Padre Ettore Sentimentale: La diocesi continua a essere “ferita”

Un anno dopo le dimissioni di mons. Calogero La Piana, incontro p. Ettore Sentimentale, al quale avevo ripetutamente chiesto una intervista per fare il punto della situazione della diocesi peloritana. È un’occasione per riprendere con libertà e lucidità alcuni punti problematici.

Allora, p. Ettore. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando nella nostra diocesi?
La domanda è troppo vasta. Sarebbe opportuno specificarla meglio.
Hai ragione. In effetti il mio chiedere nasconde un fatto doloroso di cui ti ho parlato un anno addietro, quando un amico laico mi telefonò (era il 17 ottobre) dicendomi allarmato: “Sai cosa ha combinato il tuo parroco in seminario? Ha fatto un intervento da folle”. Allora cominciamo da qui. Cosa è cambiato nel rapporto fra voi preti?
Mi ricordo della tua telefonata allarmata che non riuscivo nemmeno a comprendere in tutta la sua portata. La cosa che più mi sorprese è stata che un laico avesse potuto dire – imbeccato in modo deforme da qualche suo “amico” prete – queste cose. Il motivo è semplice. Dopo la preghiera, chi animava l’incontro del 15 ottobre 2015, disse testualmente: “Prego i laici a lasciare l’aula, perché i preti e i diaconi devono sentirsi liberi di intervenire e le cose dette devono restare fra noi”. Doveva essere una sorta di “conclave” (dopo “l’extra omnes”),ma non è stato così. Il succo del mio interventodi allora è questo: chiesi ai miei confratelli dov’erano – visto che tanti rimanevano ancora turbati dalle improvvise dimissioni del vescovo emerito – quando puntualmente io pubblicavo le mie riflessioni sulla “strana evoluzione” della diocesi. Il mio direvoleva essere un invito a gettare definitivamente la maschera e a guardare in faccia la realtà. Detto questo, penso che 13 mesi di “inter-regno” a mio avviso non sono stati sufficienti a distendere del tutto le tensioni presenti nella chiesa locale (soprattutto fra i preti). E questo non è dipeso unicamente dai responsabili destinati a governare la diocesi. Dispiace dirlo, ma temo che la “polvere non sia stata spazzata del tutto, ma buona parte depositata sotto i vari tappeti”. I preti fanno (facciamo) parte della categoria degli uomini e dovrebbero (dovremmo) poter interagire come tali e non come fantocci.
Il tuo discorso è troppo criptico. Ti chiedo di spiegarti meglio in modoche capisca meglio io e aiuti gli altri a capire.
Ti rispondo in modo concreto, almeno lo spero. A mio giudizio non si è avuto fin qui il tempo e l’opportunità di capire le reali situazioni del clero, non vi è stato alcun “discernimento” in tale direzione. È vero che l’ultimo amministratore, da quello che mi risulta, ha incontrato quasi tutti i componenti del presbiterio ma – non conoscendone il “vissuto” e non “intuendo” né il punto di partenza né quello di arrivo – non ha avuto tutti gli elementi necessari per una serena visione dei fatti e delle persone.Fra molti preti e fra preti e laici permangono quindi situazioni conflittuali. La diocesi continua a essere “ferita” e percossa da una certa disaffezione verso l’unità. E ciascuno deve assumersi la propria responsabilità di questa situazione scabrosa. Qualcuno parla di “anarchia clericale”.
Stai dicendo, quindi, che si è passati dalla padella alla brace?
In alcuni aspetti mi pare ovvio, in altri ho dei dubbi, per altri ancora si è tentato di fare un salto di qualità…ma i risultati sono ancora trascurabili. Ci si è lamentati della mancanza di collegialità (qualcuno direbbe di “sinodalità”), nell’esercizio presbiterale del sacerdozio ministeriale (basterebbe consultare i verbali degli ultimi due consigli presbiterali)…Eppure la collegialità è sospesa, almeno in ampi tratti della pastorale. È vero che tanti organismi sono decaduti con le dimissioni del vescovo emerito, ma è pure vero che altre “strutture” continuano a operare. Ti faccio un esempio. Il “collegio dei vicari foranei” e quello dei “consultori” e varie “commissioni” si sono riuniti per portare avanti le cose necessarie, di carattere economico-pastorale. Penso che parecchi membri di tali strutture siano stati interpellati anche negli avvicendamenti degli “amministratori parrocchiali” (da non confondere con i “parroci” che a differenza dei primi godono della “stabilità”, mentre l’ufficio degli amministratori è “temporaneo”). E mi fa piacere. Quello che mi riesce difficile capire è il criterio usato per tali “trasferimenti”, cioè in ultima analisi il discernimento messo in atto perché questa operazione si potesse configurare come ricerca della volontà di Dio.
