Vergine Maria Madre di Gesù fateci Santi

di ANDREA FILLORAMO

Email ricevuta alle ore 21,14 del 25 dicembre da parte di don Erminio Piazza (nome e cognome di fantasia)

“Seguo da molto tempo con curiosità e condivisione i tuoi articoli su IMG Press, che se a volte alcuni possono apparire aggressivi, vedendo quello che, anche in virtù di questi scritti, è avvenuto in diocesi, dove finalmente abbiamo un arcivescovo che è un vero pastore, devo necessariamente, ringraziarti per aver messo a nostra disposizione la tua competenza, la tua esperienza, il tuo tempo che hanno sicuramente contribuito a mettere in moto il cambiamento…L’hai fatto e continui a farlo in modo disinteressato, garbato ma con molta disponibilità. Sono rimasto positivamente colpito dall’articolo sul Natale. In poche righe e in modo eccellente hai scritto quello che ogni sacerdote nell’omelia del giorno di Natale, dovrebbe dire ai suoi fedeli, ma non riesce a dirlo perché forse lui stesso vive il Natale senza cogliere il significato profondo. Partendo da questo articolo, ho costruito la mia omelia del giorno di Natale, che ho concluso con l’invocazione che spesso faceva l’arcivescovo Fasola che ha segnato, la nostra gioventù: «Vergine Maria Madre di Gesù fateci Santi». Auguro a te e alla tua famiglia la pace che la nascita di Cristo ha portato nel mondo”.

