La libertà individuale dalla Chiesa

di ANDREA FILLORAMO

Si avvicina velocemente la data del Sinodo sulla famiglia e sicuramente i vescovi hanno già consultato i loro teologi, hanno spolverato i loro vecchi libri, si sono parlati fra di loro, dividendosi fra tradizionalisti e modernisti, per potere affrontare con papa Francesco i problemi che riguardano la famiglia. Sulla soluzione di tali problemi, il papa punta, con deliberata decisione, all’innovazione delle regole morali e comportamentali che, attraverso stratificazioni dottrinali o pseudo- dottrinali, sono giunte fino a noi. Il papa sa bene che tali regole, nelle società premoderne sono state le regole assolute che i cattolici dovevano rispettare ma che adesso non possono essere più imposte. Sa, inoltre, che nella loro elaborazione molto spesso è stata lesa la libertà individuale dalla Chiesa che si è arrogato il diritto di dettare una morale che molto spesso non mette al centro la persona umana, come soggetto capace di fare delle scelte etiche. Proponendo al Sinodo il tema della famiglia, il Papa, infine sa, che la crisi della famiglia è per la Chiesa la crisi più grave da affrontare e da risolvere. Ma ci chiediamo: i vescovi saranno capaci di seguire il papa Francesco in quest’opera di cambiamento, al quale non tutti danno il necessario credito che la modernità e il Vangelo impongono? Riescono a tralasciare il “ dogmatismo etico” con cui hanno convissuto per molto tempo, dentro la cui “ casistica” collocano l’istituto matrimoniale e tutti i problemi ad esso connessi? Si allineeranno ai “ fratelli separati” che, ispirandosi alla parola di Dio, da tempo hanno affrontato e risolto i medesimi problemi, alla cui soluzione essi vengono chiamati? Ho molti dubbi fondati che essi possano riuscire in questa immane operazione che li costringerebbe ad assumere un’ottica completamente diversa da quella che fino ad oggi costringe dentro una gabbia i fedeli cattolici dalla quale non riescono a liberarsi. Ma, quali sono i motivi, che determinano tale presunto comportamento da parte dei Vescovi?. Essi sono motivi, a mio parere, anagrafici e, perciò, ragioni di mancanza in loro di una visione e di una formazione sentimentale e di un’educazione sessuale, sulle quali si fonda necessariamente la famiglia. A dimostrazione di questa tesi, che può essere anche una semplice intuizione, facciamo una considerazione che può sembrare banale. I vescovi, quasi tutti, sono over 60 e mancano, perciò, non solo dell’esperienza familiare necessaria per formare una famiglia ad essi negata, ma anche di un’educazione sentimentale. Tale educazione ovviamente non poteva essere impartita nei seminari e negli istituti religiosi di una volta, da loro frequentati durante la loro infanzia e giovinezza. Questa mancanza indubbiamente pesa nelle loro convinzioni più profonde. Si tenga conto che i bambini e i ragazzi, sia quelli del passato, sia quelli di oggi, hanno dei bisogni ben precisi. La formazione e il sostegno educativo, quindi, diventano per loro funzione imprescindibile anche come supporto individuale e le “categorizzazioni” giovanili, imposte dall’esterno, rimangono spesso indelebili per tutta la vita. Cerco di essere più chiaro: per fare prima i preti e poi i vescovi, i padri sinodali hanno trascorso la loro fanciullezza, l’adolescenza e parte della giovinezza senza la famiglia, anzi strappati dalla famiglia. Era loro proibito,infatti, passare persino il Natale assieme ai genitori e ai fratelli. Veri reclusi, oggetti di un’educazione che non prevedeva alcuna figura parentale. E’ lecito quindi chiederci quali danni psicologici e culturali ha provocato, nella Chiesa,e, quindi, in quei vescovi, chiamati oggi, a riflettere sulla famiglia, questa strana, assurda pedagogia, quando molti di loro non si rendono conto di non aver superato quei “complessi”, dovuti al “distacco” forzato, fatto credere volontario dalle loro famiglie, in un momento tanto delicato della loro crescita? A loro, stravolgendone il senso sono state ripetute le parole di Gesù: “ Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me”. Ricordiamo che i ragazzi hanno bisogno dei genitori che vadano ad attivare, a mettere in risonanza le immagini interne: a costellare, cioè, gli archetipi materno e paterno corrispondenti. Tali archetipi sono in loro e sono pronti a scattare in rapporto alla realtà che i ragazzi incontrano, a cui poi dovrà corrispondere il modello archetipico di maschile e femminile che vanno a costituire la base delle future relazioni sociali e affettive. Quando un bambino o un ragazzo è costretto a rinunciare ai genitori, non rinuncia, perciò, solo alle persone fisicamente percepibili, ma anche all’attivazione dell’immagine interna corrispondente a quelle persone. Se il minore mette in atto meccanismi difensivi meno distruttivi per la sua personalità, il rifiuto-perdita-allontanamento di un genitore è percepito come abbandono da parte di questo, colpevole di non essere sufficientemente forte da non farsi escludere. All’introiezione di un vissuto di abbandono o allontanamento, inoltre, corrisponde l’ansia di essere trascurato; s’innesca, cioè, una