Diocesi di Messina: riuscirà a perdonare se stessa?

di ANDREA FILLORAMO

Fare riferimento ai “corsi e ricorsi” storici di vichiana memoria per creare delle analogie fra due periodi storici indica a dir poco mancanza di attenzione a quanto scrive Giambattista Vico nella sua “Scienza Nova”. Tuttavia il riferimento, se utilizzato come semplice chiave interpretativa storica o come criterio generale per individuare somiglianze fra le “res gestae”, può essere utile per analizzare periodi e fenomeni storici. Le analisi delle somiglianze dei casi è, infatti, importante al fine di evitare di cadere nella tentazione di seguire modelli che in realtà rappresentano dei vicoli ciechi nelle molte differenze. Questa premessa la ritengo necessaria, dato che intendo,“brevis verbis”, mettere in luce due – chiamiamoli così – “corsi” storici della vita della diocesi peloritana e cioè quello del periodo dell’episcopato di Mons. Letterio D’Arrigo (arcivescovo di Messina dal 1898 al 1922) e quello di Mons. Calogero La Piana (arcivescovo di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela dal 2006 al 2015). Si notano in essi delle analogie, consistenti nel fatto che inambedue i momenti si è creato un clima pesantissimo che ha pesato in modo determinante sul clerooperante nella diocesi che è divenuto perplesso, frastornato, diviso, frammentato. La causa di questo disorientamento dei preti è datadal comportamento dei loro vescovi che meriterebbe di essere più attentamente esaminato, al di là di queste poche righe.
Andiamo per ordine temporale. Dopo il terribile terremoto del 1908, l’arcivescovo D’Arrigo, rimasto illeso dal disastro, dopo i primi soccorsi, si diede all’opera dirinascita civile e religiosa nonostante gli ostacoli di chi, come la massoneria anticlericale, non voleva far risorgere la città con le sue chiese preesistenti al terremoto. Fu oggetto di grandi umiliazioni essendo descritto alla Santa Sede per motivi che sarebbe lungo solo accennare, ma in modo particolare per le lamentele dei suoi preti, come incapace di governare l’arcidiocesi, tant’è che gli fu consigliato di accettare un’altra diocesi. Papa Pio X addirittura, tolse all’arcivescovo la facoltà di scegliere lui stesso il suo vicario e nominò, quindi con nomina pontificia, vicario generale non un prete messinese, ma un prete che veniva da Tortona, cioè don Luigi Orione. Tuttavia per l’amore che D’Arrigo aveva per la sua città e per il desiderio di vederla risorgere dalle sue macerie, rimase, pur trovandosi con un clero disorientato, fino alla morte là dove era nato e dove aveva esercitato il ministero prima presbiterale e poi episcopale.
Come sappiamo D’Arrigo, è vissuto nel periodo del “Modernismo”, cioè di quel moto di rinnovamento interno del cattolicesimo promosso da alcuni esponenti della cultura cattolica, soprattutto sacerdoti, tra la fine del sec. 19° e gli inizi del sec. 20°, che intendeva «adattare» la religione cattolica a «tutte le conquiste dell’epoca moderna nel dominio della cultura e del progresso sociale», ma dichiarando anche il proposito di voler rimanere nella Chiesa per attuare una riforma in essa e non contro di essa.
L’arcivescovo D’Arrigo da conservatore non poteva capire le ragioni che spingevano verso il modernismo anche alcuni dei suoi preti e non si risparmiò, come del resto altri vescovi, nel perseguitarli. Fra i perseguitati da Mons. D’Arrigo è da menzionare particolarmente il sacerdote Silvio Cucinotta, uomo molto intelligente, ben noto non solo nella città, appartenente a quella intellighenzia clericale, che ha posto le basi a quello che sarà dopo il Concilio Vaticano II° e non solo. Egli dopo la scuola di teologia a Roma, ha insegnato lettere italiane al Seminario, ha diretto “Il Faro”, il settimanale organo ufficiale della Curia messinese, ha fondato due Circoli cattolici a Pace del Mela e a Santa Lucia del Mela e ha tenuto Conferenze per diffondere le idee della “Rerum novarum” di Leone XIII. Era in corrispondenza con Luigi Sturzo, il fondatore del partito popolare. Nel 1900, scrisse una Conferenza dal titolo “Che cosa noi vogliamo”, regolarmente pubblicata, che ha causato il sequestro del Faro. L’opera dell’instancabile sacerdote è proseguita decisa con la fondazione della Rivista letteraria quindicinale “L’agape”. Nel 1903, dopo una Conferenza a Nizza di Sicilia, Silvio Cucinotta venne aggredito a sputi in faccia. Nessun intervento dell’arcivescovo a sua tutela, anzi il sacerdote venne successivamente allontanato dalla Diocesi, sotto l’accusa di essere modernista. Da quel momento la sua vita è stata una continua peregrinazione per l’Italia. Lo troviamo prima a Piazza Armerina a fianco di Mario Sturzo e poi parroco al suo paese, che egli chiamava “terra d’esilio”. E, poi, in tanti altri luoghi…per poco tempo…fino alla morte, a Santa Lucia del Mela, in casa di un amico. Egli diceva di essere “vittima della più nera malvagità umana”, parlava di “triste sorte che grava sul suo capo”, di cui ha accettato cristianamente tutte le conseguenze, anche se non ne ha compreso totalmente la vera ragione.
