Dove sta andando la Chiesa, all’inizio del III° millennio, con il Papa Francesco?

di ANDREA FILLORAMO

“Dove sta andando la Chiesa, all’inizio del III° millennio, con il Papa Francesco?” E’ questa una domanda che molti si pongono. E’ certo che il papato di Francesco segna un nuovo stile, accetta nuove sfide e pone dei segni profetici, rilanciando con forza gli interrogativi dell’uomo contemporaneo, proprio quegli interrogativi che 50 anni fa si poneva il Concilio Vaticano II, definito dall’attuale pontefice "un aggiornamento, una rilettura del Vangelo nella prospettiva della cultura contemporanea". Il Concilio, scrive il Papa al suo successore a Buenos Aires, cardinale Aurelio Mario Poli, "ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo. E adesso, bisogna andare avanti". "Come, dunque, andare avanti?", si chiede Bergoglio. "Insegnare e studiare teologia – spiega – significa vivere su una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui va annunciato in maniera comprensibile e significativa". La lettera è stata inviata in occasione dei 100 anni della Pontificia università cattolica argentina (UCA).Non è la prima volta che Bergoglio sottolinea la necessità di proseguire sulla strada del Vaticano II e di "non tornare indietro", forse rivolto a chi nella Chiesa ha sempre guardato con diffidenza alle novità introdotte all’epoca. Chi ha vissuto quel periodo, oggi, ascoltando il papa e ricordando quel periodo in cui la speranza in un vero rinnovamento della Chiesa prendeva il posto dell’inerzia, anche quella pastorale, guarda con entusiasmo a quella che è la rivoluzione di papa Francesco nel segno del Concilio Vaticano II. Chi non ha vissuto quel periodo, per comprendere cosa è stato il Concilio, deve, quindi, necessariamente rileggere i “segni dei tempi” che l’hanno determinato e accostarsi non solo ai Decreti Conciliari, ma anche alla sua storia. A proposito dei “segni dei tempi”, di cui allora tanto si parlava, Rino Fisichella,in “La rivelazione: evento e credibilità”, propone che “segni dei tempi in senso teologico siano chiamati non il sentire generale o l’evoluzione del pensiero e della mentalità, ma piuttosto concreti eventi storici, avvenimenti intorno ai quali convergono il sentire dei credenti e dei non credenti, orientandolo al bene”. Accettando la categoria del Fisichella, ritengo che è sicuramente un “segno dei tempi”, il fatto storico realizzatosi fra il 1958 e il 1963. Proprio in quegli anni, infatti, sulla “cattedra di Pietro” vi era Giovanni XXIII, al secolo Giuseppe Roncalli, il papa buono che ha indetto il Concilio Vaticano II e che sicuramente Papa Francesco vede come suo modello.Rimane ancora nell’orecchio di tanti lo stupefacente “discorso della luna” di Giovanni XXIII, dell’11 ottobre 1962 ,con cui il mondo avvertì i primi fremiti dell’incipiente “primavera“ della Chiesa, affermata dal Concilio:”Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà! La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore. Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: occorre quello che ci unisce, e lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: ‘Questa è la carezza del Papa ’. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza. E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”. Al di là di ogni retorica, possiamo affermare che il Concilio Vaticano II, voluto da papa Giovanni XXIII, è stato l’evento più significativo e determinante della storia recente della Chiesa. “la grazia più grande fatta da Dio alla Chiesa del XX secolo, che ha segnato un passaggio epocale. Esso infatti sboccia come un fiore di inattesa primavera e un’ispirazione dell’Altissimo”. Il Concilio certamente ha offerto all’umanità i contenuti essenziali evangelici, seguendo i criteri della pastoralità e dell’aggiornamento, criteri fino allora quasi totalmente estranei al mondo cattolico e valori che i padri conciliari si sono impegnati a riscoprire. Attraverso la pastoralità, la Chiesa s’impegnava ad assumere uno stile di comportamento mite, evangelicamente