Conosco perfettamente il fine che mi propongo nello scrivere su IMG Press ma, vivendo lontano, ho dei limiti dati dalle informazioni che mi giungono, che, tuttavia, cerco sempre di verificare e di filtrare in varie maniere, servendomi di diversi strumenti. Sono i lettori, però, che dispiegano il mondo dei miei articoli con l’operazione della consultazione telefonica o con altri mezzi tecnologici. Sono loro che danno vita a questo mondo a partire da ciò che il testo dice, o anche da ciò che non dice ma presuppone implicitamente. Nello scrivere non soltanto su Imgpress ma in ogni mio scritto c’è tutt’intera la mia personalità che non ama i compromessi, che lotta con tutte le sue forze per fare trionfare la verità che spesso si nasconde fra le pieghe dell’ipocrisia. Scrivo sulle questioni che mi vengono segnalate che riguardano la diocesi peloritana, come da “incarico” datomi ma anche dei problemi della Chiesa di cui la diocesi fa parte. Molto interessante mi è sembrato il richiamo, che il mittente dell’email ha fatto nell’omelia del giorno di Natale di Mons. Francesco Fasola, il grande arcivescovo di Messina, che merita sempre di essere ricordato. Fasola sicuramente per me e per tutti quelli della mia generazione è stato un padre, un punto di riferimento, una luce nell’opaco mondo clericale. Egli, per chi non lo sapesse, è stato arcivescovo metropolita di Messina dal 25 giugno 1963 fino al 3 giugno 1977 dopo essere stato vescovo ausiliare di Agrigento e vescovo di Caltagirone. A Messina, come ad Agrigento, anticipando Papa Francesco, inviò una lettera alle pubbliche autorità affinché maggiormente e più efficacemente provvedessero ai bisogni delle periferie. Cercò di arginare l’emorragia di vocazioni all’ordine sacro e i malesseri che alcune interpretazioni dei documenti conciliari provocavano in quegli anni presso taluni settori della comunità ecclesiale. Sarebbe lungo soffermarci su tutte le altre virtù, facilmente riconoscibili nel processo di beatificazione in atto, di questo arcivescovo che veniva dal Piemonte, innamorato della Sicilia, dove ha esercitato per intero il suo episcopato fino alle sue dimissioni per raggiunti limiti di età avvenute il 3 giugno 1977. Da allora io lo raggiunsi più volte e più volte è stato lui a chiedere di essere raggiunto da me al Sacro Monte di Varallo dove, andato in pensione si è ritirato (Varallo dista dal mio luogo di residenza soltanto 140 km). Mi piace ancora conservare dentro di me l’immagine di un uomo, il cui pensiero era sempre rivolto alla città di Messina, ai suoi preti che continuavano nel ministero e a quelli che avevano lasciato il ministero. Si rammaricava di non essersi occupato molto della Curia e di non essersi attivato abbastanza per far conoscere i decreti del Concilio Vaticano II al quale aveva partecipato. Ricordava perfettamente quale era la miserevole situazione della diocesi quando ne aveva preso il possesso, a cominciare dai problemi creati ad arte da quei “cavalli di razza” che per lungo tempo, durante il lunghissimo episcopato di Mons. Paino, quasi sempre assente da Messina, avevano governato la diocesi. Fasola conosceva e ricordava uno per uno quei signori che facevano il buono e il cattivo tempo, che promuovevano e bocciavano i preti instaurando un sistema feudale basato sui privilegi, sull’ingiustizia e sul carrierismo. Sapeva che essi erano riusciti, persino, a far “rimuovere” Mons. Guido Tonetti, arcivescovo coadiutore con diritto a successione dal 1950 a 1957, che stanco e sfiduciato, aveva accettato di farsi trasferire in una piccola diocesi in Piemonte, quella di Cuneo. Da allora e per tutto il rimanente periodo in cui arcivescovo di Messina è rimasto fino a tardissima età Paino, non c’è stato nessun altro arcivescovo coadiutore nella città dello Stretto che, secondo quei signori, per la funzione che avrebbe dovuto svolgere, sarebbe stato di ostacolo al loro potere. Dopo Tonetti vi fu, infatti, un vescovo ausiliare nella persona di Mons. Carmelo Canzonieri, facendo nascere la domanda: “Perchè Mons. Canzonieri non fu nominato arcivescovo di Messina dopo anni di permanenza e di conoscenza dell’arcidiocesi e ha dovuto occupare la sede che era stata di Fasola?”. Per rispondere a questa domanda non ci è concesso dare spazio alla fantasia. Quei monsignori quindi hanno così continuato nell’ossequio al vecchio arcivescovo a reggere le sorti di un presbiterato lacerato al suo interno da lotte intestine. Non so cosa sia avvenuto durante gli episcopati di Mons. Cannavò e di Mons. Marra. In quel periodo non ho seguito la storia della diocesi. Mi sono interessato di essa soltanto nell’ultima fase dell’episcopato di Mons La Piana, che si è concluso, come sappiamo, con le sue dimissioni. Durante quel periodo la diocesi è precipitata rovinosamente in una situazione più grave di quella del periodo painiano. Tale situazione viene oggi gestita dall’arcivescovo Accolla. Ad un anno dalla sua “presa di possesso” possiamo dire che egli ha iniziato il processo di ristrutturazione che si presenta lungo e articolato. La scelta del nuovo vicario generale e dei vicari episcopali è, a mio parere, quella giusta. Mons. Accolla sa che la strada che sta per percorrere è impervia e piena di inciampi e sa anche che è atteso sempre al varco dai nostalgici dell’ancien régime che temono di perdere quanto nel passato è stato loro donato. Qualunque cosa egli farà incontrerà degli oppositori. Noto che si sta ripetendo quanto è avvenuto negli anni 64 e 65, cioè nel primo tempo dell’episcopato di Fasola a Messina. Indimenticabile la reazione spontanea dell’arcivescovo di allora al clero messinese, quando irritato per la cattiveria di alcuni, perdendo la pazienza li minacciò con parole gravi…Fu proprio allora che disse: “Vi affamerò!”, minaccia ovviamente che non è stata mantenuta. Riflettendo su tale minaccia possiamo dire: “anche i santi talvolta perdono la calma”. Per concludere cito a proposito o a sproposito quanto scrive Arturo Graf in “Ecce homo”: “Mi piacciono i santi; ma a quelli che tengono in mano un giglio preferisco quelli che tengono in mano una spada”.