Sono alquanto smarrito davanti a questo linguaggio prettamente “ecclesiale”…
Scusa. Hai ragione. Abbi solo un attimo di pazienza e spero di aiutarti a capire. Tutto ruota attorno a una domanda inesorabile: ci si è chiesti se per queste persone essere trasferite da una parte all’altra fosse un fatto “indifferente” o meno? Non so come abbiano reagito o reagiranno le varie comunità, al di là delle pantomime legate all’accoglienza ufficiale. Ragion per cui, oso pensare, che parecchi degli avvicendati siano stati baciati dal sistema simpatico di qualche cortigiano del cerchio magico. In compenso, per verità, devo aggiungere che l’amministratore attuale ha tentato di spezzare questo circolo vizioso costituito da caporali di giornata che pretendevano, accattivandosi le simpatie di qualche confratello, di esercitare il ministero guide, a mio giudizio “cieche”. Ho anche l’impressione che i detriti di tale frantumazione abbiano contaminato parecchi ambiti pastorali. È fin troppo evidente che vi siano delle sfaldature, degli strappi, nel tessuto del popolo di Dio che è in Messina- Lipari – S. Lucia del Mela. A conferma di ciò, ti comunico ciò che mi è stato riferito da un laico e poi confermato da alcuni confratelli. Si tratta di un clamoroso ripensamento a proposito di un avvicendamento pastorale, dopo averne dato l’annuncio. Così il prete trasferito è tornato al luogo di partenza (o meglio, non è mai partito).
Com’è finita la faccenda legata alla “casa del clero”?
È semplicemente finita, almeno per il momento.Tu sai che tra i firmatari c’ero (e ci sono) anch’io. Ebbene, ci siamo incontrati anche con mons. Papa e gli abbiamo presentato l’intera vicenda documentando le nostre idee. Lui ci ha benevolmente accolti e ascoltati …ma fino ad oggi nessuna risposta che offra una minima chance per riprendere il discorso. Tutto è caduto nell’oblio. Al di là di qualche incitamento e benedizione per i nostri intenti, tutto è rimasto come prima. Eppure abbiamo interpellato perfino i responsabili di alcuni uffici della S. Sede. E qui mi assale il dubbio: perché si scrive solennemente che bisogna preoccuparsi della integrità psicofisica dei preti, se poi la si rinnega nelle scelte operative? A mio parere, lo spinoso capitolo della “casa del clero” rientra in quello più grande, cioè della gestione dei beni e delle risorse della diocesi. È stato ufficialmente acclarato il “buco finanziario” dovuto a difficoltà economiche del momento, ma – se ricordo bene gli interventi di alcuni presbiteri all’interno dell’omonimo consiglio – pure a scelte pastorali discutibili, delle quali si erano intravisti gli eventuali rischi.
Vuoi dire che la diocesi ha un “buco finanziario” provocato da una cattiva gestione amministrativa?
Che ci sia un “buco” è innegabile, che dipenda da una cattiva gestione amministrativa, questo non lo so. La diocesi, già con mons. Raspanti, ha messo in atto una poderosa manovra di rientro, tagliando tanti rami secchi, ma ha pure chiesto aiuto alle parrocchie che avevano contratto un mutuo (con l’aiuto del gettito dell’8 per mille) per lavori di costruzione o manutenzione di chiese e locali. In questi ultimi anni, sulla rata che spettava alla curia, è stato decurtato (a più riprese) ben oltreil 30%!
La tua analisi potrebbe risultare alquanto spietata. In tanti potrebbero pensare che sei disfattista e magari diranno che sei spinto da qualche rancore o da qualche promozione mancata.
