Mostraci, Signore, il sentiero della vita

Dal Salmo 16
Mostraci, Signore, il sentiero della vita.

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

di Ettore Sentimentale

Il salmo (seppur ridotto nella parte iniziale) che la liturgia ci presenta ha un forte accento di fiducia. La rilettura neotestamentaria di questo carme è offerta da At 2, 22-33 – prima lettura della III dom. di Pasqua – che lo interpreta in chiave messianica. Per una comprensione in questa direzione, quindi, basta rileggere con calma il suddetto brano di Atti.
Il nostro testo è pervaso da un senso di gioia dovuta alla percezione della presenza divina, fonte di “rifugio”. Il salmista si sente “protetto” nelle vicissitudini quotidiane e quindi pone la sua totale fiducia in Dio, che lo fa “erede” non tanto della terra promessa quanto di un rapporto esclusivo: “Il Signore è mia eredità e mio calice”. Simboli dell’abbondante salvezza che Dio gli riserva, a tal punto da non poterla “quantificare”.
La fiducia incrollabile nell’intervento divino che guida l’orante attraverso “buoni consigli” è percepita anche nei momenti difficili, a tal punto che l’orante scopre la sua anima avvolta, giorno e notte, dagli insegnamenti del Signore. La morale di questa scoperta è chiara: Dio ha sempre cura del suo fedele, anzi gli rimane sempre davanti e accanto. Questa immagine è alquanto suggestiva, perché rimanda al desiderio del salmista di mandare il Signore in “avanscoperta” per liberare il percorso da pericoli e così favorire l’accesso alla strada che conduce a Dio, centro di tutto e al di sopra di tutto.
Il salmo suggerisce soprattutto il coinvolgimento di tutta intera la persona dell’orante alla lieta certezza della presenza di Dio: il cuore (“gioisce il mio cuore), l’anima (“esulta la mia anima”), la carne (“il mio corpo riposa al sicuro”). E proprio la presenza del Signore diventa garanzia che il servo fedele non resterà negli inferi, né vedrà la fossa (esperienza di morte) ma godrà della vita in Lui.
Se la Chiesa ci fa pregare questo salmo soprattutto nel tempo pasquale, è per sottolineare l’annuncio della risurrezione in Cristo dei fedeli. Il nostro destino finale, infatti, come descritto nella conclusione del salmo è quello di essere introdotti alla comunione con Dio, ove sperimenteremo la “gioia piena” e la “dolcezza senza fine”, dopo aver percorso il “sentiero della vita”.
Fra tanti contributi che la spiritualità ha fornito a questo carme, il più appropriato mi sembra quello di S. Teresa d’Avila: “Nada te turbe, nada te espante, quien a Dios tiene nada le falta. Solo Dios basta”.
Parole messe in musica da molti esperti italiani e stranieri. Invito tutti a lasciarsi almeno coinvolgere dall’omonimo canone di Taizé per immergersi pienamente – come il salmista – nella preghiera del cuore.