RECENSIONE A “OBLIO E RICORDI“

di ANDREA FILLORAMO

Prego i lettori di IMGPress di prendere nota e di non dimenticare il presente invito alla presentazione del mio libro: “Oblio e Ricordi” Casa editrice Booksprint, che avverrà a Messina presso la Feltrinelli Via Ghibellina 32, giorno 9 maggio alle ore 17,30.

Oblio e Ricordi è un libro tratto dalla memoria intervenuta dopo un lungo oblio, del protagonistae contiene pagine di intense riflessioni su alcuni aspetti della vita, nate dalla sua esperienza ora di bambino, povero ma allegro e spensierato, che ha vissuto, nel dopoguerra, a Messina (precisamente al Villaggio Annunziata, in cui ritorna spesso con i suoi sogni che lo riportano nelle sue “vineddi” e nella sua “ciumara”), città che ancora ama e nello stesso tempo odia per l’abbandono al qualel’irresponsabile incuria dei politici ma anche dei cittadini l’ha destinata; ora di seminarista che dagli undici ai ventiquattro anni, privato dalla famiglia e dagli affetti più naturali, ha subìto le “aporie” di una formazione assurda, paradossale, sessuofobica, che scarta l’uomo per mettere al centro il prete e di una “cultura teologico-clericale”, che purtroppo è ancora alimentata da molti preti, che allora era impartita da pseudo educatori che ignoravano i principi basilari della psicologia umana e della pedagogia; ora di prete, che per dieci anni è stato intensamente impegnato nel ministero ma spesso impedito di ispirarsi al Concilio Vaticano Secondo; infine, di uomo che, dopo una crisi che “gli ha strappato le viscere” ha abbandonato silenziosamente il ministero, si è sposato, è diventato genitore, professore di Liceo, Dirigente Scolastico e adesso è nonno.
Il resto sul libro nella recensione di Antoine Gautier, professore emerito francese di Letteratura Italiana e mio amico da tempo, che viene qui riportata.

