La cartina della felicità: SIAMO FRATELLI – CERCHIAMO LA STRADA VERSO LA LIBERTà

di Ettore Sentimentale

Ancora una volta il Signore ci fa dono di un nuovo anno pastorale perché – come dice S. Paolo – possiamo spenderlo nella operosità della fede, nella fatica della carità e nella fermezza della speranza.

La vita di ogni giorno, in realtà, ci pone di fronte a esperienze che arricchiscono il nostro bagaglio culturale e stimolano sempre più la nostra fede. Mentre ero lontano da Messina ho vissuto un evento che mi ha fatto riflettere abbastanza.

In un contesto di festa, ho avuto la gioia di sentire un canto bilingue (in corso e in basco) che esprime – al di là delle legittime esigenze di identità e indipendenza di questi popoli – un forte sentimento di fraternità universale.

Trascrivo solo le parole del ritornello (per il testo intero e per ascoltare la melodia basta cercare sul web digitando le prime due parole): SIMU FRATELLI /ANAIAK GARA – CIRCHEMO A STRADA / ASKATASUNERA.

La traduzione (molto semplice per noi siciliani) è questa: SIAMO FRATELLI/ SIAMO FRATELLI – CERCHIAMO LA STRADA/ VERSO LA LIBERTA’.

A me interessa “rileggere” queste affermazioni in chiave umana e cristiana, cosciente che molti popoli (non solo i Baschi e i Corsi), tenuti ancora al “guinzaglio”, lottano per vedere sorgere l’alba della libertà. Purtroppo, non senza spargimento di sangue.

Quello che inquieta è la stridente differenza fra chi sa e capisce di dover conquistare la libertà e chi invece l’ha svenduta, non sapendo cosa farne.

Fino a qualche anno addietro, buona parte dell’attività umana era “politicizzata” a tal punto che non vi era giorno in cui, anche nella nostra città, si vivevano scioperi e violente manifestazioni di protesta. Ora, al di là di qualche episodica contestazione animata da convinti “sgallettati”, tutto tace, tutto è fermo. Dovrei concludere che tutto vada bene o che le persone abbiano perso anche la forza di reagire, oltre la speranza? Forse è cambiata la forma di dissenso? In tal caso non me ne sono accorto.

Qui mi vengono in mente le parole “Siamo fratelli”, quindi tutti sulla stessa barca, ma non senza distinguo.

Ognuno può e deve dare il proprio apporto, senza aspettare di essere chiamato o stimolato (magari “manipolato”), prendendosi le proprie responsabilità.

Sapete che da qualche giorno si è conclusa la prima parte del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Molti giornali e relativi inviati hanno visto il bicchiere mezzo pieno o vuoto (a seconda della propria ideologia) perché hanno incentrato l’attenzione soprattutto sulla comunione ai divorziati.

Adesso non mi interessano direttamente questi risvolti (sui quali ci tornerò con calma prossimamente), quanto lo spirito e la libertà che ha animato l’incontro dei presuli e del quale anche papa Francesco ha preso coscienza: “Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state (…) queste animate discussioni, questi movimenti dello spirito (…), se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quetista pace”.

Le parole del papa aprono e illuminano il cammino di tante altre realtà ecclesiali che tante volte hanno paura di trattare con “franchezza evangelica” i temi e i problemi di ogni giorno.

Perché non affrontare i contraddittori risvolti pastorali e l’affanno della chiesa locale con un’articolata e tempestiva programmazione sinodale che riesca veramente a coinvolgere l’intero Popolo di Dio? La stessa cosa dovrebbe accadere a livello parrocchiale.

Mi tornano ancora in mente le parole del ritornello… se “siamo fratelli” non possiamo non farci carico delle sorti di tutti, senza – per questo – entrare a gamba tesa nelle questioni private e personali, ma sentendo sulla nostra pelle “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (GS 1).

L’alternativa al guardare da lontano è la ipocrita autogiustificazione di Caino: “Sono forse il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). E la voce implacabile di Dio che sibila dentro, rodendo la coscienza, chiede in un crescendo ostinato: “Dov’è tuo fratello?”.