LETTERA APERTA A SUA ECCELLENZA MONS. GIOVANNI ACCOLLA

di ANDREA FILLORAMO

Non so se Vostra Eccellenza, essendo un siracusano, conosce questo “Foglio Elettronico”, che negli ultimi anni ha seguito le traversie dell’arcidiocesi che Papa Francesco Le ha affidato e, quindi, non so se verrà a sapere di questa lettera aperta.
Ho la speranza, però, che nel caso in cui essa sfuggisse alla sua lettura, qualcuno dopo averla stampata, gliela la faccia pervenire, affinché lei possa iniziare a conoscere qualcuno dei problemi di una città, sui quali si potrebbero scrivere molti volumi, dato che essa sembra “abbandonata dagli uomini e da Dio”, governata da poteri, religiosi e civili, che nulla o poco hanno fatto per restituirle l’onore e il decoro che la storia e la stessa natura le avevano concesso.
Premetto che vivo molto lontano da Messina ma mai il mio pensiero si è allontanato dalla città che mi ha dato i natali, la formazione e alla quale ho dedicato dieci anni della mia vita, svolgendo il ministero al quale mi sentivo vocato.
Da più di quarant’anni vivo in Brianza, dove ho concluso la mia carriera di docente di Storia e filosofia prima e di Dirigente Scolastico, poi, in diversi Licei milanesi, anche prestigiosi.
Scrivo in alcuni giornali, compreso IMGPress, che mi dà la possibilità di svolgere quello che ritengo un servizio a favore della città e dei preti messinesi, fra i quali conto molti miei cari amici.
Dei loro problemi molto forse mi sono prolungato in tanti articoli. Anche per me può valere il principio che il passato occorre seppellirlo, a meno che esso non condizioni negativamente il presente.
Su questo ultimo punto staremo a vedere o meglio starà a vedere Lei, che coraggiosamente (come le ha suggerito papa Francesco), riterrà il passato di una città fino a qualche giorno fa non sua, un’opportunità per la costruzione di un futuro migliore. Mi permetta, a tal proposito, perciò, rammentare quanto scriveva Victor Hugo: “Il futuro ha molti nomi: per il debole significa l’irraggiungibile; per il timoroso significa lo sconosciuto; per il coraggioso significa opportunità”.
Fra i molteplici problemi della diocesi uno, in modo particolare, però, sottopongo alla sua attenzione, del quale poco si parla e la cui soluzione si rimanda “sine die”: è il problema delle “baracche”, esistenti nel cuore e nelle periferie della città.
Esattamente 109 anni fa, un terribile sisma devastava Messina e provincia e le baracche dei terremotati – sono ancora lì: popolate da gente che ammazza i topi “a cucchiaiate”. Senza più la speranza che questa vita “provvisoria” finisca.
Di queste baracche così scriveva, nove anni fa,Cesare Fiumi, in un giornale a tiratura nazionale:“Generazioni di baracche e generazioni di messinesi che lì dentro ci hanno vissuto e ancora ci vivono, in più di tremila, nell’anno domini 2008, a cent’anni dal sisma: i quartieri dell’Annunziata, del Fondo De Paquale o di Giostra, come le stratificazioni geologiche della storia d’Italia, della sua classe politica siciliana e no, del suo squallore. Ché le baracche di Messina sono, oggi, una lezione di architettura da favelas a cielo aperto, dove l’infiltrazione mafiosa e quella dai soffitti, che si aprono su squarci di cielo, sono tutt’uno”.
Siamo nel 2017 e non è cambiato proprio nulla da quando Fiumi scriveva quelle cose, come non è cambiato nulla da quando io ero bambino e abitavo proprio in uno di quei villaggi dove c’erano e ci sono le baracche. Abitavo proprio vicino ad esse, giocavo con i bambini che abitavano proprio lì, andavo a scuola con loro, spesso m’inoltravo in quelle fangose chiamiamole vie che s’inoltravano fra odori nauseabondi; qualche volta mi recavo in quei tuguri e venivo colpito dalla povertà assoluta. Questa esperienza ha segnato sicuramente la mia vita.
Mi sono chiesto più volte e le mie domande le vorrei porre, non certamente a Lei, Eccellenza, ma, in modo provocatorio, ad un ipotetico parroco, esistente o inesistente, di una parrocchia dove ci sono dei “ baraccati“:
“ Perché egli ha permesso, con il suo disinteresse e con il suo silenzio, dato anche il rapporto che sempre ha avuto con i politici di turno, che si perpetuasse nel tempo una situazione inumana e di terzo mondo?”.
”Adesso che siamo in pieno inverno, come fa questo ipotetico prete, esistente o non esistente, a dormire tranquillo nella sua casa comoda e calda mentre dei suoi parrocchiani, di cui molti bambini, rischiano, con il freddo che fa, la polmonite e la vita, stando in baracche coperte di cartone e amianto?”.
Sono sicuro, Eccellenza, che a queste domande questo prete o questi preti debbano rispondere non a me – non ne ho il diritto – ma a Lei, che adesso è il loro vescovo, cioè un padre che chiama a raccolta i figli per vedere che cosa va o non va nella famiglia diocesana.
Eccellenza, Lei sa bene: nella diocesi troverà molti preti che in silenzio, con grande zelo, in umiltà, senza chiedere o pretendere, svolgono la loro missione.
Essi hanno solo paura della malattia e della vecchiaia, perché sanno che, giunti ad un certo punto della loro vita, in mancanza di strutture idonee, come quella della casa del clero, sono destinati all’abbandono.
Ci sono, però, anche come del resto dappertutto, preti “venduti” al potere politico ed economico, disponibili a tutto pur di assicurarsi “benefici” e “favori” per sé e per i propri parenti. Fortunatamente sono pochi ma sono sulla bocca di tutti, eterno scandalo come quello della pedofilia clericale.
Questi, come dice Papa Francesco, sono quelli ”che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa, gli arrampicatori attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti e vescovi abbiamo visto così". "Dio ci salvi dalle tentazioni di una doppia vita, dove mi mostro come uno che serve e invece mi servo degli altri". "Ci si chiede di metterci al servizio, ma c’è chi ha raggiunto uno status e vive comodamente senza onestà, come i farisei nel Vangelo. Mi commuovono quei preti e quelle suore che per tutta la vita sono al servizio degli altri".
Ha molto da lavorare, Eccellenza, ma Dio – ne sono certo – non l’abbandonerà.