
Dal Sal 118
Questo è il giorno di Cristo Signore:
alleluia, alleluia.
Rendete grazie al Signore, perché è buono;
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele che egli è buono:
il suo amore è per sempre.
La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto meraviglie.
Non morirò, resterò in vita
e annunzierò le opere del Signore.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo;
ecco l’opera del Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
di Ettore Sentimentale
Il ritaglio del salmo 118 (appena 6 versetti su 29) che viene proposto alla nostra riflessione è un inno di ringraziamento tipicamente pasquale, poiché affonda le radici nella ininterrotta tradizione della cena pasquale ebraica, durante la quale viene cantato all’interno del grande Hallel (salmi 113-118). La liturgia eucaristica lo propone massicciamente come risposta alla prima lettura nel tempo pasquale in tutti i cicli liturgici (nella veglia, nelle seconde domeniche e nella IV dell’anno “B”).
È quindi un testo che si ripresenta assiduamente e del quale in questa sede mi preme evidenziare il ritornello e l’invocazione iniziale.
La ripetizione introduttiva proclama la fede dell’orante in Dio che ha liberato il popolo dalla schiavitù, restituendogli la piena dignità: “Si dirà in quel giorno [quello della liberazione dalla deportazione babilonese] «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse (…) Questi è il Signore in cui abbiamo sperato: esultiamo e rallegriamoci per la sua salvezza»” (Is 25,9).
Per i cristiani il giorno della liberazione, per antonomasia, è il mattino di Pasqua, quando i discepoli – davanti al sepolcro vuoto – prendono coscienza della risurrezione del Signore da morte e della sua vittoria definitiva. Ecco perché i fedeli non possono non esplodere nella lode: alleluia, alleluia.
“Questo è il giorno di Cristo Signore” perché nel suo mistero pasquale egli si rivela il Signore dei giorni.
Il salmista lo dice all’inizio e lo ripete trasversalmente in tutto il carme: non si può trattenere l’esultanza e nessuno deve sentirsi escluso dal “rendere grazie al Signore” perché “il suo amore è per sempre e da sempre”.
Qui il testo ebraico utilizza un sostantivo particolare: “hesed”, cioè l’amore eterno e leale di Dio. Spesso questo nome è – giustamente – tradotto con “misericordia”. E se avessimo davanti agli occhi il testo intero scorgeremmo il lungo elenco nel quale vengono snocciolati i vari momenti dell’esistenza dell’autore: sono momenti di grazia nei quali il salmista ha toccato con mano la bontà di Dio. A tal proposito è opportuno rifarsi a quanto Gesù afferma: “Nessuno è buono all’infuori di uno solo, Dio” (Mc 10,18). Una provocazione che ci mette in guardia dall’illusione di presentarci davanti al Signore con la pretesa di essere buoni (cfr.Lc 18,9ss, il fariseo e il pubblicano al tempio).
Guardando bene dentro le pieghe della nostra vita, scopriamo che il Signore ha fatto e continua a usare misericordia a noi. Un motivo in più per camminare da risorti nella vita.