Perdonaci, Signore: abbiamo peccato

Dal Salmo 51
Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.

di Ettore Sentimentale

Il “miserere” di Davide, salmo con il quale inizia il cammino quaresimale, è una supplica dagli accenti fortemente penitenziali. Il tema di fondo è la coscienza della propria colpa (nel caso specifico il peccato del re che era andato con Betsabea) e l’umile richiesta di perdono. I versetti che la liturgia ci propone presentano questo duplice movimento: da una parte, il riconoscimento del proprio peccato con le relative “devastazioni” che esso comporta a livello morale e sociale; dall’altra, l’esperienza del perdono di Dio (la grazia) che riabilita interiormente l’uomo facendone una nuova creatura.
Questa supplica penitenziale è lo sfondo interpretativo della “primavera dello Spirito” (così i padri definivano la quaresima), sebbene la liturgia festiva lo collochi solo alla prima domenica, incastonato fra il racconto del peccato delle origini (Gen 3, 1-7) e la rilettura che ne fa S. Paolo (Rm 5, 12-19).
Penso quindi di suggerire qualche provocazione che ruota attorno al versetto centrale “Sì, le mie iniquità le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi”, invitando però ognuno a riprendere in mano l’intero testo per accostarlo con trasporto sincero.
Stando a questa espressione, il salmista esprime la piena consapevolezza del suo peccato: non cerca scuse o alibi. Il peccato è un’esperienza pervasiva con cui il protagonista deve costantemente confrontarsi, una realtà “fisica” che lo sovrasta e gli rinfaccia continuamente il proprio limite. Davide si sente schiacciato dal senso di colpa, causa di angoscia che riesce a mitigare nella misura in cui si inabissa nella “misericordia divina”” alla quale chiede di “cancellare” (ma sarebbe meglio tradurre “abradere”) le proprie “iniquità”.
In questi ultimi anni, la psicologia del profondo (cfr. PAOLO FERLIGA, Attraverso il senso di colpa, San Paolo 2010) ha maturato una convinzione prettamente “biblica”: il senso di colpa (il riconoscimento e la misurazione del male compiuto) è necessario per garantire un certo equilibrio psicologico. Carl Gustav Jung scriveva che “solo gli sciocchi si interessano alle colpe degli altri” nelle quali ostinatamente tentano di trovare la spiegazione psicologica dei propri guai.
Quanto avviene nella nostra società, a tal riguardo, è paradossale. Oggigiorno da più parti si tende a colpevolizzare gli altri (alunni/insegnanti e viceversa; genitori/figli e viceversa, etc…) e per sopravvivere a questi violenti disagi si fa ricorso abbondante a farmaci “antiangoscia”. Davanti a questo quadro (sintetico ma non esaustivo) mi chiedo quale risonanza possano avere le parole del salmo. Forse rischiano di diventare un tentativo illusionistico di aggressione (indebita) alle fondamenta la società del benessere…
In ogni caso, la “voce della coscienza” del salmista è sempre valida perché insegna a correggere i propri errori e a migliorare la relazione con gli altri, soprattutto con se stessi. La finalità di tale impresa consiste nel desiderio della “creazione di un cuore puro”. Opera esclusiva della misericordia di Dio.