Alessandro Magnasco, il genio che dipingeva il mondo dei Rom

di Roberto Malini

Se dovessi esprimere un parere su chi sia stato il più grande pittore italiano del XVIII secolo, farei due nomi: Giambattista Tiepolo e Alessandro Magnasco. Sul Tiepolo, la critica ha espresso ogni genere di lode, ponendolo su altari così elevati che è ormai difficile approcciare i suoi lavori con la mente sgombra da superlativi. Alessando Magnasco detto il Lissandrino (Genova 1667 – 1749), al contrario, viene confinato in un ambito ristretto dell’arte: la cosiddetta "pittura di genere". Lì, in quella nicchia, è definito dagli esperti "uno degli artisti maggiori". E’ il destino cui spesso vanno incontro i grandi innovatori, gli intelletti geniali capaci di anticipare secoli di storia dell’arte e il cui talento è così inusuale da essere considerato più un’eccentricità che un’aspetto evolutivo della cultura dell’umanità. Quanto studio bisogna fare ancora, per comprendere innovatori come Monsù Desiderio o il Lissandrino! Quest’ultimo era ancora un ragazzino quando apprendeva l’arte del dipingere nella bottega di Filippo Abbiati, con la mente e il giovane animo, però, concentrati su altri modelli, fra i quali sicuramente El Greco, anch’egli bollato a lungo – fino alle soglie del Romanticismo – come "pittore di stravaganze"! Magnasco affrontava la pittura partendo dalle potenzialità dei colori come espressione della materia, dell’olio capace di aggredire la tela o sfiorarla come un’ombra, dei pigmenti in cui sono presenti in nuce tutte le tenebre e tutti i chiarori. Magnasco fu il più potente visionario del suo tempo, capace di vedere il futuro della pittura. In lui è già vivo lo spirito del Romanticismo, di Turner (fu lui, prima ancora del pittore londinese, ad elevare a una nuova dignità la pittura storica), dell’Impressionismo, delle "deformazioni" che sono alla base dell’Espressionismo e dell’arte introspettiva. Magnasco era il pittore di quell’umanità che vive ai margini della civiltà: i Rom, i mendicanti, la gente più umile del popolo. Unita per consumare un pasto frugale o alla ricerca di un rifugio fra antiche rovine, l’umanità sofferente e perseguitata del Lissandrino è protagonista di un tempo che non finisce mai, perché il progresso e il benessere – ancora ai nostri giorni – toccano altri gruppi sociali. Forse è proprio per la nuda verità che esprimono, per il coraggio di strappare il sipario dell’indifferenza e dell’intolleranza, mostrando all’uomo la propria incapacità di perseguire l’ideale di un mondo giusto, che le opere di Magnasco turbano ancora chi le osserva, relegandole in uno spazio che è sì dorato, ma è pur sempre, nella percezione di chi ha la fortuna di appartenere alla "maggioranza", oltre il margine…