La Chiesa dei poveri

di ANDREA FILLORAMO

Mons. Pietro Bonicelli, vescovo di Bergamo, in un’intervista, ha commentato l’«integrazione» del concetto di elemosina, fatto da Papa Francesco, che molto spesso esprime un valore quasi spregiativo e intolleranza nei confronti di chi stende la mano per ricevere qualcosa che non risolve i suoi problemi, né esige un sacrifico da parte di chi pratica la stessa elemosina. Il Papa, infatti, in modo lapidario, come è abituato a fare, così si esprime: “Diffido dell’elemosina che non costa e non duole”. Il vescovo bergamasco, a tal proposito, commenta: “il distacco è qualcosa che costa, che duole, noi spesso abbiamo fatto anche dei gesti di generosità ma come un di più, quindi tutto sommato ci costava relativamente. Il Papa invita quindi al coraggio di alcune scelte che ci portano alla rinuncia di alcune cose che ci sembrano irrinunciabili, in vista di un’attenzione maggiore agli altri” e aggiunge: “tante persone che non dichiarano la propria fede ma fanno veramente tanto ma tanto bene, ma non lo esibiscono: il bene della giustizia, il bene della generosità, il bene del volontariato, dell’attenzione ai più poveri. E allora perché non ci può essere carità senza fede? Nel senso che in ultima analisi anche per chi non ne è consapevole la verità profonda dell’amore è Dio stesso e i cristiani dovrebbero esserne sempre consapevoli: il Dio in cui loro credono è un Dio che è amore”. Per dimostrare, poi, che si può passare dalle parole ai fatti, il vescovo annuncia, che, pur avendo la sua diocesi già un fondo abbastanza corposo per la famiglia e il lavoro, ne crea un altro, destinato ancora alla famiglia e alla casa. Dà notizia, quindi della vendita di una proprietà, di un immobile, anzi un palazzo e ciò per mettere a disposizione dei soldi per chi è in difficoltà. E dice: “E’ un immobile di proprietà della Curia che stiamo individuando tra alcuni di cui disponiamo e verrà messo in vendita per alimentare il fondo di aiuto per la casa. Alla luce di quello che diceva il Papa, vorrei che non fosse un gesto che si aggiunge ai tanti, ma fosse il frutto di una nostra rinuncia. Quindi la diocesi si priva di un bene per essere vicina alle persone in difficoltà, soprattutto sul tema della casa che sta diventando un tema altrettanto rilevante come quello del lavoro. I temi degli affitti non pagati, quindi degli sfratti, il tema dei mutui non pagati e relativa confisca della case che sono state magari pagate per larga parte, con grandi sacrifici e rischiano di sfuggire di mano, il tema della micro conflittualità sociale per le spese condominiali… ci hanno fatto attenti a questo tipo di bisogni. Ma tutto questo impegno non voglio che finisca in se stesso; io desidero che questo segno sia anche un segno di speranza, che faccia crescere in tutti la consapevolezza che dobbiamo aiutarci vicendevolmente: basta egoismi! Moriamo dei nostri egoismi, mentre invece la possibilità di essere attenti gli uni agli altri, anche rinunciando a qualcosa, non può far altro che far crescere la speranza e la certezza di una vita migliore”. E’ indubbio che, almeno per il vescovo di Bergamo, che volge il suo sguardo a Papa Francesco, il detto “exempla trahunt”, abbia ancora il suo valore e la “carità”, quella vera, quella del “ quod superest date pauperibus “ può essere “vissuta” e “praticata. Del resto – diciamolo subito con la speranza di non essere fraintesi – quanti “beni”, anche superflui, hanno le diocesi e non solo quelle del Nord ma anche quelle del Sud. Essi risultano molto spesso da “donazioni”, “lasciti”, di tanta povera gente, che voleva “assicurarsi un pezzo di paradiso”? quanti palazzi, case, proprietà, negozi con canoni di affitto esosi o addirittura enormi istituti non utilizzati o solo parzialmente utilizzati sono di proprietà della diocesi? Quante “transazioni” e vendite sono state fatte e continuano ad essere fatte solo per incrementare le casse diocesane, facendo diventare i vescovi degli “appaltatori”, degli “amministratori” e non dei “facientes caritatem” nei confronti dei poveri ai quali hanno donato – se l’hanno donato – solo le briciole? Mi chiedo, inoltre: “che fine ha fatto qualche “opera pia” istituita, a suo tempo, per dare assistenza continuativa ai “bisognosi”, diventata oggi “residence”, con rette mensile da capogiro? Infine: “che destino ha avuto qualche “casa del clero”? E’ stata ceduta? A chi e perché? Per tutti questi “affari”, c’è stata sempre la dovuta “trasparenza”? Credo che le domande poste siano legittime. Papa Francesco invita tutti ii vescovi a seguire il suo esempio, a costruire assieme la “Chiesa dei poveri” e questo Mons. Pietro Bonicelli, vescovo di Bergamo l’ha capito. Lo capiranno gli altri vescovi? Lo speriamo.