Guarda dritto verso il fondo della strada

Rientrato in casa, preparai un pranzo più ricco (era domenica) a base di trote al cartoccio, pescate nelle limpide acque del fiume locale. Lo conclusi con il tipico formaggio d’Iraty e lo accompagnai con un delicato Rosé de Irouléguy. Tutti prodotti locali. Quasi a Km 0. Pensai che l’indomani avrei lasciato quel caratteristico villaggio e dopo una tremenda marcia di 27 Km avrei raggiunto Roncesvalles, località resa famosa dall’omonima battaglia nella quale i Baschi sconfissero le truppe di Carlo Magno e lasciarono sul terreno perfino il paladino Orlando. Era giusto festeggiare, ma senza alzare troppo il gomito. Rigovernai subito la cucina quindi mi sdraiai sul divano. Avevo deciso di non cucinare per la sera. Sarei andato a mangiare delle crêpes in un tipico locale, adagiato sulla sponda sinistra del fiume.
Pensavo sempre, però, alle strane voci intese e all’enigmatico dialogo fra il vescovo e il suo vicario. Non riuscivo ancora a farmene una ragione. E mentre guardavo una brochure con il programma completo della sfilata della “Noce basque” prevista per la domenica successiva (sarebbe stato bello vedere la sfilata con i relativi figuranti che reinterpretavano come avvenivano le nozze 100 anni fa), mi addormentai.
Attorno alle 19.00 usci per una passeggiata e per gustare le famose crêpes, di cui avevo percepito il delicato profumo la sera precedente, mentre attraversavo il ponte sul Nive. Le persone sciamavano: chi guardando le botteghe artigianali della lavorazione della lana, chi scattando foto ai particolaripiù caratteristici del villaggio, chi consumando bevande e cibo nei tipici locali del centro. Mi sentii perso fra tanti sconosciuti quando ad un tratto intesi un fischio e poi una mano che si agitava tenendo all’estremità il classico basco nero: “Oh, mon ami!” Era Michel. Mi abbracciò e con le lacrime agli occhi mi fece capire che mi aveva cercato e ora, fortunatamente, ritrovato.
Gli volevo dire che ero intenzionato ad assaggiare delle crêpes, ma non mi diede la possibilità di completare la frase che mi supplicò di seguirlo fino a casa perché, in segno di accoglienza e amicizia, voleva a tutti i costi farmi degustare un tipico piatto basco. Le mie rimostranze servirono a poco.
Appena salito in macchina, mi informò che mi avrebbe condotto e vedere il panorama che sovrasta tutta la vallata da una posizione strategica: la Citadelle. Dal pannello esplicativo che si trova sulla spianata ho appreso che si tratta di un’antica fortezza (vecchia di 400 anni, edificata sotto il Richelieu) e che ha avuto diverse funzioni nel corso degli anni. Negli ultimi 100 ha funzionato prima come prigione per i tedeschi, poi come caserma, quindi come centro di accoglienza per ragazzi rifugiati baschi durante la guerra civile spagnola. Oggi ospita un “college” di scuola superiore.
Rimasi incantato dalla bellezza del luogo e del panorama che si poteva osservare nel momento in cui l’ombra proiettata dal sole divideva quasi a metà la zona sottostante. Michel mi chiamò per indicarmi le varie località. Poi aggiunse: “Guarda dritto verso il fondo della strada. Alla fine si intravede un ruscello, il Laurhibar. Quindi la strada principale svolta a destra. Dopo la curva c’è un grande slargo occupato da un supermercato. La mia casa è lì,quasi di fronte. Siamo a Ispoure, alle porte di Saint Jean Pied de Port”.
Mi sembrava di toccare con le mani tutta la vallata. Tanto era vicina! Scendemmo con cautela dal piccolo promontorio perché i tornanti sono molti impegnativi e in pochi minuti giungemmo alla villetta di Michel. All’ingresso mi presentò la sua gentile signora, intenta a preparare la paella basca (pollo, seppia, cozze e scampi, oltre al riso…!), e le sue due figliole con i rispettivi fidanzati. Una bella e simpatica famiglia! All’inizio mi sentii a disagio, poi fra un boccone e l’altro e fra un sorso e l’altro di un ottino Lancers Rosé, mi rilassai e cominciai a divertirmi.
Attorno alle 23.00 si chiuse la luculliana degustazione di cibo e bevande e mentre salutavo i presenti, Michel mi disse: “Domani andrò a Esterençuby e poi avvicinerò da mio cugino dalle parti di Harpéa. Se vuoi di do un passaggio fin lì e quindi potrai proseguire la tua strada fino a Roncevaux passando per il crinale delle montagne. Risparmierai un po’ di strada e vedrai un panorama stupendo sull’intera valle. Non ti dovrai alzare troppo presto. Possiamo andare anche alle 8,30”.
Mi sentivo confuso dall’affetto e dall’attenzione di questa persona. Alle fine aggiunsi: “Se proprio insisti, in forza di questa bella e sorprendente amicizia, accetto”. Ringraziai soprattutto la signora Antoinette, alla quale feci i complimenti per la nobile arte culinaria con cui aveva preparato la cena e montai in macchina. Appena fuori dal vialetto della villa, mentre ci stavamo immettendo sulla strada dipartimentale, Michel esclamò: “Zut! Les gendarmes!”. Capii subito a cosa alludesse, ma non il senso completo della frase. Lui bloccò la vettura e mi spiegò che essendo un po’ alticcio aveva paura di essere trovato positivo all’alcol-test. Mi chiese se volessi guidare io, ma si rese subito conto che anch’io ero nelle sue stesse condizioni. Gli dissi di non preoccuparsi che sarei andato a casa a piedi. Al massimo avrei impiegato 10’. Ci salutammo e mi incamminai. Oltrepassato il posto di blocco, ridevo come un matto per quanto appena accaduto. Mentre infilavo la chiave nelle toppa della porta di casa, mi venne incontro la padrona. Mi salutò e mi disse che l’aveva appenata chiamata al telefono Michel per sapere se fossi giunto a destinazione. Che signorilità!
In pochissimi minuti ero già a letto e presi sonno subito, quando a un tratto sentii un colpo secco alla parete confinante con l’alloggio della padrona. Fui preso da paura. Lì per lì pensai che le fosse accaduto qualcosa di grave. In pochi secondi però mi resi conto del perché di quel rumore: “S’il vous plaÎt, monsieur! Ronflez- vous doucement!”. Avevo russato così fragorosamente da costringere la signora a intervenire decisamente, seppur delicatamente. La padrona invitava a russare “dolcemente”. Risposi, con la bocca alquanto impastata: “Merci, madame! Pardonnez-moi!”.

(continua)

ongi etorri