
Andrea Kerbaker, da molti anni giurato del Premio Strega, propone oggi sulla Domenica de Il Sole 24 Ore di anticipare di un mese la scelta dei finalisti dando così agli amici della domenica un tempo più adeguato per leggere tutti i libri candidati al premio.
Cinque chili e cento grammi. È il peso del pacco dei 12 libri del Premio Strega, che, come a ogni maggio, un fattorino della ibs mi ha recapitato con visibile fatica nei giorni scorsi e che io, con altrettanto sforzo, ho appoggiato su uno scaffale, per estrarre i titoli uno per volta e iniziare a guardarli. È un rito che, da quando sono un amico della domenica, compio con immutata gestualità; solo che quand’ero neogiurato, al principio del decennio scorso, la cerimonia mi riempiva di entusiasmo, oggi la sensazione prevalente è lo sgomento per la mole di pagine. Quest’anno, per di più, partivo prevenuto: perché l’ultima edizione era stata caratterizzata dalla presenza della Scuola cattolica di Edoardo Albinati, un libro decisamente fuori misura, 1300 pagine. Una dimensione che non ha spaventato i votanti, visto che il mattone ha finito per vincere. Tutti lettori forti, fortissimi, instancabili stakanovisti della lettura? Così gli ottimisti; ma, si sa, lo Strega non è premio dove si risparmino gossip e maldicenze, nella migliore tradizione salottiera romana; e dunque l’edizione 2016 -che avrebbe dovuto passare agli annali soprattutto come la numero 70, con relative celebrazioni –è stata subito perfidamente battezzata e archiviata come la prima in cui avesse vinto un libro non letto da nessun votante.
Quest’anno, per fortuna, tra i 12 titoli prescelti nessuno ha dimensioni paragonabili; e tuttavia non ci fanno mancare libri grassottelli: che dire infatti dei primi tre che emergono dalla scatola: Malaparte. Morte come me, della coppia Monaldi&Sorti, fa 496 pagine; Il senso della lotta di Nicola Ravera Rafele 438; e Marco Rossari, che l’anno passato nel suo smilzo Piccolo dizionario delle malattie letterarie aveva riempito sì e no 50 godibilissime paginette di piccolo formato, ideali per una lettura da tram o metropolitana, qui partecipa con Le cento vite di Nemesio, tomissimo da 500 pagine tonde tonde che se lo porti su un mezzo pubblico ti fanno pagare un secondo biglietto.
Non fa caldo, in questo maggio milanese; eppure di fronte al pacco si inizia a sudare: siamo appena a un quarto dei candidati e già si sfiorano le 1500 pagine. Per fortuna però i romanzi successivi sono di dimensioni più umane: Paolo Cognetti, Wanda Marasco, Chiara Marchelli, Ferruccio Parazzoli e Teresa Ciabatti si aggirano sulle 200 pagine; si manda agli autori un pensiero grato, e addirittura si erige un monumento ideale a VanniSantoni, che con la sua Stanza profonda si è limitato alle 150.È gloria breve, peraltro, perché con gli ultimi tre si ritorna a superare le 300 pagine: 348 per Gin tonic a occhi chiusidi Marco Ferrante, 318 per l’Educazionemilanese di Alberto Rollo e ben 366 del prolifico Matteo Nucci perÈ giusto obbedire alla notte, con accattivante copertina di Sironi.
La lista è finita. Mi prendo la briga di fare il contopreciso, con carta e penna: sono esattamente 3726 pagine. Il pacco è stato consegnato il 10 maggio; la prima votazione va espressa entro il 14 giugno. Dato e non concesso che i volumi siano giunti a tutti in questa settimana, ai votanti si chiede per tutto il prossimo periodo prossimo venturo di leggere un po’ più di 100 pagine al giorno.
Ora, si si sa che nella vulgata comune gli uomini di lettere sono considerati individui fortunati,intenti a godersi esistenze oziose in giardini che ricordano da vicino il paradiso terrestre; forse un tempo lontano lo sono stati; ma attualmente, pressati dall’esigenza di mangiare (carmina non dant panem, ieri come oggi) hanno la pessima e plebea usanza di fare lavori disparati, che in genere nell’arco del giorno li tengono impegnati. Per affrontare la loro dose giornaliera di testo, dunque, devono impegnare le sere; e – per quanto possano essere lettori rapidi – la lettura non distratta di un centinaio di pagine dovrebbe portar via un paio d’ore. Da qui a metà giugno, al giurato dello Strega viene quindi richiesta una vera e propria quaresima: mai una sera con amici, a teatro o al cinema; mai una volgare passeggiata, non parliamo diunquarto d’ora davanti alla televisione. Macché: tutte le sere che Dio ha fatto, il tempo di una cena veloce e poi via: leggere, leggere, leggere.
Negli ultimi anni chiunque si occupi del premio Strega, dentro e fuori l’organizzazione, ha pensato bene di proporre la sua riforma; ultimo il neo presidente Giovanni Solimine, che ha annunciato un allargamento della giuria a molti votanti esteri: ulteriore misuraper sottrarre il premio all’egemonia dei mondadoriani di stretta osservanza. Buona idea, senza dubbio. Ma per serietà, prima di tutto mettiamo i giudici in condizione di sapere cosa stanno votando. È facile: basterebbe anticipare la scelta dei finalisti di una quarantina di giorni. Si chiudono le candidature per fine febbraio, si decide la dozzina nella prima settimana di marzo, si invia il pacco entro l’inizio di aprile. Quasi 4.000 pagine in due mesi e mezzo, è sempre un lavoraccio; ma almeno ce la si può fare. Coraggio, facciamolo.
Domenica de Il Sole 24 Ore