Ciò che è capitato a don Cucinotta è capitato a molti che sono stati vittime della repressione che allora c’era nella Chiesa, rappresentata a Messina dall’arcivescovo Letterio D’Arrigo.
Fin qui le informazioni fornite relative al comportamento vessatorio di Mons. D’Arrigo che ha sicuramento il crisma della veridicità storica, confermata dai documenti storici, che chiunque può rintracciare. A Mons. D’Arrigo successe Mons. Angelo Pajno, che si dedicò completamente alla ricostruzione della città e della diocesi, tanto da essere chiamato il “muratore di Dio”, opera meritoria che è destinata ad essere ricordata. Diversa è la storia diMons. La Piana, di cui sappiamo ormai tutto o quasi tutto, anche dei suoi rapporti con i preti, talvolta molto tesi con alcuni, premiali con altri. La veridicità di quanto raccontiamo è garantita dai testimoni. La Piana non vive nel periodo del terremoto ma nel periodo del post concilio vaticano II, maritengo che sia stato un vescovo che si è tenuto sempre molto lontano dallo spirito conciliare, presente in un gruppo ben nutrito di preti nei cui confronti, ma anche nei confronti degli altri, egli ha avuto dei comportamenti dettati dal suo carattere apparentemente mite ma molto autoritario e dalla sua formazione e dalla mancanza di esperienza di vita pastorale, che lo portarono ad “abusi di potere”, che hanno arrecato dolore e sofferenza. Basterebbe ascoltare alcuni preti che hanno lamentato le angherie che dicono di aver subito, come per esempio: D.S: che sostiene di essere stato obbligato a lasciare una parrocchia importante sita nella costa tirrenica senza motivo e che per tal motivo ha avuto un infarto; – C.D: obbligato a lasciare immediatamente la parrocchia importante senza motivo. Il prete dice di essere stato minacciato dall’arcivescovo di intervento dei carabinieri nel caso in cui avesse tergiversato.
-S.S accusato ingiustamente di avere rapporti sentimentali con una ragazza. Ha dovuto lasciare la prestigiosa parrocchia per dare il posto al vicario generale inspiegabilmente dimissionario.
– F.M molto vicino e consigliere del medico messinese che ha lasciato una ricca eredità a La Piana. Immediatamente dopo la morte del medico, il prete è stato dichiarato inabile al ministero e privato di ogni sevizio alla diocesi. Attualmente egli è molto ammalato e sostiene che la malattia ha un solo nome: Calogero La Piana.
Si potrebbero aggiungere altri casi ma è preferibile fermarsi.
Conosciamo le difficoltà o incapacità di amministrare una diocesi difficile, ampia, ma che tuttavia meritava e merita di avere un pastore attento alla sue pecore e vicino ai preti che egli governa e non un vescovo, di cui si parlerà a lungo per alcuni fatti certamente ritenuti non esemplari.
Tutti ormai conoscono, infatti, il “fattaccio” relativo alla eredità milionaria e infine il buco finanziario-amministrativo che il suo successore è chiamato a coprire.
Costretto per questi fatti e altri a dimettersi, e non ad accettare un’altra diocesi, come è stato per mons. D’Arrigo, egli ha abbandonato improvvisamente e in pianto il campo, utilizzando la formula ben nota e di prassi di “dimissioni per motivi di salute”.
Lasciò, quindi, la città e la diocesi colpite ancora da un terremoto terribile come quello del 1908, causato dalla sua gestione dell’arcidiocesi e dal suo non spiegato abbandono del seggio episcopale, al quale è seguito un lungo periodo di “sede vacante”.
Dopo le dimissioni di La Piana e dell’alternarsi di due Amministratori Apostolici, è stato nominato, come sappiamo, un nuovo arcivescovo nella persona di Mons. Giovanni Accolla, al quale auguriamo che come Mons. Angelo Pajno, dopo il terremoto del 1908, è stato il costruttore materiale della città e della diocesi, egli sia, dopo la bufera La Piana, il costruttore spirituale. Auguriamo, altresì, che per il bene della diocesi egli sappia scegliere i suoi collaboratori, a iniziare dal Vicario Generale.
Nella diocesi ci sono tanti preti onesti, disponibili, di esperienza pastorale, fino ad ora dimenticati, che facilmente possono sostituire coloro ai quali non è lecito garantire un potere se non è stato un servizio e un servizio efficiente. L’efficienza non è data dall’essere stati vicini o amici del vescovo che li ha scelti. Mi permetto di dire che per loro, inoltre, come per nessun prete, può essere valido il principio del “promoveatur ut amoveatur ” ma quello dell’ “amoveatur”, accompagnato da un “grazie” soltanto formale… e basta: il carrierismo, come vuole Papa Francesco, non ci deve essere più nella Chiesa. Per questo è necessario “sradicare” la vecchia “leadership” per sostituirla con una totalmente nuova.
Egli sa bene che la riuscita della “ricostruzione” pastorale della diocesi passa dalla scelta oculata di chi gli darà una “mano” nel lavoro non facile di una arcidiocesi difficile.