Sono venuto a gettare fuoco sulla terra

Lc 12,49-53

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera.

di Ettore Sentimentale

Conciso, ma non di facile comprensione il testo di questa settimana. Anzi alquanto rude nella forma e provocatorio nella sostanza. Strettamente collegata a quella della settimana scorsa, la brevissima pericope in oggetto presenta tuttavia tre elementi di origine differenteeppur strettamente collegati della predicazione di Gesù: la parola sul fuoco, quella sul battesimo che Lui deve ricevere e infine la puntualizzazione sulla divisione che la sua presenza provoca perfino nelle famiglie.
Mi soffermo succintamente ad analizzare questo particolare “trittico”.
Quale fuoco Gesù è venuto a “gettare” sulla terra? Non certo quello che incendia e manda in fumo il patrimonio boschivo durante la canicola estiva…Penso che il fuoco di Gesù sia alimentato da un senso escatologico, collegato al “giudizio” di Dio così come è presentato nel Primo Testamento dai profeti (particolarmente Ezechiele, Isaia e Malachia). Per dare un assaggio di questa dimensione trascrivo il brano di Isaia 66, 15: “Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, / i suoi carri sono come un turbine, / per riversare con ardore l’ira, / la sua minaccia con fiamme di fuoco”. Per Luca (autore anche del libro degli Atti degli Apostoli), invece, il “fuoco” è la manifestazione dello Spirito sceso sotto questa forma sui discepoli il giorno di Pentecoste (At 2, 3-4.19). Mi piace collegare a tale ipotesi le parole di un canto di Taizé: “In questa oscurità, il fuoco che accendi non si spegne mai, non si spegne mai…”.
Il secondo riquadro del trittico è dato dal “battesimo che Gesù deve ricevere”. Alcuni pensano che si tratti di un’abluzione purificatrice, immagine della sua morte, sulla stessa lunghezza d’onda di quanto lui domanda ai fratelli Giacomo e Giovanni che gli partecipano il desiderio di sedere uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra nel suo Regno a condizione – secondo Gesù – che siano “battezzati dello stesso con cui Lui è battezzato” (Mc 10,38). Il “battesimo” (cioè l’immersione in Lui) suggerisce anche una forma di giudizio attraverso l’acqua e addirittura attraverso il fuoco, così come dirà lo stesso evangelista quando ricorderà il diluvio al tempo di Noè e la distruzione di Sodoma al tempo di Lot (Lc 17,26-29). In poche parole: se la vita di Gesù è stata racchiusa tra due “battesimi”, il primo nelle acque del Giordano perché si “compisse ogni giustizia” (Mt 3,15) e il secondo sulla croce attraverso cui il Cristo si riconsegna al Padre (Lc 23,46), vorrà dire che la vita dei cristiani non può non essere una “full immersion” nell’amore di Dio.
L’ultimo tratto del quadro riguarda la divisione nella famiglia e la pace portata da Gesù. A primo acchito sembrano due realtà paurosamente contraddittorie. Vediamole più da vicino, cominciando dalla “pace”. Nel vangelo dell’Infanzia secondo Luca, la pace legata alla manifestazione di Gesù è proclamata dagli angeli la notte di Natale, ma non sarebbe stata la pace secondo la logica del mondo, che veniva aspramente criticata dai profeti. A tal fine in Geremia c’è una denuncia nei confronti dei capi d’Israele che mi sembra molto appropriata in questo momento storico: “Curano alla leggera la ferita del mio popolo, / dicendo: «Pace, pace!», ma pace non c’è”. Oggi si assiste quasi del tutto rassegnati a questa situazione…la pace affiora sulla bocca di tanti ma è presente nel cuore di pochi!
Per quanto riguarda la “divisone familiare”, anche qui bisogna far riferimento al Primo Testamento ove il profeta Michea (7,6) denuncia senza mezzi termini la consuetudine con cui volano gli insulti fra le mura domestiche e poi, in modo avversativo, conclude: “Ma io volgo lo sguardo al Signore…” (7,7). Per meglio comprendere questa metafora alquanto “irritante”, faccio riferimento a una famiglia africana da me conosciuta circa 30 anni addietro nella quale i componenti professavano religioni diverse. Ricordo che il capofamiglia, unico cristiano di quel nucleo, pur essendo maltrattato dai suoi congiunti viveva pienamente i suoi doveri familiari e poneva sempre la sua speranza nel Dio della salvezza. Era una sorta di “non violenza” ante litteram, eppure testimoniava diretta la tensione escatologica con la quale preparava ogni giorno il suo incontro definitivo con Gesù, vivendo da “segno di contraddizione” permanente, infiammatodalla sublimità dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza (cfr. Ef 3,18-19).