La Fabbrica dei Preti

di ANDREA FILLORAMO

Nel gennaio del 2015, in un teatro di Corso Buenos Aires di Milano, ho assistito con legittima curiosità a “La Fabbrica dei Preti”, un lavoro interessantissimo di indagine e scrittura di Giuliana Musso, attrice, ricercatrice, autrice, premio della Critica 2005, una tra le maggiori esponenti del teatro di narrazione e d’indagine: un teatro che si colloca al confine con il giornalismo d’inchiesta, tra l’indagine e la poesia, la denuncia e la comicità. In tale lavoro coesistono e si intrecciano tre racconti:un reportage della vita nei seminari declamato dal “pulpito” che si ispira al racconto di Don Antonio Bellina un prete di Udine, che narra in forma polemica gli anni trascorsi nel seminario locale; la proiezione di tre album fotografici e la testimonianza di tre personaggi: un ex-prete, un prete anticlericale ed un prete poeta/operaio. Il lavoro è precedutodal prologo che rammenta cosa è stato il Concilio Vaticano II (1962-1965). Sul palco una serie di schermi di proiezione degli anni ’60 e alcuni abiti appesi: una talare, un vestito da sposo, un clergyman, una tuta da operaio.I tre personaggi sono uomini di una certa etàche raccontano con molta sincerità i tredici anni passati in seminario, dagli undici ai 24, le assurde regole imposte da un assurdo regolamento, i tabù presenti nella loro formazione, le gerarchie ivi esistenti,l’ubbidienza ad ogni costo,lo scontro col il mondo e con le donne e infine le frustrazioni continue alle quali i seminaristi venivano assoggettati. Sullo sfondo dei racconti fatti da questi preti c’è la cultura cattolica, dalla quale è scaturito e scaturisce ancora il senso morale di chi ha avuto un’educazione clericale, che, in Italia, prete o non prete, ha inciso su tutti, le contraddizioni, le assurde rigidità degli atteggiamenti, le ipocrisie, le paure, le fragilità, di chi – e sono tanti – da quella cultura non riescono a tenersi fuori. Si tratta, quindi di una denuncia, tutto sommato poetica,della vita che un tempo e in parte oggi si svolge ancora nei seminari, che molti vorrebbero dimenticare ma non possono, che altri giustificano sostenendo la tesi che “quei tempi sono passati”, che altri ancora rigettano ma non riescono a sostituirla con una cultura, quindi con una moralità kantiana che per sua stessa definizione è autonoma e impone, quindi, i suoi imperativi categorici.Si tratta, quindi,della ferocia dell’educazione “cattolica”, dell’ossessione per il corpo, della sessualità e delle donne, dell’allenamento alle punizioni corporali, dell’abbandono del mondo esterno, dei continui divieti delle letture e delle amicizie, della censura della corrispondenza, dell’impossibilità di manifestare qualunque forma di dissenso, pena l’”essere buttati fuori”, cioè l’essere mandati al macello, in quanto non si aveva un titolo di studio valevole anche all’esterno, dei casi di pedofilia ben nascosti e segretati. La Musso ha una convinzione che è condivisa da tanti e dice: “la Chiesa cattolica ha creato una rete di potere e di controllo integralista e oscurantista. E il cui nemico principale sono state le donne e il sesso, o il corpo in senso lato. Il Concilio Vaticano II ha cambiato molto, molto di più il mondo è cambiato nel il suo corso: la Chiesa prova ora a colmare il ritardo”, ma non riesce. Il lavoro della Musso è frutto di un’attenta ricerca collettiva anche di foto, testi e musiche e tiene sempre presente “La fabriche dai predis”, un libro in friulano, di Don Antonio Bellina che, alla fine di una vita di obbedienza, ha deciso di vuotare il sacco e raccontare l’ultimo segreto del suo mondo, il più intimo, quello del seminario che per quattro secoli – dal concilio di Trento in poi – ha formato generazioni di preti. Quattrocento pagine scritte tutte d’un fiato, come una liberazione. Figurarsi il putiferio in curia. Il testo fu immediatamente tolto di circolazione, bollato dai vescovi e dal Vaticano, tenuto nascosto per dieci anni con divieto assoluto di traduzione in italiano e altre lingue.Poiché non sembrava abbastanza, al prete è stata chiesta una lettera di scuse, quasi un’abiura. Ma il Friuli è terra ostinata, e ostinati sono i suoi preti. Così Don Bellina – nato nel 1941 e nel frattempo passato a miglior vita nell’anno del Signore 2007 – ha deciso di essere ancora scomodo, e di consumare da morto la rappresaglia per la censura subita. Non si sa come, ma da qualche tempo il libro galeotto è scappato di mano e ha preso a circolare con evidente imbarazzo della Chiesa di Roma. Ed è don Antonio Bellina, che ha datoalla Musso l’imput quando ha scritto:“Entriamo assieme nella grande fabbrica silenziosa. Prima, però togliamo il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e rovinata in tutti questi anni e secoli. E, facendo uno sforzo, spendiamo un requie anche per le maestranze. Forse anche loro vittime di un sistema che uccideva l’uomo illudendosi di onorare quel Dio che l’aveva creato a sua immagine e somiglianza”. A commento scrive, poi, la Musso: “I seminari degli anni ’50, ’60 e ‘70 hanno formato una generazione di preti che sono stati ordinati negli anni in cui si chiudeva il Concilio Vaticano II e si apriva l’era delle speranze post-conciliari. Una generazione che fa il bilancio di una vita. Una vita da preti che ha attraversato la storia contemporanea e sta assistendo al crollo dello stesso mondo che li ha generati.La dimensione umana dei sacerdoti è un piccolo tabù della nostra società sul quale vale la pena di alzare il velo, non per alimentare morbose curiosità ma per rimettere l’essere umano e i suoi bisogni al centro o, meglio, al di sopra di ogni norma e ogni dottrina. I seminari di qualche decennio fa hanno operato per dissociare il mondo affettivo dei piccoli futuri preti dalla loro dimensione spirituale e devozionale. Molti di quei piccoli preti hanno trascorso la vita cercando coraggiosamente uno spazio in cui ciò che era stato separato e represso durante la loro formazione si potesse riunire e liberare. A questi preti innamorati della vita ci piacerebbe dare voce e ritrovare insieme a loro la nostra stessa battaglia per tenere insieme i pezzi”. La chiave che molti preti, molti ex seminaristi e laici stanno cercando o hanno perso, per cambiare se stessi e chi li circonda, per rivelare la loro vera essenza, per seguire la loro natura, utilizzare l’intelligenza e liberarsi dai tabù di una formazione nociva a loro stessi e agli altri, è in loro possesso. Si tratterà di una rivoluzione: ne beneficeranno sicuramente quanti saranno a loro vicini nell’espletamento del loro ministero.