Quel prete ha un figlio

di ANDREA FILLORAMO

L’abbiamo sentito sicuramente con le nostre orecchie e forse non ci facciamo più caso: “quel prete ha un figlio…se osservi vedi che il bambino ha lo stesso taglio di occhi…anche la bocca, le orecchie a sventola e il naso sono identici a quelli del prete. E, poi…la conosciamo bene…quella donna…non lo lascia mai in pace il nostro parroco… è sempre sotto la sua tonaca fino a quando… è successo quello che necessariamente doveva succedere”.
Sono questi gli effetti dei pettegolezzi e delle maldicenze sui preti cattolici e sulle donne che frequentano la chiesa. Del resto alla continenza dei sacerdoti nessuno più ci crede e tutti sempre sono pronti a dare addosso alle “pie” donne che riescono a conciliare i loro impegni familiari con il tempo che spesso generosamente dedicano alla parrocchia.
Lo sappiamo: al prete, per legge ecclesiastica, è negata la possibilità di avere “alla luce del sole” un figlio da amare, educare e far crescere come tutti gli altri e, quindi, non potrà mai avere una famiglia composta dal padre, dalla madre e dal figlio.
Ma che cosa succede nel caso, che potrebbe essere anche frequente, in cui egli dovesse venir meno alla sua promessa di castità e diventare biologicamente padre anche se in modo clandestino?
In questo caso, giudicato detestabile, il prete avrebbe tre possibilità: o, come ha dichiarato il cardinale Sean O’Malley, membro della “Pontificia commissione per la Tutela dei Minori”, istituita nel 2014 da papa Francesco per fronteggiare lo scandalo della pedofilia nel clero, lasciare il ministero e avventurarsi nella vita civile o, in modo irresponsabile, abbandonare al proprio destino il figlio assieme alla madre, senza curarsi assolutamente di loro, o vivere la paternità in modo segreto e clandestino con enormi danni psicologici ed educativi per il figlio.
Cosa sta facendo la Chiesa ufficiale al riguardo? Nulla anche se giunge voce che il velo di omertà e irresponsabilità, che da secoli ammanta storie e destini dei figli dei preti, sta per essere squarciato. La “Pontificia commissione per la tutela dei minori” ha avuto, infatti, come mandato quello più generico di promuovere la responsabilità delle Chiese particolari nella protezione di tutti i minori e adulti vulnerabili. Tra questi sono annoverabili i figli dei preti.
Essi il più delle volte sono cresciuti senza un padre che in qualche modo si prendesse cura di loro, in molti casi patendo forti disagi psicologici ed economici, in un contesto sociale ed ecclesiale spesso ostile e contrassegnato da segreti e maldicenze.
Qualche indicazione sul modo di procedere nell’affrontare questi non facili problemi, la danno i vescovi irlandesi che unici al mondo, hanno pubblicato delle linee guida in materia.
Affidandosi al discernimento caso per caso e senza obbligare il sacerdote-papà a lasciare il ministero, l’episcopato irlandese precisa che «il minimo» da farsi in situazioni così delicate è che il diretto interessato «non fugga dalle proprie responsabilità» e che le stesse autorità ecclesiali agiscano in tal senso. «Le necessità del bambino — scrivono i vescovi — devono venire per prime».
Credo che la Chiesa universale possa seguire la strada indicata dall’episcopato irlandese e non solo riconosca il diritto del bambino ad avere per padre un prete ma anche al prete di poter esercitare la paternità. Per far ciò non le resta che abolire il celibato ecclesiastico.