Cantate al Signore un canto nuovo

Dal Salmo 98

Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

di Ettore Sentimentale

Il brano proposto come salmo nella “messa del giorno” di Natale è un tipico canto della regalità di Jhwh e lo si può facilmente contestualizzare collegandolo al ritorno del popolo dalla cattività babilonese.
La maggior parte degli studiosi lo associa al salmo 96 (“Cantate al Signore un canto nuovo”) molto simile nel contenuto, mentre una piccola parte di esegeti lo mette in relazione con il salmo 47 (“Applaudite popoli tutti”). In questi salmi vi è un comune denominatore: la salvezza ad opera di Jhwh. Il nostro testo ne è la cassa di risonanza immediata, il salmo 96 la canta con accenti entusiastici, il salmo 47, invece, ne elenca le conseguenze. Sarebbe opportuno, quindi, dare uno sguardo anche agli altri due poemi.
Ritorniamo al nostro testo. È costruito come una sinfonia in cui tutti gli strumenti (cetre, arpa, salterio, trombe, corno…) simbolicamente vengono suonati dall’intero cosmo (genti, confini, terra, popoli). Il tema della partitura si snoda attorno alla “salvezza” del popolo ed è impreziosito da un ricco rimando di particolari simbolici: il canto nuovo, le meraviglie, la vittoria, la giustizia, il suo amore, la sua fedeltà… Sembrano un corollario di attributi divini di cui il salmista prende coscienza nella misura in cui scopre e gusta la liberazione prodigiosa operata dal Signore, “come un uccello liberato dal laccio dei cacciatori” (Sal 124,7).
E come avviene durante un’esecuzione sinfonica, arriva il momento di un vigoroso “crescendo” (musicalmente si direbbe “rossiniano”) allorché il salmista (come un direttore di orchestra) fa esplodere la composizione su tre imperativi: “acclamate, gridate, esultate”. Nel testo ebraico c’è un bellissimo gioco fonetico, che rimanda a tre squilli di tromba: “pitzchu, werannemu, wezammeru” (Tehillim – Salmi, Gribaudi 1999,194). L’accostamento con le parole della IV preghiera eucaristica è immediato e intrigante: “Fatti voce di ogni creatura, esultanti cantiamo”.
E proprio nel giorno di Natale il cristiano deve esplodere nella lode infinita e incontenibile perché “tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio”: quella definitiva che trova fondamento nell’iniziativa del “Verbo che si fece carne e dimorò fra noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria” (Gv 1,14).
Fra le tante interpretazioni neotestamentarie che rileggono il nostro salmo, spiccano sicuramente quelle del Libro dell’Apocalisse. Ne scelgo una che mi sembra appropriata al nostro discorso: «Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano: “Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente”».
È sconvolgente e bello che Dio entrando nel mondo assume la natura umana, ama con cuore di uomo e, così facendo, sceglie di essere incontrato negli uomini.