IL TEATRINO DEGLI INNOCENTI

di ANDREA FILLORAMO

La migliore metafora con cui compariamo la vita e l’arte, è quella del teatro. Tra ciò che noi vediamo sul palcoscenico e quanto accade sotto i nostri occhi nella realtà di ogni giorno possiamo riscontrare una serie di analogie in grado di illuminare aspetti importanti dell’immensa scena su cui agisce il genere umano, per cui parliamo molto spesso di “teatro della vita”. Non a caso nel Globe Theatre di Shakespeare, luogo fondatore del dramma moderno, veniva ricordato agli spettatori, con un motto scolpito a grandi lettere: “Totusmundusagithistrionem “. Il “teatro della vita” non è, però, un teatro che celebra l’ingegno degli autori o i talenti degli attori, ma è un “teatrino”, termine al quale, in un ampliamento del significato originario di teatro e in modo spregiativo, laTreccani dà la seguente definizione: “situazione o condizione ambientale in cui tutto si riduce a un gioco delle parti nel quale ognuno finge di recitare un certo ruolo”. Proprio così lo vede Dario Bracco, che, da appassionato cultore delle materie classiche, apprese al Liceo Classico Maurolico di Messina, che gli hanno fatto scoprire la bellezza delle “humanaelitterae”, una laurea in giurisprudenza all’Università degli studi della città peloritana e una pluriennale attività lavorativa come direttore in Uffici della Pubblica Amministrazione a Padova, approda, a 63 anni di età, alla sua prima fatica letteraria, che, appunto, si intitola il “teatrino degli innocenti”, edito da “Coop. Libraria Editrice Università di Bologna”. Egli scrive, così, un romanzo in cui mai viene abbandonato lo stile teatrale fatto di scene, di recite dei personaggi, che sono uomini, donne, politici, ecclesiastici, funzionari, tutti impegnati al “gioco delle tre carte”, a nascondere e a nascondersi, che non possono scegliersi i ruoli, ma sono costretti a giocare quella parte che viene sempre loro assegnata da un regista esterno, a ritenersi, perciò, irresponsabilmente “innocenti”. Da qui il concetto di “teatrino degli innocenti”. Leggendo il libro, mi è tornato in mente un bellissimo sonetto di Tommaso Campanella, dedicato a una cruda analisi della realtà politica, dove gli attori prescelti non sono all’altezza di recitare quei ruoli di prestigio cui sono stati destinati: “Fra regi, sacerdoti, schiavi, eroi, / di volgar opinione ammascherati, / con poco senno, come veggiam poi / che gli empi spesso fûr canonizzati, / gli santi uccisi, e gli peggior tra noi / prìncipi finti contra i veri armati “. Molti secoli prima di Campanella, anche Seneca, in diversi passaggi delle “Lettere a Lucilio”, nel sottolineare il valore illusorio delle ricchezze e del potere, lo fa paragonando appunto gli uomini agli attori:“Chi occupa ruoli di prestigio nella vita deve fare attenzione a ciò che accade in una rappresentazione teatrale: l’istrione mascherato da re o da potente, una volta spogliato del suo travestimento, ritorna a essere quello che veramente era nel quotidiano. Dismessi abiti di porpora e toghe magistrali, solo la pura “nudità” potrà essere misura del suo valore”. Scorrendo le pagine del libro di Bracco e seguendo la modularità del racconto è facilmente rintracciabile la voluta astensione dell’autore da ogni giudizio su fatti e persone che agiscono sul quel palcoscenico, dove protagonisti sono solo gli attori, giudici non disinteressati di se stessi. Certamente l’autore vede e osserva ma sembra distrarsi, proprio come uno spettatore durante lo spettacolo, che sembra addirittura annoiarsi ma aspetta che gli attori giungano alla fine della recita per vedere come vada a finire. Sono loro, infatti, che riceveranno l’applauso che può essere anche di rito ma che poteva anche tradursi in un fischio se gli spettatori non fossero stati travolti anche loro in quella recita d’ipocrisia. L’assenza di un giudizio etico da parte dell’autore e il lasciare a briglie sciolte i protagonisti che agiscono indisturbati nella loro recita, vanifica indubbiamente i valori attribuiti alle virtù umane come la giustizia, la bontà e lo stesso concetto di verità. Da qui il pessimismo che non coglie di sorpresa il lettore anzi ne conferma la verificabilità per chiunque si mette in gioco. In tal senso nel capitolo “la verità” di pag.112, si legge; “ora mi vieni a parlare di verità, ma non ti accorgi che quella che chiami così non è che una merce come un’altra, sapientemente manipolata dai detentori del potere per vendere i loro prodotti”. Lo sappiamo; la manipolazione dei fatti e della realtà avviene in ogni settore vitale della società: dalla politica all’informazione, dalla pubblicità alla scienza, dalla religione ai rapporti personali, vita sentimentale compresa. Ne siamo tutti protagonisti e al contempo vittime. Basato su fatti concreti, il libro è ricco di testimonianze. Certamente, nella nostra società prevale chi, grazie all’uso abile e disinvolto della parola, riesce a modificare fatti e realtà. E’ questa una riedizione del pensiero sofistico gorgiano, calato nella realtà postmoderna. Per Gorgia di Lentini, infatti, non è possibile comunicare attraverso il linguaggio ciò che è. Il linguaggio non ha nulla a che fare con la verità, non è possibile dire agli altri come realmente stanno le cose. Da qui lo smarrimento nelle sabbie mobili di un generale scetticismo. Nichilismo e scetticismo, accompagnati dall’”afasia” della filosofia greca, cioè dall’impossibilità di esprimere dei giudizi, noi li rintracciamo, quindi, nel racconto di Bracco. La pluralità delle posizioni, in un continuo “bellum omnium contra omnes”, cede facilmente il posto all’assunto che tutte le posizioni si equivalgono. La sfiducia nella verità comporta la svalutazione di ogni orizzonte di significato, per cui ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali. Occorre, allora, che l’uomo si affidi al caso e alla fortuna, dato che rischia senza un approdo certo di perdersi nei meandri del nulla? La risposta dell’autore è la seguente: “Il caso e la fortuna possono essere determinanti, ma spesso “il treno giusto” passa e noi non ce ne accorgiamo, oppure non abbiamo il coraggio di salirci su, spesso si aspetta un treno che non arriverà”.