Quanta sporcizia c’è …

di ANDREA FILLORAMO

La corruzione imperversa dovunque e non risparmia la Chiesa Cattolica, che anzi di quello che è uno dei mali della società maggiormente diffusi ed insidiosi, sembra sia diventata o sia forse stata sempre la “mater et magistra”. Mi perdoni il papa Giovanni XXIII per l’applicazione di questi termini (mater et magistra), appartenenti al titolo di una sua bellissima enciclica, ad un brutto fenomeno, com’è quello della corruzione. Tornano, quindi, ancor oggi alla mente le parole di Paolo VI pronunciate il 29 giugno 1972: «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa» e quelle di Ratzinger: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui». È, inoltre, questo il tema dei ripetuti appelli di Papa Francesco su soldi, carrierismo, burocrazia che contaminano gerarchie, curie e parrocchie. Nessuno dimentichi e nessun “devoto” del papa polacco, quindi, si meravigli più di tanto, che la corruzione, che sempre è esistita nella Chiesa, divenne strutturale durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, quel papa che la “vox populi” volle “santo subito”. Tutti ricordiamo come questa espressione nacque durante l’enorme adunata dei fedeli a Roma in occasione della sua morte e dei funerali. In quell’occasione un folto gruppo di fedeli, soprattutto giovani, sfilò gridando lo slogan e sollevando striscioni che lo esponevano. E’ stato, infatti, il papa polacco che mise a capo della banca vaticana Paul Marcinkus, attraverso il quale la Chiesa Cattolica comprò azioni false e rubate per un miliardo di dollari ed arrivò a gestire una mole impressionante di loschi affari che fruttarono alle proprie casse centinaia di milioni di dollari. Lo IOR, ufficialmente l’Istituto per le opere religiose, è in realtà la banca di proprietà del Papa che sin dagli inizi, è stata più volte coinvolta nei peggiori scandali, corruzione e intrighi. Per decenni vi hanno transitato i capitali di Cosa Nostra, grazie a personaggi mossi dal Vaticano come Michele Sindona, Roberto Calvi e quelli leciti o illeciti di cardinali e vescovi. Paul Marcinkus, tra i tanti affari poco puliti, acquistava banche e società da Calvi e poi le rivendeva allo stesso Calvi a prezzi superiori. Tutto venne documentato da registrazioni ed intercettazioni dell’FBI, prima di diventare il Crack finanziario che tutti ricordano. Quando nel 1983 l’arcivescovo Paul Marcinkus venne riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta, falsa emissione di assegni, e venne anche condannato per istigazione all’omicidio per il responsabile dell’Ambrosiano Veneto, papa Giovanni Paolo II consentì a Marcinkus di rifugiarsi negli Usa fino al 1992: anno in cui Marcinkus morì. Pochi osano dirlo ma il pontificato di Giovanni Paolo II fu un ritorno di corsa verso il passato. Il cardinale Carlo Maria Martini, interrogato al processo di santificazione, disse con il suo tatto e il suo stile, che sarebbe stato meglio non procedere alla santificazione di Giovanni Paolo II, lasciando alla storia la valutazione del suo operato. Il cardinale disse che il pontefice non era stato oculato nella scelta di molti suoi collaboratori, ai quali, di fatto, delegò la gestione della Chiesa e questi ne approfittarono per fare i propri e spesso sporchi interessi. Ricordiamo, inoltre, che il papa fu padre, promotore e finanziatore sottobanco di Solidarność, il sindacato polacco che scardinò il sistema sovietico, fece alleanze con l’Opus Dei e i con i Legionari di Cristo il cui fondatore padre Marcial Maciel Degollado, era uno stupratore, drogato, donnaiolo, puttaniere, prete e nello stesso tempo marito occulto di due donne e padre di figli. Sulle sue malefatte il papa non solo passò sopra, ma arrivò persino a proporre questo ignobile figuro di depravazione «modello per i giovani». Il pontificato di Giovanni Paolo II, a parere di tanti, ha bloccato la Chiesa, l’ha degenerata, l’ha fatta sprofondare in un abisso di desolazione e di guerre fratricide, che hanno costretto Benedetto XVI a dimettersi. Una scelta quella del papa tedesco, di fatto, senza precedenti di un uomo, continuamente attaccato fuori e dentro la Chiesa, in modo feroce, senza pietà come se tutto fosse dipeso da lui. Anche se responsabilità ne aveva, essendo stato il più stretto collaboratore di Giovanni Paolo II. Impressionando per la sua umiltà e profonda sofferenza, Ratzinger ha dimostrato di essere desideroso di vedere la propria Chiesa guidata con la forza di un Pastore idoneo a risollevarla, in un tempo così difficile, E’ certo che la corruzione era divenuta il boomerang per una progressiva profonda e perversa dicotomia tra ciò che la Chiesa annunciava e ciò che di fatto operava. Noto che con l’arrivo di Bergoglio la rivoluzione auspicata dal suo predecessore si concretizza fin da subito. Oggi è proprio lui in persona, Papa Francesco, a denunciare concretamente quella corruzione che tocca ogni ambito della società attuale, civile e religiosa. La corruzione avviene sì all’interno delle mura leonine dove governa il papa, ma anche dentro qualche episcopio, dove incautamente si sognano lasciti ad personam; nelle curie diocesane, dove regna l’oscurità dei bilanci a discapito della totale trasparenza; nelle parrocchie dove avvengono gli incontri con il politico di turno che non solo promette particolarmente in prossimità delle elezioni, ma mantiene le promesse. Nel mio lungo rapporto che ho avuto con i preti, senza volere, ne ho trovano tanti che, per amore del denaro e per la corruzione di cui erano artefici, non potendo più ubbidire a due padroni: Dio e il denaro, preferiscono non credere più in Dio. Non stiamo parlando di chi si tormenta nel dubbio, ma di chi ha maturato la convinzione di non poter più credere. Spesso è questo il punto di arrivo di una lunga e laboriosa riflessione che li porta a sganciarsi dall’esaltazione e dal plagio dei testi ecclesiastici. Tuttavia, per fragilità, per lo sgomento di non avere più una funzione o la remunerazione, essi nascondono ciò che pensano e continuano a fingere anche nel mentre celebrano messe o pronunciano omelie. Questa figura di prete è riflettente nel proprio intimo, ma vile verso l’esterno. Ma che fare? Preti siffatti sono più numerosi di quanto si possa immaginare.