Cioccolatini divini

di ANDREA FILLORAMO

Email: ……@virgilio.il, ricevuta il 7 febbraio alle ore 20,34
“Il Sacerdote xxxxxx, che tu conosci bene e del quale recentemente abbiamo parlato, durante una riunione in cui ha riferito sull’incontro che l’arcivescovo aveva avuto con i preti, ha commentato il tuo articolo e ha detto: «L’arcivescovo……ha fatto bene a dare del bastardo a tanti che…………Il più bastardo è il vostro amico che voi leggete nel computer: Andrea Filloramo, che……………»”.

Non intendevo assolutamente ritornare su quanto ho scritto in quell’articolo che, a mio parere, è molto pacato, chiaro nelle sue premesse e nelle sue conseguenze ed è comprensibile da tutti. Ricevuta, tuttavia, l’email da un mio vecchio amico, sicuramente credibile, che mi chiede di intervenire a una – chiamiamola pure – annotazione, di un prete che io conosco, non ho potuto fare a meno di farmi ancora sentire.
Ciò non tanto per l’insulto rivoltomi da quel prete, quanto perché intendo ancora ribadire, nel caso in cui qualcun’ altro non mi avesse capito, che, con quell’articolo, ho inteso contribuire, nell’unica maniera che mi è permessa, da quando ho scelto di scrivere sulla diocesi peloritana in IMGPress, di costruire, senza pretese, un ponte fra il vescovo e il clero messinese, che manifestava un grande disagio nel non capire o nel non volere accettare quel linguaggio, a dir poco “duro“ da parte del nuovo arcivescovo.
Sono certo che il vescovo, i miei lettori ei preti, che mi hanno segnalato quel comportamento e che si sono sentiti rappresentativi di quelli che si sono stupidi dellainusualità di quel linguaggio, si siano perfettamente resi conto della mia intenzione. Quel prete, tuttavia, in modo inaspettato, ha cercato di vanificare, anche attraverso un epiteto rivoltomi, il mio intervento garbato ed esente da preconcetti, sia nei confronti del presule sia dei suoi sacerdoti.
Non nutro sentimenti di rivalsa su di lui, non ne vale la pena, sapendo, come lo sanno bene i suoi fedeli, chi è e come è fatto. È ben poca cosa quella che gli è scappata dalla bocca.
Probabilmente egli non ha letto neppure l’articolo, poiché non ama, come è solito dire, i libri, i giornali, che si vanta di non leggere, diciamolo pure: non ama la cultura, che egli ritiene opera addirittura del diavolo.
Fortunatamente a Messina mi risulta che siano pochi, anzi pochissimi, i preti che la pensano come lui e non sanno che con la lettura si apprende, si trasmette la culturasi rafforza l’intelligenza, si forniscono contenuti di sapere, si tolgonole limitazioni date dal proprio punto di vista, ci si libera dai determinismi dogmatici e dai pericoli della carenza di confronto sulle idee. Ritengo che se quel prete non ha fame e sete di cultura, Messina ne ha tanto bisogno. Diciamolo pure e scriviamolo a grandi lettere: occorre che nella città ci siano dei promotori di una cultura che sia forgiatrice di idee, opinioni, progetti e programmi che, ne sono certo, può apportare a una città quel cambiamento sul piano politico, sociale e anche religiosoche tutti i messinesi attendono. Mi stringe il cuore vedere la mia città ridotta a un aggregato umano da terzo mondo, a un “letamaio” sub coelo, dove nulla funziona, dove i politici non fanno “politica”, ma solo “affari”, dove ci sono ancora dei preti (fortunatamente non tutti), che non si vergognano di fare i “collettori” di voti per avere dei benefici e sperano che sia solo Dio a risolvere i problemi dei cittadini, dimenticando quanto persino un poeta pagano che era Virgilio scriveva: “Desine fata deumflectisperare precando (Non sperare di cambiare il destino con le preghiere)”. Mi nauseano quei monsignori, che “sgusciano” dalla cattedrale, dalle chiese parrocchiali e dalle abitazioni,“impettiti”, con gli abiti scarlatti, che “temono di sporcare l’orlo delle loro tuniche” con il “fango” delle strade” e nulla o poco fanno per gli altri. Di questi ne conosco qualcuno da quando eravamo ragazzi e mi congratulo con lui della carriera fatta, come non lo so. Mi viene spontaneo, pensando al lontano passato dire con il poeta: “miracol tal non rimirò natura” o, volendo essere benevolmente ironico: “Un asino resta sempre un asino, anche se lo ricopri d’oro”. Mons. Giovanni Accolla costituisce indubbiamente il punto di riferimento di una città che si sente abbandonata da Dio e dagli uomini.
Su di lui, ne sono certo, la città e l’arcidiocesi puntano anche per chiudere delle parentesi dolorosissime, che a nessuno conviene tenere aperte.
Avverrà il cambiamento auspicato? Speriamo.