
Di ANDREA FILLORAMO
“Molto rumore per nulla”, come tanti sanno, è una commedia teatrale, scritta da William Shakespeare, ambientata a Messina. Essa ha una struttura ricca di elementi farseschi e giocosi, che fanno rientrare a pieno titolo l’opera nel novero delle tragicommedie, nelle quali l’elemento comico si fonde a quello tragico e propriamente drammatico. A questa commedia ho pensato dopo le telefonate che ora con tono tragico ora con battute comiche commentavano l’articolo da me scritto su IMGpress il 22 luglio u.s. Cerchiamo di ragionare assieme. Nei miei scritti, come anche, nei rapporti cogli altri ho usato spesso la provocazione sempre benevola mai cattiva. A tal proposito rammento la frase di Chesterton del 1905: «fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Scrivendo l’articolo non immaginavo, però, che le previsioni di Chesterton si concretizzassero: scrivere di un ipotetico o anche reale vescovo, del quale molti dicono "peste e corna" che le corna possono essere anche vere, è qualcosa che, a parere dei benpensanti, non bisogna mai fare e se si fa, per sua difesa essi quasi invocano la polizia in assetto antisommossa. E dire che, scrivendo quell’articolo, facevo un paradosso; riferivo, cioè, un fatto che contraddice l’esperienza quotidiana, riuscendo perciò sorprendente, straordinario e per qualcuno bizzarro. Volevo, inoltre, dare un potente stimolo per la riflessione, data la debolezza di molti e l’incapacità di discernimento nelle situazioni complesse di tanti di non scandalizzarsi di fronte agli errori e ai peccati degli uomini di Chiesa. Sarebbe anacronistico invocare l’intervento di un’inesistente Santa Inquisizione per "bruciare vivo", al pari di Giordano Bruno, persino papa Francesco che di tanti vescovi è diventato il Grande Accusatore. Egli, lo sappiamo e gli stessi vescovi lo sanno, li scova in ogni parte del mondo, li rintraccia nella schiera dei pedofili, degli approfittatori e degli incapaci. Torniamo ai paradossi: tutti sanno che sin dall’inizio della storia scritta si sono fatti sempre riferimenti ai paradossi: dai paradossi di Zenone alle antinomie di Immanuel Kant, fino a giungere ai paradossi della meccanica quantistica e della teoria della relatività generale. Un’intera corrente filosofico-religiosa, il buddhismo zen, affida l’insegnamento della sua dottrina aikoan, indovinelli paradossali. Provocazione e paradosso, quindi, sono contenuti nel mio articolo, di cui faccio brevemente un’autentica ermeneutica, autentica perché mio è l’articolo e non di un altro. Nel mio scritto, che aveva per tema l’amministrazione di una diocesi da parte del vescovo, facevo notare come la Chiesa invita i vescovi alla parsimonia e al distacco dai beni materiali, Tale invito, però, purtroppo, non viene accolto da quei prelati di cui riferiscono abbondantemente i giornali e la Rete. Qualche vescovo addirittura, con varie blandizie “si lega teneramente” ad un ricco signore e lo convince a farsi lasciare in eredità un ingente patrimonio, Non tiene conto, però, lo sprovveduto che " il diavolo fa le pentole ma non i coperchi". Quel signore, infatti, prima di morire, "scoperchia la pentola". E’ questo il "codicillo” finale del mio articolo; è questo il “canovaccio” di un fatto, sicuramente verosimile, per qualcuno fantasioso e per qualche altro vero e documentato, Come si può notare non c’ è nome e cognome del protagonista, non c’è l’indicazione di una diocesi, che potrebbe essere in Sicilia, in Campania o nella Lombardia dove abito oppure in un luogo che non è in nessun luogo. Ho voluto soltanto presentare l’incipit di un piccolo “giallo” che dovrebbe indurre quei preti che del vescovo, chiunque egli sia, dicono sempre “peste e corna”, attribuendo a lui fatti molto gravi, ad abbandonare le lagnanze, i pettegolezzi, le lettere anonime e, se sono documentalmente certi delle accuse fatte al loro pastore, di rivolgersi a “chi di dovere”, a “viso aperto”, “restando in piedi”. E poi chi sa? Forse sarà lo stesso vescovo che, messo alle strette, “toglierà le castagne dal fuoco” per evitare lo scandalo che arrecherebbe danni irreparabili alla Chiesa. I preti che fanno gli “schizzinosi” davanti a chi con coraggio denuncia i mali non tanto della Chiesa quanto degli uomini di Chiesa, sanno che la polvere non si può e non si deve nascondere sotto il tappeto. Lasciata lì col tempo diventa pericolosa. Sarebbe questo un atteggiamento ipocrita e di ipocrisia spesso si muore. Francois Rabelais, considerato uno dei più importanti protagonisti del Rinascimento francese, noto soprattutto per il Pantagruel (1532) e il Gargantua (1534) scriveva: “Gli ipocriti sono tutti beoni superlativi, tutti blenorragici e impestati, guarniti di sete inestinguibile e di fame insaziabile. E perché? Perché non sono gente dabbene, anzi da male, di quel male da cui preghiamo quotidianamente che Dio ci liberi. Non importa che essi contraffacciano talora i penitenti. Mai vecchia scimmia fece bella smorfia”.