Il senso di colpa

di ANDREA FILLORAMO

L’idea di un Dio misericordioso da cui nasce l’indizione e la realizzazione del Giubileo della misericordia, voluto da Papa Francesco, contrasta indubbiamente con il “senso di colpa”, un sentimento associato al peccato o presunto tale, al quale siamo stati educati, fin dall’infanzia. Tutto ciò, mentre la psicanalisi ci insegna che esso non solo nuoce alla salute e alla serenità dell’individuo, ma non impedisce di perpetrare l’azione che lo scatena e, quindi, non risolve niente e anzi peggiora le situazioni. Il sentimento di colpa, infatti, può diventare facilmente una dinamica disfunzionale, non salubre come invece dovrebbe essere: un input ed un incentivo a porre rimedio agli errori e alle carenze delle nostre strutture di comportamento, mediante una modificazione delle stesse. La colpa assume, per alcuni, un sistema di giudizio e anche di giustificazione che rende lecita “una passività dell’agire”, ma soprattutto del non agire. Il rimorso si trasforma talvolta in un “alibi” dietro cui nascondersi per non affrontare la realtà, per non reagire a situazioni di difficoltà. Il senso di colpa nasce da un concetto errato di fede, quello che opprime, che schiaccia, che non fa respirare, che controlla l’anima e il corpo, che ne impedisce ogni libero movimento, che ne indirizza ogni minimo passo, che in ogni aspetto della vita interviene per mostrare con superbia l’errore, la mancanza, l’inadeguatezza, nonché l’immancabile, eterno castigo del peccato, che è l’inferno. Tale concetto, purtroppo, ancora è ben presente negli agiografi, nei moralisti cattolici e conseguentemente in una certa parte del clero e in molti fedeli cattolici. Un cristianesimo che chiede e impone, che detta le regole di comportamento e modalità di pensiero, che dice cosa si deve fare e cosa si deve pensare, che soprattutto dice cosa non si deve fare e cosa non si deve pensare, e tutto “per il tuo bene”; che, per saldare i debiti imposti dal peccato, mette sempre l’inferno, non è a mio parere un cristianesimo accettabile. Si rifletta, inoltre sulla “deformazione” del concetto stesso di Dio presente in questa visione. Infatti Dio che nasce da questa visione è un Dio mostruoso, non un Dio giusto ma un Dio feroce e vendicativo, inferiore perfino all’uomo nella capacità di perdonare, un Dio terrificante e spaventoso che punisce con fuoco e fiamme per l’eternità, un Dio pazzescamente al di sotto dei peggiori sistemi carcerari della terra, un Dio infinitamente meno pietoso e compassionevole dell’uomo, un Dio molto lontano dalla proposta cristiana di Papa Francesco, ma che a molti di noi è stato imposto fin da quando eravamo bambini e che è posto a base ancora dell’insegnamento di tanti catechisti o fa da sfondo alle omelie di quei preti che rifiutano di aggiornarsi e si disinteressano delle scienze umane e antropologiche. Come si può credere in una cosiddetta verità di fede violenta, disumana, atroce e ingiusta che mostra un Dio vendicativo, che sferra in nome della giustizia una punizione che è in realtà esprime una crudeltà efferata ed inimmaginabile? E’ cosa certa che dall’idea di inferno eterno nascono il sacrificio, l’umiltà e la rassegnazione, in piena conformità di un astratto “statuto” formativo adattabile a tutti, attraverso il quale si costruiscono tanti uomini fatalisti, pessimisti, reazionari, mancanti di personalità, d’iniziativa, di perseveranza, d’entusiasmo, di confidenza, di coraggio. Sì, perché la religione è vissuta molto spesso in termini fortemente inibitori. La paura della punizione, dell’Inferno, paura ben presente in molti cattolici anche in quelli che dicono di non credere alle fiamme eterne, condiziona la capacità di scelta e le varie “proibizioni della Chiesa” non fanno che procurare innumerevoli sensi di colpa. I sensi di colpa li subiscono anche i fedeli e sono milioni dei cosiddetti veggenti di Medjugorje che non si stancano mai di divulgare le loro fandonie, inclusa la visione dell’inferno. I primi pseudo – veggenti a dire di aver visto l’inferno furono Jakov, Vicka, e Marija. Una seconda visione l’ebbero Jakov e Vicka. Essi dicono che l’inferno: "È un posto terribile, nel mezzo c’è un gran fuoco, ma non come quello che conosciamo sulla terra. Abbiamo visto gente assolutamente normale, come quelli che si incontrano per la strada, che si gettavano da soli in quel fuoco. Quando ne uscivano assomigliavano a belve feroci che gridavano il loro odio e la loro ribellione e bestemmiavano. Era difficile credere che fossero esseri umani, tanto erano sfigurati, cambiati. Davanti a questo spettacolo eravamo spaventati e non capivamo come una cosa così orribile potesse succedere a quella