Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla

Dal salmo 23
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

di Ettore Sentimentale

Ci troviamo davanti al salmo più conosciuto e cantato di tutto il salterio. Si tratta di un poema di fiducia nel quale Israele esprime la sua fede in Dio, pastore e amico del suo popolo offrendogli ospitalità generosa e imbandendo “un banchetto di grasse vivande, di cibi succulenti e di vini eccellenti” (Is 25,6).
La liturgia ci fa pregare parecchie volte, nel corso dell’anno liturgico, l’inno di “Dio pastore” che in tale occasione viene proposto come risposta all’elezione e unzione di Davide come re d’Israele da parte di Samuele, episodio raccontato nella prima lettura di questa domenica, tratta da 1 Sam 16. Il re viene sempre percepito come rappresentante di Jhwh e quindi guida del popolo. Se Dio è “pastore e ospitante”, l’atteggiamento del salmista è quello del totale abbandono alla premurosa attenzione del Signore. In realtà il tema che attraversa trasversalmente il carme è quello della radicale “consegna” alle cure del “pastore” da parte del salmista.
Riprendo il testo nei passaggi più importanti per sottolineare la fede dell’orante.
Già domenica scorsa avevamo ascoltato la presa di coscienza del pio israelita che percepiva così l’identità collettiva del suo popolo: “noi gregge che egli guida” (Sal 95,7). Ora l’orante professa apertamente la propria fede, caratterizzata da un senso di appartenenza ancora più vincolante: “Il Signore è il mio pastore”. Il salmista è così sicuro dell’attenzione di Dio nei suoi confronti che completa il verso facendo risaltare l’immediata conseguenza di tale certezza: “non manco di nulla”. La sua vita è completa e piena di senso perché ha sperimentato la costante guida e protezione di Jhwh. Anzi, il fedele esprime con parole ancora più incisive e immediate la propria incrollabile sicurezza in Dio: “anche se vado per valle oscura, non temo alcun male”. Perfino nei momenti di disagio e di necessità dell’orante, il Signore gli è accanto: le ombre e i fantasmi della “valle oscura” (simboli della morte) non lo spaventano. Il ruolo di “guida” Jhwh lo esercita in modo saldo e sicuro, attraverso l’uso del “bastone e del vincastro”. A questa significativa metafora si rifà l’uso del “baculo pastorale” da parte dei vescovi, pastori del gregge loro affidato dal Signore.
Alla fine del salmo vengono menzionati i “nemici”: un particolare che stonerebbe con il clima poetico e sereno del testo. Guardando meglio dentro la mens del carme scopriamo che l’orante nel citare gli “avversari” gonfia sì il petto di “sano orgoglio”, macosì facendo afferma che proprio i suoi “rivali” sono paradossalmente testimoni della profonda amicizia che lo lega al Signore, di cui sperimenta quotidianamente l’immensa generosità.
Magari potessimo essere contagiati dallo stesso “vanto”!