Premetto che sto parlando a distanza di 12 mesi dall’ultimo intervento in pubblico. Dopo un lungo periodo di silenzio è normale che arrivi il momento della parola. “Un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa” dice S. Gregorio Magno nella “Regola pastorale”. A ciò aggiungo che ognuno può pensare come vuole (purché tenga conto dei fatti) e non saranno certo le mie parole a far cambiare idea. Tuttavia cerco di rispondere direttamente alla tua domanda, iniziando dalla fine. Non ho rancore nei confronti di alcuno. Non potrei celebrare! Fin qui almeno ci arrivo. Non ho mai chiesto alcuna promozione, né sono in attesa “di avanzamento di carriera”. Circa sei anni addietro mi sono dimesso da tutti gli incarichi, salvo che da quello di parroco. Ho fatto presente, proprio l’anno scorso, che aspettavo segni concreti di cambiamento. Diversamente avrei fatto altre scelte, non dettate da sindrome di santità o superiorità, quantodal desiderio di condividere un’esperienza di grazia per scoprire sempre meglio l’insondabile misericordia che Dio riserva agli uomini.Per quanto riguarderebbe l’essere spietato o disfattista nelle mie analisi, mi pare che le mie previsionisi siano rivelate (purtroppo) sempre vere… più azzeccate di quelle meteorologiche!E tutte sono apparse, in tempi non sospetti e con largo anticipo,sul foglio elettronico da te diretto. Non ho la capacità di leggere nella sfera di cristallo (come fanno i maghi), ma mi lascio interpellare dai segni dei tempi, che in ultima analisi sono i segni di Dio. Anche quando obbligano a riflettere sulle deviazioni dal Suo progetto, intraprese dagli uomini.
Che ruolo hanno i laici nella nostra diocesi?
Questo dovresti chiederlo a loro, o almeno alla Consulta delle Associazioni laicali che terrà un incontro programmatico fra qualche settimana. Tuttavia, secondo la “mens” del Concilio Vat. II, in forza del battesimo hanno la loro dignità e responsabilità (non per gentile concessione da parte dei pastori), basilari per la vita e la missione della Chiesa. Se poi tu volessi leggere qualcosa di più “fresco” sul ruolo dei laici, ti suggerisco il testo del PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI, Incontrare Dio nel cuore della città, LEV, 2016. Mi sembra, però, che al di là dei buoni propositi, molti laici vengano “trattati” da parte del clero come “ruote di scorta…”E come ben sai, oggi moltissime vetture vengono immesse sul mercato senza esserne fornite. Alcune hanno il “ruotino” (che obbliga a non superare una certa velocità e a non percorrere molta strada). La metafora potrebbe risultare “offensiva” al mondo laicale, ma temo che sia verosimile. Colgo l’occasione per esplicitare questo passaggio. So con certezza che qualche laico aspetta, da parecchie settimane, di potere incontrare chi ha responsabilità pastorale ad alti livelli… Qualche altro ancora mi ha chiamato al telefono, dopo gli ultimi avvicendamenti, per chiedermi: “Come si ragiona nella diocesi?”. A quest’ultimo ho risposto lapidariamente secondo il dettato proverbiale: “Dumannari a ‘mmia poviru afflittu è comu diri «bonasira» o ‘n mortu”.
Come ci si prepara all’arrivo del nuovo vescovo, che sembra imminente?
Innanzitutto con la preghiera, perché chi arriva sia un uomo di Dio e risponda alle caratteristiche che ho precedentemente enucleato e che tu hai ripreso – sminuzzandole – nel sondaggio, presente nella home page del tuo foglio elettronico. Ora aggiungo che bisogna osare, attraverso una buona dose di coraggio – partendo dalla propria sensibilità (clericale e laicale) – di lasciarsi costruire dallo Spirito per essere testimoni di misericordia. Questo è ciòche vale e che resta della vita!Per il resto, personalmente, vivo nella “santa indifferenza” perché so che in un modo o nell’altro il Padre non abbandona i suoi figli che gridano a lui, giorno e notte. Penso non sia bene farsi prendere dall’ansia dell’incombente nomina, per evitare la solita girandola di nomi che poi evapora come nebbia al sole… Avrei, infine, una richiesta da farti. È possibile riprendere il testo di questa intervista e metterlo sul blog dellacasadelclero?
Sì, senza alcun problema.
Grazie. Sono contento che questa chiacchierata la stiamo concludendo nello stesso giorno in cui la Chiesa ricorda il “papa buono”, S. Giovanni XXIII, perché ha avuto il coraggio – lasciandosi plasmare dallo Spirito del Risorto – di aprire il Concilio Vat. II, un’esperienza dalla quale non si può tornare indietro. Una volta mons. Francesco Sgalambro, di venerata memoria, ebbe a dire: “Se dipendesse da me, farei giurare i futuri preti almeno sui testi delle quattro costituzioni conciliari”. Aggiungo solamente: “Non è mai troppo tardi”.