Gesù è nato in una mangiatoia

di ANDREA FILLORAMO

Prima di scrivere “quattro righe”, sul Natale, ho riflettuto molto. Anch’io oggi, antivigilia del Natale 2017, mi sono mosso in strade addobbate di luminarie della fredda e ricca Brianza alla ricerca dei regali; anch’io ho già programmato, per la vigilia, il cenone e non sono riuscito a suggerire qualcosa di diverso per celebrare assieme ai miei nipotini che sbirciano nei pacchi ammucchiati attorno all’albero, un rito diverso. Non ho potuto fare a meno quindi della retorica natalizia, di quanto cioè, nel ricordo della nascita di Cristo, facilmente si dimentica. Come me tanti altri, non hanno ricordato che Gesù è nato in una mangiatoia e di sé diceva: “Il figlio dell’uomo non ha neppure dove poggiare il capo”. Ci siamo dimenticati che, come Gesù, ci sono tanti che non hanno una casa, un focolare e nulla da mangiare. È paradossale che i cristiani vengano, per tali motivi, rimproverati da chi cristiano non è o non si professa tale. Alberto Moravia, per esempio, anni fa rimproverava ai cristiani la riduzione del Natale a un reperto archeologico-folclorico sul quale “si depone la patina del tempo e si raggrumano le incrostazioni di tante scorie”. Egli, inoltre, scriveva: “Il Natale mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le loro reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico, bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose, eccetera, eccetera”. Ne era un po’ partecipe anche un altro autore “scandaloso” come Curzio Malaparte, quando nel Natale del 1954 scriveva: “Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia… Vorrei che il giorno di Natale il panettone diventasse carne dolente sotto il nostro coltello e il vino diventasse sangue e avessimo tutti per un istante l’orrore del mondo in bocca… Vorrei che la notte di Natale in tutte le chiese del mondo un povero prete si levasse gridando: Via da quella culla, ipocriti, bugiardi, andate a casa vostra a piangere sulle culle dei vostri figli. Se il mondo soffre è anche per colpa vostra, che non osate difendere la giustizia e la bontà e avete paura di essere cristiani fino in fondo. Via da questa culla, ipocriti! Questo bambino, che è nato per salvare il mondo, ha orrore di voi!”. Da citare anche i versi del drammaturgo Brecht che invita a non incappare nell’illusione del cristianesimo ma anche esalta il Natale dei poveri che aspettano un salvatore, a differenza di chi è ripieno di cose come un cappone, infine scrive; “Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale / noi, gente misera, / in una gelida stanzetta, / il vento corre di fuori, / il vento entra. / Vieni, buon Signore Gesù, da noi, / volgi lo sguardo: / perché Tu ci sei davvero necessario”. Il filosofo Wittgenstein giustamente ricordava nei suoi Pensieri diversi che “il cristianesimo non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è stato e sarà nell’anima umana, ma la descrizione di un evento reale nella vita dell’uomo”. Infatti, se Cristo è anche Verbo, Parola, lo è però nel senso biblico di atto, di evento appunto, è il logos che si fa sarx, cioè “carne, storia, umanità, accogliendo in sé per redimerle povertà, sofferenza, caducità, mortalità”. Concludiamo con Quasimodo, che, sul presepio scrive i seguenti versi: «Guardo il presepe scolpito, / dove sono i pastori appena giunti / alla povera stalla di Betlemme…/ Pace nella finzione e nel silenzio / delle figure di legno: ecco i vecchi / del villaggio e la stella che risplende, / e l’asinello di colore azzurro. / Pace nel cuore di Cristo in eterno; / ma non v’è pace nel cuore dell’uomo. / Anche con Cristo, e sono venti secoli, / il fratello si scaglia sul fratello.” Appelli severi, quindi, per ritrovare l’anima autentica del Natale, che ha perciò un suo valore emblematico per tutti da recuperare.