
Dal Salmo 119
Beato chi cammina nella legge del Signore.
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.
Ci troviamo davanti a un piccolo ritaglio del salmo 119, il più lungo del salterio (176 versetti), contrassegnato dal genere letterario sapienziale, ritmato dalla forma acrostica ove ogni lettera dell’alfabeto ebraico contiene circa 8 versi.
La selezione in oggetto è estrapolata dalla prima lettera (Alef), la terza (Ghimel) e dalla quinta (He). Sebbene la composizione sia varia, l’articolazione del testo in esame è unitaria perché scanditadalla centralità della legge, sottolineata fin dall’inizio dal verbo “custodire”.
Anche questa lunghissimo salmo, ma in realtà è tutto il salterio (cfr. Sal 1,1) si apre con una beatitudine espressa nei primi due versi nei quali chiaramente si dice che essa è riservata a chi osserva e mette in pratica la legge (lett. “le dieci parole”) del Signore.
Nel vangelo (Lc 8,21) troviamo che Gesù riprende l’atteggiamento necessario nei confronti della Parola affermando che si diviene “familiari” di lui nella misura in cui si “ascolta e mette in pratica la parola di Dio”, anzi – citando alla lettera il nostro testo – afferma che sono veramente “beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28).
Il v. 5: “siano stabili le mie vie”, diviene quindi il corollario della centralità dell’osservanza della legge, perché con tale espressione il salmista si augura (impegnandosi concretamente) ad avere una condotta integra e perseverante.
In un contesto socio-politico-religioso (com’è il nostro) in cui la corruzione dilaga (e viene sistematicamente denunciata da papa Francesco fino a qualche giorno addietro) le parole del salmista si prestano ad essere “beffa” per alcuni, ammonimento per altri. Al di là dei buoni propositi, penso che l’antidoto a tale piaga (corruzione) per i credenti debba configurarsi nell’invocazione del salmista: “Aprimi gli occhi perché io consideri” (v.18).
Si tratta di vedere sia all’interno di se stessi, ma pure all’esterno dilatando lo sguardo, allargando gli orizzonti per discernere la realtà oltre le apparenze, perché lì si nascondono “le meraviglie della sua legge”. Il rimando al capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry è immediato: “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Infine, la parte del salmo su cui stiamo riflettendo si chiude con una richiesta vitale: “Dammi intelligenza…” (v. 34). È una ulteriore sottolineatura della capacità di discernimento sopra esposta, perché non è sempre facile e lineare capire ciò che è bene e giusto. Bisogna quindi sempre ricercare nella legge del Signore la “pratica della sapienza” da operare in ogni situazione, mettendosi in gioco “con tutto il cuore”.