturgie in chiesa, eventualmente sostitutive della messa, a predicare. Per le messe prefestive e quelle della domenica si può avvalere della collaborazione di un prete. Non sappiamo quanto tempo ancora occorre per riflettere in consonanza con quanto ha detto Papa Francesco quando invitava a riflettere sui ‘viri probati’, uomini sposati di provata fede a cui affidare alcune funzioni sacerdotali così da affrontare la scarsità di vocazioni.
E poi – diciamola con piena convinzione: considerando che nel mondo ci sono da 80.000 a 100.000 preti sposati e ipotizzando che la metà, cioè 40000 oppure 50000 di loro, non accetterebbe il reintegro nel ministero, fatta una semplice operazione, quanta ricchezza di fede e di esperienza si riverserebbe nelle nostre parrocchie con la riammissione di loro!
Rammentiamo che per la Chiesa Cattolica essi rimangono sempre preti anche se privati “ope legis humanae“(“in forza della legge degli uomini”) dell’esercizio del ministero.