povero; con l’aggiornamento la Chiesa voleva diventare un luogo di ricerca e d’inculturazione della rivelazione, nel superamento dell’immobilismo dottrinale che aveva caratterizzato molti secoli della sua storia. Nella “Pacem in Terris”, l’enciclica che Giovanni XXIII scrisse nel 1963, poco prima di morire, a Concilio appena cominciato, si legge: “La pace tra tutte le genti è fondata sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà”. Da evidenziare particolarmente il fatto che l’aggiunta della libertà alla verità, alla giustizia e all’amore, è certamente un fatto storico importantissimo. Prima di Papa Giovanni e per molti secoli, la Chiesa cattolica, infatti, aveva considerato la libertà un pericolo, una minaccia alla verità, all’autorità, all’ordine pubblico e, quindi, questa espressione di Papa Giovanni spazzava via in un sol colpo quel che ancora rimaneva di un’antica e tenace diffidenza, nella Chiesa Cattolica e nei Cattolici, verso la libertà. La Chiesa, infatti, condannava la libertà di coscienza, intesa come corollario dell’indifferentismo e la libertà di pensiero e di stampa. Gregorio XVI nell’enciclica “ Mirarivos”, infatti, scriveva: ”Pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita ‘libertà della stampa’ nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti”. Con la “Pacem in terris”, papa Giovanni XXIII, diciamolo pure, contraddice il suo predecessore. La libertà, aggiunta alla pari con la verità, con la giustizia e con l’amore, escludeva non solo ogni nostalgia cattolica dell’assolutismo, ma anche ogni laico totalitarismo: come dimostrano la storia, la storia della filosofia e la storia della propaganda. Una sacrosanta aspirazione alla verità, alla giustizia e all’amore,infatti, se non accompagnata da un sacro rispetto della libertà, produce non solo Santa Inquisizione, ma anche Lager e Gulag. Con questa enciclica la Chiesa finalmente è invitata dal Papa a rendersi conto che libertà, uguaglianza e fraternità sono in fondo valori evangelici. Il sogno di tanti cattolici del periodo conciliare di una chiesa più evangelica, meno gerarchica, meno imbottita di dogmi, una chiesa “altra”, diversa, dove ci saremmo sentiti tutti fratelli, una chiesa dove i preti non sarebbero stati una casta sacerdotale di potere, ma avrebbero svolto una funzione, un ministero, una chiesa che non avrebbe difeso la sua struttura di istituzione: cioè l’impianto ideologico – dogmatico. Il desiderio di tanti era, inoltre, quello di una chiesa che non avrebbe rivendicato per se stessa alcun privilegio, ma che avrebbe accettato di camminare nella storia con il suo Signore, al servizio degli uomini, nell’umiltà e nella povertà di mezzi. Tutti speravano in una chiesa che, rinunciando alla potenza, avrebbe intrapresa la via “kenotica”, che è probabilmente l’unica in grado di esprimere la comunione di Dio con il suo popolo. I documenti di indizione e di conclusione del Concilio, l’insie¬me dei testi conciliari e la stessa immagine aggiornata della Chiesa si presentano come evento; l’agire di una Chiesa che conduce a cogliere i “chiari segni dei tempi”. E’ indubbio che dal punto di vista storico ci si può interrogare sulla capacità di risposta del Vaticano II rispetto alle sfide che la modernità pose, e pone, alla Chiesa. Nei tempi lunghi della recezione di un Concilio ogni bilancio del Vaticano II non può che essere provvisorio. Nonostante il permanere di questioni ancora grandemente irrisolte, rimane il giudizio positivo sull’evento che ha caratterizzato la vita della Chiesa del secolo scorso; un giudizio largamente condiviso da Benedetto XVI nel suo discorso del 22 dicembre 2005: “Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”. Tornando al nostro incipit:”Dove sta andando la Chiesa, all’inizio del III millennio, con il Papa Francesco?” La risposta sembra proprio questa: “la Chiesa, con Papa Francesco, leggendo con molta attenzione, quelli che sono i segni dei tempi del III° millennio, vuole recuperare, vivere e cercare di far vivere, il Concilio Vaticano II”.