
Dal Salmo 33
Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.
Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
di Ettore Sentimentale
Abbiamo già incontrato lo stesso salmo – seppur modificato nella selezione – alla II domenica di Quaresima. Ora, nel tempo di Pasqua, la Chiesa non può fare a meno di ripresentarlo aggiungendo esplicitamente – proprio all’esordio del nostro testo – la motivazione e il genere letterario. Infatti, in questo periodo (di esultanza pasquale) “i giusti” devono “gridare di gioia nel Signore” (lett.) perché proprio a costoro (“i retti”) “si addice la lode” (lett. “tehillah”). Viene indicato così il genere letterario del salmo: inno di ringraziamento.
In questo commento desidero soffermarmi soprattutto sull’ouverture solenne dell’inno di lode, mettendo in risalto i protagonisti e i loro relativi atteggiamenti. Il carme si apre con un invito ai “giusti” (“tzaddiqim”) a esultare nel Signore. Nel Salterio questo termine ricorre molte volte (oltre 50) e parecchi testi sono imperniati proprio sulla “giustizia” dell’orante. È bene esplorare – seppur brevemente – i significati della “rettitudine” nel libro dei salmi, per cogliere le sfumature e mettere così meglio a fuoco il contenuto del nostro poema.
Il primo senso è quello strettamente “oggettivo” e rimanda al diritto inalienabile della persona; c’è poi la “dimensione sociale” vale a dire il rispetto del diritto altrui; infine vi è la “relazione con Dio”, nella quale l’orante cerca di rispettare il disegno dell’Altissimo nei confronti del mondo e dell’uomo.
Il nostro testo (come molti altri salmi) fa riferimento soprattutto all’ultimo significato, tanto che subito dopo aggiunge “retti”, sinonimo di “giusti”, espressione che descrive coloro che votano interamente la propria vita nel vivere fedelmente le indicazioni della torah. Per avere un’idea immediata di tale concetto basta leggere Mt 1,19: “Giuseppe, che era un uomo giusto…”.
Il nostro salmo presenta anche un gradevole gioco linguistico: i “retti” trovano la propria motivazione fondativa sulla Parola di Dio “poiché è “retta” e proprio essa manifesta la “fedeltà di ogni sua opera”.
Queste sono le affermazioni che stanno alla base del “grido di lode” verso Dio, fedele nella sua bontà, mai pentito del suo amore. A questo punto il salmista continua a descrivere cosa Dio “ama”, attingendo al vocabolario dell’alleanza: la giustizia, il diritto, l’amore. Tre sostantivi che caratterizzano in un crescendo l’essenza divina e vorrebbero contagiare l’orante e con lui tutti i fedeli di Jahweh.
L’ultima parte del salmo ci rimanda alla tonalità specifica del tempo pasquale: siamo stati liberati dalla morte perché lo sguardo amorevole del Signore si è posato su di noi e non ha permesso – a immagine della meraviglia operata nel Figlio – che restassimo nel sepolcro, simbolo di morte.