gente. Fortunatamente la presenza della Gospa [la Madonna] ci rassicurava”. E’ chiaro che l’immagine dell’inferno, che i veggenti attribuiscono all’intervento della Madonna è quella popolare fatta per atterrire, costruita da secoli per la categoria degli ignoranti, alla quale essi appartengono. Essi, quindi, non sanno né possono sapere, ma lo saprebbe la Madonna, che l’inferno nasce dal concetto stesso di peccato, e il peccato èun atto di orgoglio, di amore di se stesso e di disprezzo e di rifiuto di Dio. Questa natura del peccato fa sì che l’uomo non solo commetta il peccato ma “resti" in esso – per cui il peccato diviene in lui non solo un "atto", ma uno “stato" -, e l’uomo si stabilisca in esso, vi si “indurisca", fino a diventare, da "peccatore", il “peccato" (vivente). Questo indurimento nel peccato fa sì che l’uomo si chiuda a Dio e non permetta alla sua grazia, che Dio non fa mai mancare al peccatore, di agire in lui e di condurlo alla “conversione”. Ci chiediamo con un certo imbarazzo: “quando finalmente si pone fine alle visioni di Mejugorje che io definisco vere ed autentiche cialtronerie?”. Il vescovo di Mostar, Pavao Zanic, nella sua lettera del 17 agosto 1989, a un reverendo afferma: “Devo dire che non ho cambiato il mio pensiero su Medjugorje. Dichiaro che tutto è una grande truffa, un inganno… La gente ingenua e desiderosa crede tutto… stupidaggini incredibili! Non ci sono le apparizioni della Madonna, non ci sono messaggi!.. Nella mia diocesi, neanche un sacerdote diocesano crede nelle apparizioni; (soltanto) la terza parte dei francescani ci crede, e solo un vescovo (mons. Frane Franic) su 35 vescovi in Jugoslavia. Questo è un doloroso episodio nella storia della Chiesa! In gioco vi è una quantità enorme di denaro! I veggenti sono manipolati molto bene, premiati, fatti ricchi!.. Io devo difendere la Fede e la Madonna; sono pronto a morire per la verità!”… Altre considerazioni abbiamo ancora da fare sul senso di colpa. Il senso di colpa danneggia il nostro rapporto con Dio, che crea grosse problematiche. Il “fare ciò che Dio vuole” sembra impedire alla volontà di esprimersi, di svilupparsi e maturare. Il quadro finora riportato dà un’immagine della libertà dell’uomo, se non proprio compromessa, sicuramente minacciata da quella visione pseudo cristiana. Da quella visione scaturisce, quindi, la “teologia della paura”, che gli Enciclopedisti consideravano strumento di dominio da parte delle gerarchie ecclesiastiche: “È dolce dominare i propri simili; i preti seppero profittare dell’alta opinione che avevano generato nello spirito dei loro concittadini. Pretesero che gli dei si manifestassero loro, annunziarono le loro leggi, insegnarono dei dogmi, prescrissero ciò che doveva essere creduto e ciò che doveva essere respinto, fissarono ciò che piaceva o dispiaceva alla divinità, organizzarono gli oracoli, predissero l’avvenire all’uomo inquieto e curioso, lo fecero tremare per la paura [crainte] delle pene che gli dei irati minacciavano per i temerari che avessero osato dubitare della loro missione o discutere la loro dottrina”. La “teologia della paura” contrasta fortemente con la “teologia della libertà”, da intendere come "autodeteminazione" e "autorealizzazione"; libertà, autodeterminazione e autorealizzazione che diventano padronanza di sé, capacità di volere ciò che si è in grado di capire, possibilità di scegliere e, quindi, libero arbitrio. Legato al concetto di senso di colpa c’è indubbiamente il concetto di peccato. Teniamo conto del fatto che viviamo in una cultura nella quale il concetto di peccato è contorto da dibattiti legalistici su ciò che è giusto e sbagliato. Il peccato, definito nelle traduzioni originali della Bibbia, significa invece “mancare il segno”. Il segno, in questo caso è la perfezione stabilita da Dio e dimostrata in Gesù, che non ha nulla da fare con il senso di colpa come inteso da tanti cristiani. Il peccato è una chiamata al ravvedimento.La buona notizia in tutto questo è che, una volta che riconosciamo di essere peccatori, dobbiamo solo ravvederci per essere perdonati. Forse ha ragione chi sulla Rete sostiene che “il senso di colpa non esiste, ma solo è un’idiozia che ci è stata nostro malgrado inculcata da che siamo nati. Se in qualche modo ne soffri, lavora su te stesso per liberartene al più presto e per il tuo bene”. L’accettazione di se stessi e dei propri comportamenti agiti nel reale si definisce come assunzione di responsabilità (quasi una antitesi dei connotati della colpa odierna); presuppone che l’individuo si veda, si concepisca e si accetti consapevolmente così come è, nei suoi pregi e soprattutto nei suoi limiti, senza lasciarsene deprimere o