Dio cammina a piedi

di Ettore Sentimentale

Da circa due mesi abbiamo iniziato l’Anno della Misericordia, voluto da papa Francesco perché gli uomini possano scoprire l’altezza, la profondità e la vastità dell’amore di Dio che li obbliga a farsi dono della misericordia con cui vengono “trattati” dal Signore.

Ho pensato quindi a un percorso di riflessioni che avendo come comune denominatore la Parola di Dio possano aiutarci a vivere l’amore misericordioso del Padre.

In questa prospettiva, il testo che contiene l’insegnamento più puro di Gesù sulla bontà di Dio è certamente la parabola del padre misericordioso, generalmente conosciuta come parabola del figlio prodigo (Lc 15, 11-32). Questo “discorso enigmatico” ha come destinatari gli scribi e i farisei che mormoravano contro Gesù: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro” (Lc 15,2). La parola quindi è rivolta a coloro che rimproverano Gesù di frequentare gente infrequentabile. A coloro che avevano preso le distanze dai peccatori, Gesù dice: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: «Padre, dammi la parte del patrimonio che mi tocca». E il padre divise fra loro i suoi beni” (Lc 15,12).

Bisogna subito notare che il padre non fa nulla per far ragionare suo figlio. Non gli fa alcuna lezione, né alcuna predica. Non lo minaccia nemmeno, dicendogli (come spesso avviene): “Se te ne vai da questa casa, qui non metterai più piede!”. Non gli rimprovera nemmeno la sua insubordinazione, anzi rispetta profondamente la libertà del figlio.

Il tempo di raccogliere le cose e il giovane “partì per un paese lontano e lì dissipò i suoi beni vivendo in modo disdicevole”. Ma nel volgere di pochi giorni si ritrovò nella più grande miseria, incapace di placare gli stimoli della fame. “Rientrato allora in se stesso, si disse: «Quanti servi in casa di mio padre hanno pane in sovrabbondanza, mentre io qui rischio di morire di fame. Voglio partire, andare verso mio padre e dirgli: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non merito di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi garzoni»” (Lc 15,17-19). Non osa nemmeno sperare che suo padre lo riconosca come suo figlio: si augura che il genitore lo accolga almeno come uno schiavo. Con questi sentimenti, il figlio partì e andò verso la casa paterna. “Mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e fu colto da viscere di compassione; gli corse incontro e si gettò al suo collo e lo abbracciò teneramente (…) «Mangiamo e facciamo festa, perché mio figlio era morto ed è tornato alla vita; si era perduto e si è ritrovato». E cominciarono a festeggiare” (Lc 15,20-24).

Il padre del figlio prodigo adotta un approccio diametralmente opposto a quanto prescritto dalla Legge ove si dice: “Se un uomo ha un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce del padre e della madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta (…) allora lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città (…) allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà. Così estirperai da te il male e tutto Israele lo saprà e avrà timore” (Dt 21,18-22). La strappo dell’evangelista Luca nei confronti del dettato del Primo testamento è radicale: Gesù non chiede di sradicare il male uccidendo il colpevole, perché nel padre la parabola ci offre l’esempio di chi sconfigge il male amando il (figlio) cattivo. Perché Dio non vuole mai la morte di un uomo smarrito, ma anzi mette unicamente il suo potere al servizio della vita. Malachia (3,17-18) precisa quale comportamento avrà Dio nei confronti dei figli spietati d’Israele: “Essi diverranno – dice il Signore degli eserciti – la mia proprietà particolare nel giorno che io preparo. Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio che lo serve. Voi allora di nuovo vedrete la differenza fra il giusto e il malvagio, fra chi serve Dio e chi non lo serve”.

Il padre misericordioso, proprio lui, tratta allo stesso modo il figlio che lo serve e quello che non lo serve. La sua bontà ricopre tutti i figli, senza discriminazione alcuna…

Possiamo allora iniziare questo percorso facendo nostro l’atteggiamento del padre: non discriminiamo le persone per motivi di razza, religione, sesso, nazionalità, di inferiorità, di disagio conclamato. Trattiamole con la stessa bontà e delicatezza. Dice S. Paolo “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28).

Nell’augurare ogni bene, vi ricordo che il prossimo 5 febbraio alle ore 20.00 vivremo la veglia di preghiera animata dalla Fraternità di Romena: “Dio cammina a piedi”.