RECENSIONE A “OBLIO E RICORDI “ (Antoine Gautier)
Ho conosciuto Andrea Filloramo nel 1985 ad Ariccia (Roma), dove si teneva il Sinodo internazionale dei preti sposati e mi sono accostato a lui, proprio allora, dopo un suo intervento spontaneo abbastanza duro nei confronti di quanti cercavano in tutti i modi di orientare la discussione sinodale alla sola abolizione del celibato ecclesiastico e non ad un rinnovamento totale della Chiesa. Mi ha colpito, in quella occasione, la sua capacità di validare facilmente ogni suo pensiero, ogni sua considerazione con i testi conciliari, che conosceva in modo approfondito. Finito il Sinodo, ciascuno di noi, è tornato alle proprie famiglie, io a Bordeaux, lui a Milano. Per alcuni anni non ci siamo più visti, anche se non sono mancati i contatti epistolari, con i quali seguivamo il progredire delle nostre carriere: io di professore di Letteratura italiana in Francia, lui di dirigente Scolastico di licei in Italia. Frequente è stato per tanto tempo lo scambio della nostra produzione. Di Andrea Filloramo mi ha colpito particolarmente il libro degli anni 90: “da Socrate a Cristo”, che io ho cercato di tradurre in francese ma, purtroppo, per gli impegni familiari e professionali, non sono riuscito a portare a termine la traduzione. Da alcuni anni i nostri incontri a Milano sono diventati più frequenti, segno di un’amicizia che si è fatta sempre più forte. Sono ben lieto adesso per dir la mia sul suo nuovo libro: “Oblio e Ricordi”. Già tre anni fa avevo ricevuto la prima bozza di questo libro, accompagnata da alcune perplessità dell’autore circa il genere letterario da utilizzare. Egli, infatti, si chiedeva se il libro avrebbe dovutoessere una biografia, un romanzo, un libro di storiadella Chiesa dato il contesto del racconto, oppure un libro di formazione o qualcosa d’ altro. Volendo rispettare la sua libertà di composizione, discutevo con lui senza aiutarlo,però, ad uscire dall’incertezza, che ovviamente rallentava il lavoro.Finalmente una semplice considerazione, maturata assieme è diventata il “cavallo di Troia”, che ha aperto le porte della definitiva scrittura del libro. “Nella scrittura – dicevamo – non occorre porsi sempre e dovunque, il problema della scelta dei generi letterari che sono del resto meramente convenzionali. Il genere letterario è di per sé un concetto mobile, assai facilmente suscettibile a cambiamenti, mescolanze, reinterpretazioni, nessuna classificazione dei moltissimi generi letterari può essere rigorosa o assoluta. Lo scrittore, quindi, non deve porsi limiti, nello scrivere può passare da un genere all’altro. L’unico suo obiettivo è quello di farsi capire”.Da quel momento Andrea, perciò, ha scritto e ha portato a compimento un libromolto interessante per il suo contenuto, mai trattato così a lungo da altri, bello per la sua forma. Esso , come leggiamo nel suo proemio: “è sicuramente fuori dagli schemi e si pone, a metà strada fra una biografia, un romanzo psicologico – intimistico e si arricchisce di metafore ma anche, particolarmente nella seconda parte, di pagine di storia personale e collettiva, di costume e, ancora, di attente riflessioni su diversi aspetti della vita”.Nel proemio ancora leggiamo: “Lo scritto può anche essere considerato particolarmente un “romanzo di formazione”, perché l’attenzione è rivolta all’evoluzione del protagonista verso la sua maturità, che, in un’accezione ampia, si ritrova soltanto quando egli riesce a recuperare il suo “vissuto” di tanti anni fa e la sua origine storica. Esso, infine, è un monologo interiore…………che, impadronendosi di una storia, si serve, nel raccontare, della prima persona singolare. L’utilizzo di questa tecnica di scrittura rispecchia un maggior grado di consapevolezza, presenta una più precisa formulazione e articolazione del discorso e lo rende molto simile a un diario. Diario svelato e “raccontato”, del resto, a un certo punto, il libro diventa. Esso, cioè, attraverso il racconto che scandisce la vita, le persone, i luoghi, gli eventi e le emozioni, raccoglie momenti visti, vissuti e archiviati. ”Ho dato da leggere il file del libro ad un mio ex allievo che l’ha paragonato ad una musica, alla quale bisogna prestare l’orecchio più volte per gustarla. E’ proprio così, Andrea ha scritto un libro che è come una sinfonia, i cui movimenti sono ora lenti, ora moderati, ora rapidi.Essa costituisce, il lavorodi ricostruzione dell’interasuavitafatto a poco a poco in un continuo divenire di stile e di momenti, che si configura come l’essenza stessa dell’opera. Dalla sua lettura si ricava l’impressione di un continuo passaggio dall’indeterminatezza e dall’imperfezione alla perfezione, dal dubbio alla certezza ed alla perentoria affermazione della verità, quella personale e quella storica… Tale sensazione è accentuata dal carattere unitario del libro che emerge ancor di più nelle svariate e molteplici forme assunte, nel corso dell’opera, dalla semplicissima idea iniziale di tre anni fa.Sullo sfondo del libro c’è sempre una vocazione, mai abbandonata, ma vissuta diversamente, dato che la Chiesa imponeva e impone ancora un protocollo e un’educazione che allontanava e nulla faceva per accostare al vangelo di cui si professava”mater et magistra”.Leggendo il libro qualcuno può pensare che molti sono gli strali contro la cultura cattolica, almeno quella che si respira nei seminari, nelle curie e fra il clero, che determina anche alcuni fenomeni come quello della pedofilia dei preti. Ma sappiamo che il cristianesimo, non è una cultura: la cultura è sempre un fatto storico, un fatto umano, frutto dell’intelligenza e della capacità trasformatrice dell’uomo ma anche delle sue debolezze. Il cristianesimo ha anche un aspetto storico, che occorre tener presente. Quindi esso non può esaurirsi in una cultura o in una civiltà, né una cultura o una civiltà possono pretendere di esprimere m maniera definitiva tutta la infinita ricchezza del cristianesimo. Nel libro si ripete ancora il “j’accuse” di molti scrittori cattolici non integralisti che più dei laici e talvolta più dei nemici della Chiesa, puntano il dito contro una chiesa lenta a muoversi verso la modernità e rimane quindi abbarbicata al passato. L’autore ritiene che questa operazione sia urgente e, per questo egli ha il coraggio per andare oltre i luoghi comuni e le pigrizie del conformismo di chi si accontenta di gestire l’esistente, anche quando assume le vesti vellutate del clericalismo privo di vero ardore.

Antoine Gautier