catena in cui si possono stabilire rapporti affettivamente importanti perché il minore si convince che poi sarà comunque lasciato a se stesso. Per il minore non è possibile crescere bene, avendo dentro se stesso l’immagine materna o paterna eliminata o negata oppure allontanata o sostituita. Da tali vissuti derivavano le strutture depressive; dal senso di abbandono derivavano stati di angoscia; dai sentimenti d’impotenza di fronte al desiderio negato d’incontro e di confidenza impossibile con i genitori derivavano le tendenze a regredire ad atteggiamenti di dipendenza infantile. Come possono, quindi, i vescovi aiutare le giovani generazioni a formare delle famiglie se a loro è stata rubata la famiglia? Se non sono passati positivamente attraverso la crisi epocale che vive ogni nucleo familiare? Non si richiede a loro la perfezione, ma l’autenticità sì; autentico è chi riesce a far corrispondere il suo volto esterno al suo cammino interno. Autenticità è quel tratto che dà autorevolezza a ciò che dico, che rende genuino il mio modo di pormi di fronte agli altri, che mi fa essere vero e per ciò stesso credibile e degno di fiducia. La gente ha bisogno di trovarsi davanti innanzitutto a persone autentiche, che trasmettono non parole o emozioni o “ teologismi” ma esperienze realmente vissute. Molti vescovi e preti, quindi, non essendo portatori di esperienze familiari, riescono magari a fare delle conferenze,anche brillanti, a organizzare dei seminari sulla famiglia, a ripetere quanto gli altri hanno scritto o vissuto ma si perdono necessariamente nei meandri delle teorizzazioni accademiche, delle astrazioni, che non aiutano a curare le ferite familiari. Non parliamo, poi, dell’educazione sentimentale, totalmente assente nei seminari. Il protocollo educativo non la tollerava né la poteva tollerare,Ai preti, infatti, era proibita ogni forma di affetto, sia quella soggettiva, cioè riguardante l’interiorità della propria individuale affettività, sia quella rivolta al mondo esterno, sia quella, che potesse rivolgersi all’altro sesso. Mancava, pertanto, quella educazione sentimentale, il cui principale compito è quello di insegnare ad esprimere i propri sentimenti, di difendere i diritti, di aumentare la propria autostima e quindi l’immagine di sé. Era assente, quindi, quell’educazione, attraverso la quale si acquisisce la capacità, nelle diverse situazioni di rapporto con gli altri, sia con gli appartenenti al proprio sesso sia con l’altro sesso, a saper affermare il proprio Io, privandolo dall’ansia, dall’aggressività e dal senso di colpa, in modo da ottenere ciò che si desidera, rispettando il diritto degli altri a vivere le proprie emozioni, ad acquisire uno stile di vita che consente di darsi fiducia, in modo da poter accettare la propria identità e la propria immagine corporea, in continua trasformazione, al fine di attribuire un valore positivo anche ai propri difetti, in modo da poter superare i propri limiti nel riconoscerli come tali. Infine, in seminario, non veniva impartita alcuna educazione sessuale. Non poteva, del resto, essere diversamente; ci trovavamo in una istituzione sessuofobica, che dava seguito alla “ dottrina” della Chiesa, che aveva un’avversione morbosa per tutti i fenomeni riguardanti la vita sessuale. Da tale avversione scaturivano, perciò, per i seminaristi molteplici paure riguardanti tutti gli aspetti prettamente anatomici e fisiologici dell’apparato genitale oppure gli atti legali al rapporto sessuale. Il rifiuto fobico del sesso, facilmente razionalizzato, nel senso che viene giustificato con motivazioni di ordine religioso e morale, dà forma in genere, perciò, a individui immaturi, che mai raggiungono un equilibrio psico-sessuale. Essi, pertanto, considerano con ingiustificata avversità tutto quello che, direttamente o indirettamente, può essere messo in relazione con la sessualità. La sessualità era, pertanto, considerala un argomento tabù, e non una funzione naturale, di cui non si doveva mai parlare. Speriamo che molti preti e molti vescovi, chiamati questi ultimi, nel prossimo Sinodo, ad affrontare i problemi che riguardano la famiglia, cerchino le risposte alle questioni familiari, affidandosi, sì, ad un atteggiamento di fede, ma si avvalgano della lenta e paziente indagine razionale, che non si impone in virtù di un intuizione sentimentale, di convinzioni indotte, che non si appella ad autorità esterne, ma che invece, attraverso un lavoro di riflessione, analisi, confronto, cerca di dimostrare le proprie tesi e di giustificarsi di fronte ai mille dubbi del pensiero. Optare per la ragione significa cercare di persuadere (e non di convertire o costringere), di dialogare (e non c’è dialogo senza ascolto serio delle ragioni degli altri), significa accettare l’impertinenza del pensiero che vuole vederci chiaro, che sottilmente valuta i pro e i contro, che instancabilmente discute portando argomenti e contro-argomenti. E’ umano esercizio di razionalità alla portata di ogni uomo che sappia riflettere e che non disdegni la fatica del pensare al di là delle proprie convinzioni rese col tempo cristallizzate.