paralizzare ma anzi prendendone atto e adoperandosi per trovare soluzioni e compiere scelte per modificare l’esistente. Senso di colpa/peccato è questo un connubio, dunque, che attanaglia lo spirito e la coscienza di quanti non vivono la fede in spirito di libertà. Di ciò si devono rendere conto particolarmente quanti hanno subito l’educazione nei seminari e nei collegi cattolici, impartita anche attraverso la lettura di libri e libercoli che erano i trasmettitori di questa falsa dottrina. A mo’ di esempio cito: “i vizi capitali” di don Giuseppe Tomaselli, salesiano, esorcista, che scriveva : “Tutte le abitudini cattive sono funeste; ma l’abitudine del peccato impuro è la più disastrosa. Infelice chi cade e ricade con frequenza in questo peccato! O l’anima si rimette sulla buona via o andrà inesorabilmente perduta”. La lettura di brani del genere conduce ad una conclusione: in seminario e nella cultura cattolica, non si teneva conto del fatto che quanto più si vieta a uno di vivere da protagonista la propria vita, tanto più egli diventerà egocentrico. Sembra, quindi, che quel tipo di morale da lui proposto favorisca in modo surrettizio il “peccato” impuro. Don Giuseppe Tomaselli, in quello scritto come del resto in tanti altri, al centro della sua attenzione pone il peccato impuro, il peccato, quindi, contro il sesto comandamento. Ed è proprio la disubbidienza al “non fare atti impuri”, che crea in molti cattolici il senso di colpa. Tutti lo sanno perché tutti l’hanno subìto o lo subiscono. Ma perché avviene ciò? Domina ancor oggi in molti quella che era una concezione medioevale, una concezione drammatica del rapporto tra anima e corpo, il quale perciò va controllato, represso, subordinandolo alle esigenze dell’anima, che, per salvarsi, distaccandosi dalle vane apparenze e dai falsi beni e rinunciando ai piaceri, deve mortificare la carne, da cui scaturisce il desiderio e subire le conseguenze del senso di colpa. È questo sicuramente un atteggiamento ascetico che ritiene la vita un cumulo di miserie, sofferenze e brutture disgustose, una “valle di lacrime”; un momento inconsistente e passeggero, dominato dalla presenza incombente della morte. Mi si consenta di porre delle domande provocatorie: Il sesso, in un mondo basato sulla frustrazione, motivo di ricatto, di odio e di rancore e in una società priva di tabù e quindi senza sensi di colpa, potrebbe essere motivo di distensione e di concordia?”. E ancora: “Il credere che la rinuncia ai piaceri della carne ci renda meritevoli di ricompense dopo la morte non è che uno dei tanti assurdi per imporre, una falsa morale?”. Per liberarci dal senso di colpa occorre avere la forza di uccidere ogni manipolazione mentale subita. E la si uccide soltanto costruendo un futuro; pensando un futuro, desiderando un futuro capace di impegnarci in attività che coinvolgano le emozioni e le passioni. Conquistare quel diritto allo spazio e all’azione che se, come dice Jaspers, comporta comunque una colpa, la colpa è quella di aver scelto. Magari si tratta di una pessima scelta, ma è sempre una scelta. E allora, invece di focalizzare l’attenzione sulla colpa che deriva dalla scelta, focalizziamo la nostra attenzione sui meriti e sulla gloria che deriva dallo scegliere. Ed è gloria perché tutta la storia dell’evoluzione è fatta da tutta una serie di scelte soggettive: e quelle furono le glorie della specie! La visione della ragione è parziale e monca, la le tensioni, la passioni, i desideri che noi abbiamo sono capaci di abbracciare la totalità emotiva che ci circonda. Per farlo è necessario conquistare il diritto allo spazio che ci spetta e toglierlo alle illusioni e ai fantasmi che occupando quello spazio ci impediscono la nostra capacità d’azione. Occorre liberare la capacità di vivere e scegliere di ogni individuo impedendo che la sua scelta si trasformi in colpa angosciosa che i criminali, i sacerdoti cattolici (per fortuna pochi), i ministri evangelici, protestanti, gli iman musulmani, i rabbini ebrei, utilizzano per inchiodare e distruggere la struttura psichico-emotiva delle persone. È questo sicuramente il male assoluto da evitare. Il Male Assoluto è costituito dalle condizioni sociali, filosofiche, teologiche, etiche e morali nelle quali l’uomo è costretto a violentare la sua struttura psico-fisco-emotiva e quella dei suoi figli per sopravvivere. L’uomo non nasce creato da un dio padrone, ma costruisce sé stesso nelle condizioni morali, sociali, etiche, religiose, teologiche, giuridiche, filosofiche, ecc. che incontra nascendo. Sono quelle condizioni che rappresentano il male assoluto quando costringono l’uomo a stuprare la propria struttura emotiva per adattarsi ad esse.