La F.I.D.A.P.A. di Taormina è scesa in campo per la difesa della legalità

Domenica 5 ottobre, l’Associazione F.I.D.A.P.A. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) di Taormina, ha organizzato in collaborazione con l’Associazione LIBERA la “Giornata della legalità. La storia e i prodotti di LIBERA TERRA”. Non si tratta di un appuntamento nuovo perché anche negli anni precedenti, l’associazione taorminese, sensibile ai temi della legalità e alla diffusione della cultura contro le Mafie, aveva organizzato quest’appuntamento. “La giornata della legalità” ha visto le socie di F.I.D.A.P.A. Taormina, in piazza IX Aprile con un banchetto per vendere i prodotti di LIBERA TERRA, dal vino “I cento passi”, alla pasta, alle marmellate. E nel pomeriggio, alle 17:30, nei locali dell’Archivio storico cittadino, si è svolto un incontro con alcuni responsabili di LIBERA. La pastPresident F.I.D.A.P.A., Lucia Lo Giudice, ha introdotto gli ospiti, sottolineando come da parte di numerosi turisti italiani e stranieri sia diffusa la conoscenza del lavoro di LIBERA, sulle terre confiscate alla Mafia, da cui i prodotti messi in vendita sono frutti preziosi di legalità e giustizia. Presenti anche le sezioni F.I.D.A.P.A. di Giardini Naxos e S. Teresa di Riva.
Il primo a spiegare in toni chiari e diretti cosa significa “lotta alla mafia” è stato il Coordinatore provinciale di LIBERA Catania, Giuseppe Strazzulla, che ha precisato come l’associazione fondata da Don Ciotti, abbia un modello nazionale, regionale e provinciale e di recente, una nuova sede è stata aperta a Messina. Strazzulla, tirando fuori dal libro dei ricordi neri, il manifesto di Totò Cuffaro su cui campeggiava la scritta «La mafia fa schifo», è andato dritto al cuore della questione, affermando che «LIBERA non vuole essere conciliante, che nel rispetto della visione di Don Ciotti che è il fondatore, la responsabilità della lotta è di tutti». La Mafia o meglio le Mafie, oggi sono altamente specializzate, operano direttamente in Borsa, con i sistemi dell’alta finanza e sono altamente competitive sul mercato globale. LIBERA ha deciso di “rompere le scatole al potere costituito” andando avanti, nonostante le minacce e le ritorsioni come quelle che ancora oggi, Riina invia a Don Ciotti dal carcere. LIBERA ha occupato spazi dove lo Stato non era più presente perché erano sotto feudo mafioso e li ha restituiti alla gente e alla legalità con il sostegno delle forze dell’ordine, che più di una volta hanno chiesto l’aiuto dell’associazione per far rete. Strazzulla ha spiegato che «la Giustizia non può essere separata dalla Giustizia Sociale». I beni confiscati alle Mafie sono un “riscatto sociale” per l’intera comunità, creano nuove opportunità occupazionali e sono l’omaggio concreto alle vittime e ai loro congiunti, perché rispondono ad una domanda di giustizia. L’avvicinamento alle vittime della Mafia, che includono“ammazzati” di Mafia e parenti, è l’operazione più grande che LIBERA da anni porta avanti. Strazzullaha aggiunto che «valorizzare la memoria e il dolore dei “cari” delle vittime”» è fondamentale nel percorso di lotta perché il contributo dei familiari delle vittime dentro LIBERA hanno imparato “a socializzare il dolore”, facendone dono agli altri. Contributo questo, che va oltre la mera azione di testimonianza.
Ed è a questo punto, che ha portato la “sua” di testimonianza, che ci ha offerto il “suo di dolore, facendolo diventare nostro, Giovanna Raiti, sorella di Salvatore Raiti, poliziotto ucciso nell’agguato contro Alfio Ferlito. Erano gli anni ottanta, la mafia era molto violenta, si sparava, si regolavano i conti e si facevano le spartizioni territoriali con le armi. A Catania c’era da gestire il traffico degli stupefacenti, con la “nuova droga degli yuppies” la cocaina, che prendeva rapidamente il posto dell’eroina. C’era Benedetto Santa Paola e c’era il rivale, Alfio Ferlito, addirittura giunsero ad allearsi, uno con la Camorra e l’altro con la ‘Ndrngheta. Ferlito fu catturato e quando dovevano trasferirlo dal carcere di Enna a quello di Favignana, nella scorta c’era un ragazzo di 19 anni, Salvatore Raiti, che lo aveva ammanettato. Durante il trasferimento, avevano fatto una sosta all’autogrill sulla Circonvallazione di Palermo e Ferlito, aveva promesso che avrebbe fatto “il bravo”. Usciti fuori dopo la pausa caffè, un commando aveva deciso per tutti che quello sarebbe stato anche l’ultimo caffè che avrebbero preso.
La sera prima, Salvatore aveva telefonato a casa per parlare con la madre, con la sorella Giovanna, che era “la piccola di casa” e che lui proteggeva quasi fosse non solo un fratello maggiore ma, un padre. Giovanna sentiva che c’era qualcosa di strano nella voce di Salvatore, sembrava triste, pensieroso, lui che per sua indole era sempre stato un tipo “solare e divertente”. Alla sorella disse solo che era stanco perché aveva giocato una partita di calcio. Sarà la fidanzata Rita, ai funerali di Stato a dire che l’aveva chiamata, e aveva paura Salvatore, tanto che s’era lasciato scappare: «stavolta, non torno più». Perché quella era “una scorta recuperata” ed i colleghi che dovevano andare con il detenuto avevano rifiutato, si spaventavano. Anche Salvatore avrebbe potuto rifiutare ma lui ci teneva “al suo dovere” e sua sorella Giovanna, ci ha detto con orgoglio:«Ha fatto di una divisa spoglia, una divisa grande».
Giovanna Raiti ci ha costretto ad attraversare l’orrore insieme a lei, ci ha tenuto per mano perché attraverso l’esercizio della memoria, si vuole infondere la speranza e si può entrare nelle coscienze di tutti, in particolare dei giovani, che devono essere educati a compiere il percorso della legalità.

Lisa Bachis